Papa Francesco, la crisi delle vocazioni, la nuova evangelizzazione
di Paolo Fucili
“Il profumo della vostra vita” sia “gioia e sostegno ai fedeli di Cristo”, si è raccomandato ieri Francesco ordinando 10 nuovi sacerdoti della diocesi di Roma e affidando loro la missione di edificare “la casa di Dio”, la Chiesa, “con la parola e l’esempio”. Chi scambiasse queste esortazioni per un banale predicozzo di circostanza forse non conosce bene Jorge Mario Bergoglio, il Papa secondo cui è addirittura “giusto” che tanta gente dica di credere in Dio ma non nei preti, perché “molti di noi preti non meritiamo che si creda in noi”. Quella volta, qualche anno fa, stava conversando coi giornalisti Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, impegnati a redigere la biografia-intervista che ora furoreggia nelle librerie. Logico pensare che il riferimento fosse in primo luogo alla sua diocesi e alla sua Argentina, sebbene l’umiltà di una così impegnativa ammissione sarebbe benvenuta ovunque.
Ma per rimanere a Buenos Aires, se davvero il clero di quella città fosse così poco raccomandabile, ancor più stupefacente sarebbe apprendere (dalla stessa fonte Rubin-Ambogetti) che nel locale seminario la media delle domande di ammissione respinte viaggia sulle 6 su 10. E tutto questo nonostante la storica penuria di sacerdoti non solo in Argentina, ma in tutta l’America latina cattolica, con numeri e statistiche più preoccupanti di quelli della nostra Europa, dove pure non si scherza. A Roma, ad esempio, 10 nuovi preti in un anno sono assai pochi, nell’ottica del necessario ricambio generazionale per oltre 300 parrocchie e quasi 3 milioni di fedeli.
Scarsità e pure sovraffaticamento dei sacerdoti oberati di incarichi, l’inesorabile scoglio contro cui cozza ogni progetto pastorale un minimo ambizioso, costituiscono oggi una delle prove più dure per quel mistero che è la speranza cristiana. Che però è cosa troppo seria, è l’abc del cristianesimo, per ammettere furbeschi “aiutini” come allentare i requisiti del buon seminarista e futuro sacerdote. Dibattito ravvivato da ultimo un po’ ovunque, dai dolorosi scandali-pedofilia del clero, di cui tutti ovviamente avremmo fatto volentieri a meno, e tuttavia son serviti se non altro a rafforzare, tra le gerarchie ecclesiastiche di vario livello, l’orientamento ad una più rigorosa selezione dei sacerdoti, già all’atto della loro formazione e pure dopo. Con ovvio riferimento non solo a criminali pulsioni sessuali. I motivi di “indegnità” di un sacerdote possono essere tanti altri (“purtroppo”, quanto a numero, e “per fortuna”, perché meno gravi della pedofilia, verrebbe da aggiungere).
Speranza, ci vuole, e anche preghiera. E in questo senso Bergoglio suggerisce ancora altre riflessioni utili. La sensibilità comune dei tempi moderni, è facile verificare, tollera meno che mai ipocrisia ed incoerenza. Ecco perché il Papa a san Paolo fuori le mura, una settimana fa, ricordava che chi ci ascolta “deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca”, come già esortava san Francesco di Assisi coi suoi frati: “Predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole”. Ma il discorso del Papa era per tutti, non solo per i sacerdoti.
Così pure il famoso Vangelo della pagliuzza nell’occhio e nella trave. Magari sua Santità non lo dice per umiltà, ma anche quello vale per chiunque, pure quando la pagliuzza si troverebbe nell’occhio di un prete. Anziché allora puntare dita verso sacerdoti indegni o presunti tali (e magari trovar comodi alibi, così, a difetti e debolezze nostre), forse è più cristiano un atteggiamento caldeggiato non a caso dall’antica sapienza della Chiesa: “Le vocazioni nascono nella preghiera e dalla preghiera; e solo nella preghiera possono perseverare e portare frutto”, ha ricordato ieri Francesco prima del Regina Coeli. Preghiera di tutti per tutti i sacerdoti, naturalmente, e preghiera del diretto interessato alle prese con Gesù che chiama proprio lui, ha spiegato il Papa ai giovani presenti, scherzando pure per attirarne l’attenzione: “Siete tanti giovani oggi qui in Piazza. Vorrei chiedervi: qualche volta avete sentito la voce del Signore che attraverso un desiderio, un’inquietudine, vi invitava a seguirlo più da vicino? L’avete sentito? Non sento! Ecco… Avete avuto voglia di essere apostoli di Gesù? La giovinezza bisogna metterla in gioco per i grandi ideali. Pensate questo voi? Siete d’accordo? Domanda a Gesù che cosa vuole da te e sii coraggioso!”.
