Sono due i feriti nell’attentato di questa mattina contro l’ambasciata francese a Tripoli, in Libia, attaccata con un’autobomba.
Radio Vaticana - “E’ un atto terroristico”, ha subito sottolineato il ministro degli Esteri libico Mohammed Abdel Aziz "condannando con forza" l'attacco. Chiuse per precauzione la scuola e i licei francesi in città. Il presidente Hollande ha chiesto di fare chiarezza sull’accaduto e ha inviato immediatamente a Tripoli il ministro degli Esteri Fabius. Un episodio che evidenza lo stato di tensione che vive il Pascolta
aese nordafricano, alla ricerca di una difficile stabilità dopo la caduta di Gheddafi. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Antonio Morone, ricercatore in Storia dell’Africa presso l’Università di Pavia:
R. - Sicuramente fino ad oggi Tripoli era rimasta fuori dalla conflittualità, che si era concentrata su Bengasi col ben noto episodio dell’uccisione del rappresentante diplomatico americano, nel settembre del 2012. In effetti, l’attentato e la bomba a Tripoli riporta, in qualche modo, ad una situazione di più generale problematicità un Paese che, uscito dalla guerra civile, non ha ancora risolto una conflittualità che quella stessa guerra, in effetti, ha diffuso più che risolvere.
D. - E’ un Paese ovviamente ancora molto frammentato al suo interno…
R. - La lettura di una contrapposizione tra l’est - la Cirenaica - e l’ovest - la Tripolitania - del Paese rischia di essere riduttivo e inesatto. Ovvio, una delle prime principali linee di contrapposizione è questa. All’interno di queste due grandi macroregioni che per storia, politica e per certi versi cultura hanno alcune differenze e baricentri differenti, ci sono molte contrapposizioni e proprio la guerra ha contribuito ad alimentare un fazionalismo, che spesso ha a che fare con centri di potere politico-economico differenti.
D. - C’è un altro problema, che è quello dei confini della Libia, che restano molto spesso senza controllo e vengono violati dai combattenti provenienti da altri Paesi limitrofi…
R. - Certamente il problema della sicurezza in Libia fa diretto riferimento ai confini: spesso in Italia e in Europa si parla di confini libici solo quando si ha in mente il problema dei migranti clandestini o irregolari. In realtà la porosità dei confini libici e in Africa, in generale, è un problema che negli ultimi mesi ha riguardato la vendita e la circolazione d’intere parti di quello che era l’arsenale militare di Gheddafi al di fuori del Paese stesso, di fatto alimentando una conflittualità che dalla Libia si è estesa ad una intera regione: il Maghreb.
D. - Dopo la caduta del regime di Gheddafi la Libia è finita un po’ nel dimenticatoio, eppure vive una forte instabilità. In tutto questo c’è una grossa responsabilità, secondo lei, della Comunità internazionale?
R. - Il caso della Libia ha almeno una specificità rispetto al comportamento e - diciamo - alla presenza europea o più un generale dell’Occidente se si fa un parallelo con altri casi, come possono essere l’Iraq o l’Afghanistan. In Libia, finito l’intervento militare internazionale - in effetti occidentale - non è seguita una presenza sul campo dei referenti occidentali. Tuttavia l’attentato di oggi a Tripoli evidenzia come anche se uno dei Paesi maggiormente impegnati come la Francia è stato meno presente, rischia comunque di essere un obiettivo, un target. Probabilmente più per quello che sta facendo in altre regioni africane, in particolare il Mali, che non per quello che ha fatto o non ha fatto in Libia.
Radio Vaticana - “E’ un atto terroristico”, ha subito sottolineato il ministro degli Esteri libico Mohammed Abdel Aziz "condannando con forza" l'attacco. Chiuse per precauzione la scuola e i licei francesi in città. Il presidente Hollande ha chiesto di fare chiarezza sull’accaduto e ha inviato immediatamente a Tripoli il ministro degli Esteri Fabius. Un episodio che evidenza lo stato di tensione che vive il Pascolta
aese nordafricano, alla ricerca di una difficile stabilità dopo la caduta di Gheddafi. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Antonio Morone, ricercatore in Storia dell’Africa presso l’Università di Pavia:
R. - Sicuramente fino ad oggi Tripoli era rimasta fuori dalla conflittualità, che si era concentrata su Bengasi col ben noto episodio dell’uccisione del rappresentante diplomatico americano, nel settembre del 2012. In effetti, l’attentato e la bomba a Tripoli riporta, in qualche modo, ad una situazione di più generale problematicità un Paese che, uscito dalla guerra civile, non ha ancora risolto una conflittualità che quella stessa guerra, in effetti, ha diffuso più che risolvere.
D. - E’ un Paese ovviamente ancora molto frammentato al suo interno…
R. - La lettura di una contrapposizione tra l’est - la Cirenaica - e l’ovest - la Tripolitania - del Paese rischia di essere riduttivo e inesatto. Ovvio, una delle prime principali linee di contrapposizione è questa. All’interno di queste due grandi macroregioni che per storia, politica e per certi versi cultura hanno alcune differenze e baricentri differenti, ci sono molte contrapposizioni e proprio la guerra ha contribuito ad alimentare un fazionalismo, che spesso ha a che fare con centri di potere politico-economico differenti.
D. - C’è un altro problema, che è quello dei confini della Libia, che restano molto spesso senza controllo e vengono violati dai combattenti provenienti da altri Paesi limitrofi…
R. - Certamente il problema della sicurezza in Libia fa diretto riferimento ai confini: spesso in Italia e in Europa si parla di confini libici solo quando si ha in mente il problema dei migranti clandestini o irregolari. In realtà la porosità dei confini libici e in Africa, in generale, è un problema che negli ultimi mesi ha riguardato la vendita e la circolazione d’intere parti di quello che era l’arsenale militare di Gheddafi al di fuori del Paese stesso, di fatto alimentando una conflittualità che dalla Libia si è estesa ad una intera regione: il Maghreb.
D. - Dopo la caduta del regime di Gheddafi la Libia è finita un po’ nel dimenticatoio, eppure vive una forte instabilità. In tutto questo c’è una grossa responsabilità, secondo lei, della Comunità internazionale?
R. - Il caso della Libia ha almeno una specificità rispetto al comportamento e - diciamo - alla presenza europea o più un generale dell’Occidente se si fa un parallelo con altri casi, come possono essere l’Iraq o l’Afghanistan. In Libia, finito l’intervento militare internazionale - in effetti occidentale - non è seguita una presenza sul campo dei referenti occidentali. Tuttavia l’attentato di oggi a Tripoli evidenzia come anche se uno dei Paesi maggiormente impegnati come la Francia è stato meno presente, rischia comunque di essere un obiettivo, un target. Probabilmente più per quello che sta facendo in altre regioni africane, in particolare il Mali, che non per quello che ha fatto o non ha fatto in Libia.
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