giovedì, marzo 21, 2013
“Facciamo tacere i fucili e lasciamo parlare la politica”.  

Misna - Con queste parole, il leader del partito curdo dei Lavoratori (Pkk) Abdullah Ocalan ha annunciato la sospensione delle ostilità con il governo di Ankara e il ritiro dei propri combattenti oltre la frontiera turca, nell’ambito di un processo di pace che potrebbe portare alla fine di un conflitto annoso, costato la vita a circa 40.000 persone. “Non è la fine. Ma l’inizio di una nuova era” ha detto ancora la guida del movimento curdo, in carcere dal 1999, in un messaggio letto in curdo e in turco dai suoi portavoce, davanti ad oltre 200.000 persone riunite in piazza a Diyarbakır, nel sudest della Turchia, per celebrare il capodanno curdo (Nevruz).

“La nostra è stata una battaglia contro ogni forma di oppressione e violenza…adesso apriamo una porta ad un processo democratico dopo un lungo periodo di lotta armata. È venuto il momento per le nostre forze armate di ritirarsi oltre frontiera” recita ancora il messaggio, scritto dalla prigione di Imran nell’isola omonima nel mar di Marmara dove Ocalan è detenuto, e accolto con grida di gioia e lo sventolio di migliaia di bandiere gialle, rosse e verdi.

La dichiarazione, “di portata storica”, come l’aveva definita preannunciando il gesto qualche giorno fa lo stesso Ocalan, intende cementare una serie di passi avanti compiuti negli ultimi mesi tra politici curdi e esponenti dell’intelligence turca e che avevano portato ad una serie di gesti di buona volontà, come la liberazione di 8 ostaggi turchi che il pkk deteneva sulle montagne dell’Iraq dove hanno sede le sue basi.

Se da un lato i quotidiani turchi come Al Zaman parlano di trattative in corso per un ritiro completo dei combattenti “entro la fine dell’anno” e un “progressivo disarmo”, non è chiaro allo stato attuale quali siano le contropartite offerte in cambio da Ankara al movimento che rivendica maggiore autonomia, più diritti politici e culturali e la liberazione di numerosi detenuti politici tra cui lo stesso Ocalan.

“Di certo – osserva il quotidiano – la fine del conflitto solleverebbe un pesante fardello dalle spalle di Ankara, a cui la guerra ininterrotta dal 1984 è costata in termini economici, di mancato sviluppo delle regioni coinvolte e di accuse sul piano dei diritti umani”. Un accordo di pace con i curdi, inoltre, accrescerebbe la credibilità del paese, membro del Patto Atlantico, in un momento in cui Ankara sta fortemente puntando ad espandere la sua influenza in Medio Oriente e in Africa.


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