Del prete “pastore” e non “funzionario”, “mediatore” e non “intermediario” invocato ancora ieri nell’omelia della messa è presto detto. Il primo naturale rimando è all’omelia della messa del crisma del giovedì santo, quando Francesco ha esortato tutti i sacerdoti del mondo ad esser “pastori con l’odore delle pecore addosso”, immagine tanto efficace che è inutile aggiungere altro. E già nella biografia Rubin-Ambrogetti Bergoglio stigmatizzava la tentazione “di essere amministratori e non pastori. Ciò significa che quando una persona va in parrocchia a chiedere un sacramento o per qualsiasi altro motivo, non trova il prete ma la segretaria parrocchiale”. E il rischio non è allontanare “una persona da un determinato prete o una determinata parrocchia, ma dalla Chiesa e da Gesù”. Perché è la parrocchia, appunto, per molti, “la ‘porta d’ingresso alla religione cattolica”.
Oggi la Chiesa, spiega ancora Bergoglio in quel libro, è come se avesse una pecora nel recinto e “novantanove che non andiamo a cercare”. Ecco la “visione” portata sul soglio di Pietro, il disegno variamente definito dai commentatori come Chiesa ‘estroversa’, missionaria, lanciata sulle strade della nuova evangelizzazione. Dove la scarsità attuale di risorse umane, i pochi preti, è un’oggettiva difficoltà in più. Ma in casi estremi basta il battesimo per essere evangelizzatori: “la Chiesa è una madre che genera figli, non una baby sitter che addormenta i bambini” ha spiegato di recente il Papa in una delle messe che ogni giorno celebra a santa Marta, regalando pillole di saggezza anche in quelle meno solenni occasioni.
Una Chiesa missionaria, è la visione che nei primi 40 giorni di pontificato ha ispirato anche un importante atto di governo del Pontefice, la commissione nominata per studiare la tanto auspicata riforma della Curia romana, oggetto di infinite discussioni negli ultimi mesi, ed aiutare il Papa a realizzarla. Dei suoi 8 membri, solo uno ricopre incarichi all’interno della Curia stessa. Gli altri 7 son tutti pastori di diocesi scelti in rappresentanza del mondo intero, dall’America all’Oceania; le “periferie”, altra parola cara a Bergoglio, dove l’evangelizzazione si fa sul campo, misurandosi con problemi, sfide opportunità del mondo di oggi. Magari sono meno ferrati sul funzionamento dei palazzi vaticani. Come dire, appunto: è la periferia che deve ispirare con le sue logiche il “centro”, non il “centro” che deve contagiare coi suoi mali le “periferie”.
di Paolo Fucili
“Il profumo della vostra vita” sia “gioia e sostegno ai fedeli di Cristo”, si è raccomandato ieri Francesco ordinando 10 nuovi sacerdoti della diocesi di Roma e affidando loro la missione di edificare “la casa di Dio”, la Chiesa, “con la parola e l’esempio”. Chi scambiasse queste esortazioni per un banale predicozzo di circostanza forse non conosce bene Jorge Mario Bergoglio, il Papa secondo cui è addirittura “giusto” che tanta gente dica di credere in Dio ma non nei preti, perché “molti di noi preti non meritiamo che si creda in noi”. Quella volta, qualche anno fa, stava conversando coi giornalisti Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, impegnati a redigere la biografia-intervista che ora furoreggia nelle librerie. Logico pensare che il riferimento fosse in primo luogo alla sua diocesi e alla sua Argentina, sebbene l’umiltà di una così impegnativa ammissione sarebbe benvenuta ovunque.
Ma per rimanere a Buenos Aires, se davvero il clero di quella città fosse così poco raccomandabile, ancor più stupefacente sarebbe apprendere (dalla stessa fonte Rubin-Ambogetti) che nel locale seminario la media delle domande di ammissione respinte viaggia sulle 6 su 10. E tutto questo nonostante la storica penuria di sacerdoti non solo in Argentina, ma in tutta l’America latina cattolica, con numeri e statistiche più preoccupanti di quelli della nostra Europa, dove pure non si scherza. A Roma, ad esempio, 10 nuovi preti in un anno sono assai pochi, nell’ottica del necessario ricambio generazionale per oltre 300 parrocchie e quasi 3 milioni di fedeli.
Scarsità e pure sovraffaticamento dei sacerdoti oberati di incarichi, l’inesorabile scoglio contro cui cozza ogni progetto pastorale un minimo ambizioso, costituiscono oggi una delle prove più dure per quel mistero che è la speranza cristiana. Che però è cosa troppo seria, è l’abc del cristianesimo, per ammettere furbeschi “aiutini” come allentare i requisiti del buon seminarista e futuro sacerdote. Dibattito ravvivato da ultimo un po’ ovunque, dai dolorosi scandali-pedofilia del clero, di cui tutti ovviamente avremmo fatto volentieri a meno, e tuttavia son serviti se non altro a rafforzare, tra le gerarchie ecclesiastiche di vario livello, l’orientamento ad una più rigorosa selezione dei sacerdoti, già all’atto della loro formazione e pure dopo. Con ovvio riferimento non solo a criminali pulsioni sessuali. I motivi di “indegnità” di un sacerdote possono essere tanti altri (“purtroppo”, quanto a numero, e “per fortuna”, perché meno gravi della pedofilia, verrebbe da aggiungere).
