In Africa c’è la piaga dei ‘bambini soldato’, ad Aleppo li chiamano ‘combattenti’
di Patrizio Ricci
Il quotidiano britannico ‘The Telegraph’ ha diffuso, come tutte le principali testati on line, un video in cui, tra le rovine di Aleppo, nel quartiere Salahedddin, un bambino parla, seduto tra due ribelli siriani armati (uno è suo zio): un colpo di mortaio ha ucciso suo padre (combattente a seguito dell’Esercito Siriano Libero) e tutto il resto della famiglia. Amhed ha 8 anni; sigaretta in bocca e fucile AK7 in braccio, risponde alle domande e spiega: "Ho finito per aiutare mio zio ed i suoi compagni perché non ho altra scelta, non c'è scuola, la mia famiglia è morta, che scelta ho?".
Di fronte a questa vicenda i media italiani (compresi quelli cattolici) si sono mostrati come rassegnati all’ineluttabilità dei fatti: i commenti sono stati univoci e in quelle immagini di bambino ‘combattente’ hanno visto solo la ‘spavalderia della giovinezza, la vulnerabilità giovanile e la tristezza delle guerre che costringe i bambini a crescere troppo presto’. E’ una spiegazione che non convince e alla quale, come uomini, non possiamo rassegnarci. Ci vuole un giudizio chiaro: bisogna dire forte che esiste una terza via ed è quella del bene. Papa Francesco l’ha gridato forte nel messaggio pasquale rivolto alla Siria: “Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?”. Il messaggio del Santo Padre non è rivolto ai soli religiosi: è l’unico criterio ragionevolmente valido per la salvezza di Amhed e per la Siria. Per quel paese oltraggiato si dovrebbe usare la stessa tenerezza che si usa per un bambino, anzi per un bambino orfano (a chi ha visto solo brutture ed ha perso entrambi i genitori non metti in mano una granata come nel filmato e non dici di sparare ad altri uomini).
Si tratta di cose semplici da comprendere, persino banali: è possibile allora che il Thelegraph e gran parte dei principali media italiani si siano dimenticati di come ci si prende cura di un bambino e si siano allineati alle giustificazioni della guerriglia? Improponibile riportare di ‘sana pianta’ esclusivamente le giustificazioni fornite dai ribelli: “I bambini sono usati solo per fare il tè, per i rifornimenti, per contrabbando e compiti logistici”. E’ noto che i dati sono di altro segno: secondo un recente rapporto di Human Right Watch, sono centinaia i bambini al di sotto dei 14 anni addestrati dall’opposizione armata e inviati a combattere. E’ prassi conosciuta, ma ‘silenziata’: la guerra non si combatte solo sul campo di battaglia ma purtroppo coinvolge (consapevolmente o inconsapevolmente) anche l’informazione, spesso usata per formare un’opinione pubblica favorevole alle decisioni dei governi.
Non è stato detto, ma bisogna dirlo e chiaramente: usare i bambini sul capo di battaglia è un crimine di guerra. Usare bambini al di sotto dei 18 anni è proibito dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, nonché dalla risoluzione 1261 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che accoglie interamente lo Statuto della Corte Penale Internazionale, secondo cui “è un crimine di guerra la coscrizione e l’arruolamento di bambini di età inferiore di 15 anni o la loro utilizzazione per la partecipazione attiva alle ostilità, sia in conflitti armati interni che internazionali e sia che essi vengano impiegati da eserciti regolari o da milizie armate”. Questo vuol dire che di fronte alla legge internazionale chi ha messo le armi in mano ad un bambino ha compiuto un reato perseguito severamente dalla giustizia internazionale. Al cospetto di un bimbo che di fronte alla violenza ed all’omicidio dice ‘non ho scelta’ un uomo adulto che tace, o addirittura insegna solo la via della vendetta , è colpevole di ‘disumanità’.
In Siria esempi di pace e metri di terra redenta e riconciliata ci sono ancora e sono esempi a cui guardare (come i maristi e le suore carmelitane di Aleppo); sono tutte quelle realtà che offrono, pur con sempre con maggiore difficoltà, aiuto e sostegno ai profughi ed ai bambini come Amhed. Ci siamo informati direttamente con il Vicariato cattolico di Aleppo e abbiamo appreso che nella città la ‘Casa di Gesù operaio’ accoglie molti orfani e vittime di questa guerra fratricida; sono realtà che i governi occidentali (presi soprattutto a fomentare ulteriormente la guerra) dovrebbero sostenere direttamente e che dimostrano che un’altra via è sempre possibile. Abbiamo bisogno di simili esempi di carità e umanità nuova: non è vero che lo scempio e la rovina siano inevitabili. Anche un bambino orfano può trovare nuovi padri, se questi padri guardano ad una speranza più grande della vendetta e della sopraffazione. A molti, anche qui da noi, sembra essere sfuggito.
di Patrizio Ricci
Il quotidiano britannico ‘The Telegraph’ ha diffuso, come tutte le principali testati on line, un video in cui, tra le rovine di Aleppo, nel quartiere Salahedddin, un bambino parla, seduto tra due ribelli siriani armati (uno è suo zio): un colpo di mortaio ha ucciso suo padre (combattente a seguito dell’Esercito Siriano Libero) e tutto il resto della famiglia. Amhed ha 8 anni; sigaretta in bocca e fucile AK7 in braccio, risponde alle domande e spiega: "Ho finito per aiutare mio zio ed i suoi compagni perché non ho altra scelta, non c'è scuola, la mia famiglia è morta, che scelta ho?".
Di fronte a questa vicenda i media italiani (compresi quelli cattolici) si sono mostrati come rassegnati all’ineluttabilità dei fatti: i commenti sono stati univoci e in quelle immagini di bambino ‘combattente’ hanno visto solo la ‘spavalderia della giovinezza, la vulnerabilità giovanile e la tristezza delle guerre che costringe i bambini a crescere troppo presto’. E’ una spiegazione che non convince e alla quale, come uomini, non possiamo rassegnarci. Ci vuole un giudizio chiaro: bisogna dire forte che esiste una terza via ed è quella del bene. Papa Francesco l’ha gridato forte nel messaggio pasquale rivolto alla Siria: “Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?”. Il messaggio del Santo Padre non è rivolto ai soli religiosi: è l’unico criterio ragionevolmente valido per la salvezza di Amhed e per la Siria. Per quel paese oltraggiato si dovrebbe usare la stessa tenerezza che si usa per un bambino, anzi per un bambino orfano (a chi ha visto solo brutture ed ha perso entrambi i genitori non metti in mano una granata come nel filmato e non dici di sparare ad altri uomini).
Si tratta di cose semplici da comprendere, persino banali: è possibile allora che il Thelegraph e gran parte dei principali media italiani si siano dimenticati di come ci si prende cura di un bambino e si siano allineati alle giustificazioni della guerriglia? Improponibile riportare di ‘sana pianta’ esclusivamente le giustificazioni fornite dai ribelli: “I bambini sono usati solo per fare il tè, per i rifornimenti, per contrabbando e compiti logistici”. E’ noto che i dati sono di altro segno: secondo un recente rapporto di Human Right Watch, sono centinaia i bambini al di sotto dei 14 anni addestrati dall’opposizione armata e inviati a combattere. E’ prassi conosciuta, ma ‘silenziata’: la guerra non si combatte solo sul campo di battaglia ma purtroppo coinvolge (consapevolmente o inconsapevolmente) anche l’informazione, spesso usata per formare un’opinione pubblica favorevole alle decisioni dei governi.
Non è stato detto, ma bisogna dirlo e chiaramente: usare i bambini sul capo di battaglia è un crimine di guerra. Usare bambini al di sotto dei 18 anni è proibito dalla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, nonché dalla risoluzione 1261 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che accoglie interamente lo Statuto della Corte Penale Internazionale, secondo cui “è un crimine di guerra la coscrizione e l’arruolamento di bambini di età inferiore di 15 anni o la loro utilizzazione per la partecipazione attiva alle ostilità, sia in conflitti armati interni che internazionali e sia che essi vengano impiegati da eserciti regolari o da milizie armate”. Questo vuol dire che di fronte alla legge internazionale chi ha messo le armi in mano ad un bambino ha compiuto un reato perseguito severamente dalla giustizia internazionale. Al cospetto di un bimbo che di fronte alla violenza ed all’omicidio dice ‘non ho scelta’ un uomo adulto che tace, o addirittura insegna solo la via della vendetta , è colpevole di ‘disumanità’.
In Siria esempi di pace e metri di terra redenta e riconciliata ci sono ancora e sono esempi a cui guardare (come i maristi e le suore carmelitane di Aleppo); sono tutte quelle realtà che offrono, pur con sempre con maggiore difficoltà, aiuto e sostegno ai profughi ed ai bambini come Amhed. Ci siamo informati direttamente con il Vicariato cattolico di Aleppo e abbiamo appreso che nella città la ‘Casa di Gesù operaio’ accoglie molti orfani e vittime di questa guerra fratricida; sono realtà che i governi occidentali (presi soprattutto a fomentare ulteriormente la guerra) dovrebbero sostenere direttamente e che dimostrano che un’altra via è sempre possibile. Abbiamo bisogno di simili esempi di carità e umanità nuova: non è vero che lo scempio e la rovina siano inevitabili. Anche un bambino orfano può trovare nuovi padri, se questi padri guardano ad una speranza più grande della vendetta e della sopraffazione. A molti, anche qui da noi, sembra essere sfuggito.
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