Speranza, ci vuole, e anche preghiera. E in questo senso Bergoglio suggerisce ancora altre riflessioni utili. La sensibilità comune dei tempi moderni, è facile verificare, tollera meno che mai ipocrisia ed incoerenza. Ecco perché il Papa a san Paolo fuori le mura, una settimana fa, ricordava che chi ci ascolta “deve poter leggere nelle nostre azioni ciò che ascolta dalla nostra bocca”, come già esortava san Francesco di Assisi coi suoi frati: “Predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole”. Ma il discorso del Papa era per tutti, non solo per i sacerdoti.
Così pure il famoso Vangelo della pagliuzza nell’occhio e nella trave. Magari sua Santità non lo dice per umiltà, ma anche quello vale per chiunque, pure quando la pagliuzza si troverebbe nell’occhio di un prete. Anziché allora puntare dita verso sacerdoti indegni o presunti tali (e magari trovar comodi alibi, così, a difetti e debolezze nostre), forse è più cristiano un atteggiamento caldeggiato non a caso dall’antica sapienza della Chiesa: “Le vocazioni nascono nella preghiera e dalla preghiera; e solo nella preghiera possono perseverare e portare frutto”, ha ricordato ieri Francesco prima del Regina Coeli. Preghiera di tutti per tutti i sacerdoti, naturalmente, e preghiera del diretto interessato alle prese con Gesù che chiama proprio lui, ha spiegato il Papa ai giovani presenti, scherzando pure per attirarne l’attenzione: “Siete tanti giovani oggi qui in Piazza. Vorrei chiedervi: qualche volta avete sentito la voce del Signore che attraverso un desiderio, un’inquietudine, vi invitava a seguirlo più da vicino? L’avete sentito? Non sento! Ecco… Avete avuto voglia di essere apostoli di Gesù? La giovinezza bisogna metterla in gioco per i grandi ideali. Pensate questo voi? Siete d’accordo? Domanda a Gesù che cosa vuole da te e sii coraggioso!”.
Del prete “pastore” e non “funzionario”, “mediatore” e non “intermediario” invocato ancora ieri nell’omelia della messa è presto detto. Il primo naturale rimando è all’omelia della messa del crisma del giovedì santo, quando Francesco ha esortato tutti i sacerdoti del mondo ad esser “pastori con l’odore delle pecore addosso”, immagine tanto efficace che è inutile aggiungere altro. E già nella biografia Rubin-Ambrogetti Bergoglio stigmatizzava la tentazione “di essere amministratori e non pastori. Ciò significa che quando una persona va in parrocchia a chiedere un sacramento o per qualsiasi altro motivo, non trova il prete ma la segretaria parrocchiale”. E il rischio non è allontanare “una persona da un determinato prete o una determinata parrocchia, ma dalla Chiesa e da Gesù”. Perché è la parrocchia, appunto, per molti, “la ‘porta d’ingresso alla religione cattolica”.
Oggi la Chiesa, spiega ancora Bergoglio in quel libro, è come se avesse una pecora nel recinto e “novantanove che non andiamo a cercare”. Ecco la “visione” portata sul soglio di Pietro, il disegno variamente definito dai commentatori come Chiesa ‘estroversa’, missionaria, lanciata sulle strade della nuova evangelizzazione. Dove la scarsità attuale di risorse umane, i pochi preti, è un’oggettiva difficoltà in più. Ma in casi estremi basta il battesimo per essere evangelizzatori: “la Chiesa è una madre che genera figli, non una baby sitter che addormenta i bambini” ha spiegato di recente il Papa in una delle messe che ogni giorno celebra a santa Marta, regalando pillole di saggezza anche in quelle meno solenni occasioni.
Una Chiesa missionaria, è la visione che nei primi 40 giorni di pontificato ha ispirato anche un importante atto di governo del Pontefice, la commissione nominata per studiare la tanto auspicata riforma della Curia romana, oggetto di infinite discussioni negli ultimi mesi, ed aiutare il Papa a realizzarla. Dei suoi 8 membri, solo uno ricopre incarichi all’interno della Curia stessa. Gli altri 7 son tutti pastori di diocesi scelti in rappresentanza del mondo intero, dall’America all’Oceania; le “periferie”, altra parola cara a Bergoglio, dove l’evangelizzazione si fa sul campo, misurandosi con problemi, sfide opportunità del mondo di oggi. Magari sono meno ferrati sul funzionamento dei palazzi vaticani. Come dire, appunto: è la periferia che deve ispirare con le sue logiche il “centro”, non il “centro” che deve contagiare coi suoi mali le “periferie”.
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È presente 1 commento
Un testo che molti preti dovrebbero leggere per capire cosa veramente significa essere pastori di Dio tra il loro gregge.
Claudia
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