Nel suo discorso programmatico lo «sviluppo verde» viene soltanto sfiorato. Eppure resiste.
Greenreport - Secondo gli studi condotti dall'Osservatorio sulla finanza green., i settori «a maggiore potenzialità di crescita risultano essere l'efficienza energetica (67% degli intervistati), la gestione rifiuti (38%) e l'energia rinnovabile (23%)». La società di finanza VedoGreen, anticipando i risultati dell'analisi condotta su un panel di 50 investitori istituzionali europei - che verrà presentata compiutamente durante la II edizione del Green Investor Day, evento con patrocinio di Borsa italiana e Aifi - ci ricorda così quali sono le potenzialità di un settore capace di trainare un intero modello di sviluppo. La green economy è crocevia di un cambiamento che unisce il singolo cittadino, incentivato a montare un pannello fotovoltaico sul proprio tetto di casa, e i capitali della grande finanza alla ricerca di investimenti responsabili e redditizi. Un elemento di mediazione che potrebbe essere particolarmente apprezzato dal governo Letta, che della mediazione (i maligni direbbero dell'inciucio) ha fatto giocoforza la sua cifra nelle vesti di neo premier.
Eppure, nel suo discorso alla Camera, Enrico Letta cita lo «sviluppo verde» soltanto di sfuggita. «La
ricerca italiana può e deve rinascere nei nuovi settori di sviluppo - ha affermato Letta - come ad esempio l'agenda digitale, lo sviluppo verde, le nanotecnologie, l'aerospaziale, il biomedicale. Si tratta di fare una politica industriale moderna, che valorizzi i grandi attori ma anche e soprattutto le piccole e medie imprese che sono e rimarranno il vero motore dello sviluppo italiano. Oltre all'alta tecnologia bisogna investire su ambiente ed energia. Le nuove tecnologie - fonti rinnovabili ed efficienza energetica - vanno maggiormente integrate nel contesto esistente, migliorando la selettività degli strumenti esistenti di incentivazione, in un'ottica organica con visione di medio e lungo periodo. Sempre con riguardo ai settori energetici, va completato il processo di integrazione con i mercati geografici dei Paesi europei confinanti. Questo implica, per l'energia elettrica, il completamento del cosiddetto market coupling e, per il gas, il completo riallineamento dei nostri prezzi con quelli europei e la trasformazione del nostro Paese in un hub. E' chiaro che episodi come quello dell'ILVA di Taranto non sono più tollerabili».
Tutto qui, insieme a qualche scampolo sulla tutela della bellezza del paesaggio italiano, più avanti. Nessuna attenzione ai flussi di materia, nessun senso di centralità attribuito allo sviluppo sostenibile. Adesso, siamo ben lontani da fare della sostenibilità il centro dell'azione di governo. Sono lontane anche quella «politica industriale integralmente ecologica» proposta dal partito del premier (il Pd), insieme alle proposte di quello che appena pochi giorni fa ne era il leader: «L'economia verde deve essere il cuore del nuovo governo che ho in testa», affermava Bersani soltanto a marzo. Così, l'economia verde rischia di scolorire nel grigio di un'ecumenica e insapore politica delle larghissime intese.
Eppure, nel suo discorso alla Camera, Enrico Letta cita lo «sviluppo verde». Ha un po' il sapore della banalità, così com'è presentato, ma resiste. Cedendo ad un pizzico di campanilismo toscano, diremmo che Letta - da buon pisano - lo lascia in bilico, come la celeberrima torre pendente. In bilico, come rimane il governo tutto, ricordando una famosa copertina che l'Economist ha tristemente dedicato al nostro Paese (vedi in alto). Letta si è dato un anno e mezzo per le riforme: «Tra 18 mesi verificherò se il progetto delle riforme si avvia verso un porto sicuro. Se invece si impantana tutto ne trarrò le conseguenze».
Le dimissioni, e il ritorno alle urne, rimangono dunque dietro l'angolo. Nella speranza che la sinistra sappia sfruttare ogni momento di questo breve intervallo per ricostruirsi una forma e un partito col quale presentarsi alle elezioni. Nel mentre, non possiamo che sperare e credere che in questo governo la torre della green economy non cada, ma rimanga baldanzosamente in bilico come il simbolo della città toscana. Diventando nei secoli, da errore imprevisto che era, un'occasione di sviluppo da valorizzare, e un simbolo per un intero Paese.
Greenreport - Secondo gli studi condotti dall'Osservatorio sulla finanza green., i settori «a maggiore potenzialità di crescita risultano essere l'efficienza energetica (67% degli intervistati), la gestione rifiuti (38%) e l'energia rinnovabile (23%)». La società di finanza VedoGreen, anticipando i risultati dell'analisi condotta su un panel di 50 investitori istituzionali europei - che verrà presentata compiutamente durante la II edizione del Green Investor Day, evento con patrocinio di Borsa italiana e Aifi - ci ricorda così quali sono le potenzialità di un settore capace di trainare un intero modello di sviluppo. La green economy è crocevia di un cambiamento che unisce il singolo cittadino, incentivato a montare un pannello fotovoltaico sul proprio tetto di casa, e i capitali della grande finanza alla ricerca di investimenti responsabili e redditizi. Un elemento di mediazione che potrebbe essere particolarmente apprezzato dal governo Letta, che della mediazione (i maligni direbbero dell'inciucio) ha fatto giocoforza la sua cifra nelle vesti di neo premier.
Eppure, nel suo discorso alla Camera, Enrico Letta cita lo «sviluppo verde» soltanto di sfuggita. «La
ricerca italiana può e deve rinascere nei nuovi settori di sviluppo - ha affermato Letta - come ad esempio l'agenda digitale, lo sviluppo verde, le nanotecnologie, l'aerospaziale, il biomedicale. Si tratta di fare una politica industriale moderna, che valorizzi i grandi attori ma anche e soprattutto le piccole e medie imprese che sono e rimarranno il vero motore dello sviluppo italiano. Oltre all'alta tecnologia bisogna investire su ambiente ed energia. Le nuove tecnologie - fonti rinnovabili ed efficienza energetica - vanno maggiormente integrate nel contesto esistente, migliorando la selettività degli strumenti esistenti di incentivazione, in un'ottica organica con visione di medio e lungo periodo. Sempre con riguardo ai settori energetici, va completato il processo di integrazione con i mercati geografici dei Paesi europei confinanti. Questo implica, per l'energia elettrica, il completamento del cosiddetto market coupling e, per il gas, il completo riallineamento dei nostri prezzi con quelli europei e la trasformazione del nostro Paese in un hub. E' chiaro che episodi come quello dell'ILVA di Taranto non sono più tollerabili».
Tutto qui, insieme a qualche scampolo sulla tutela della bellezza del paesaggio italiano, più avanti. Nessuna attenzione ai flussi di materia, nessun senso di centralità attribuito allo sviluppo sostenibile. Adesso, siamo ben lontani da fare della sostenibilità il centro dell'azione di governo. Sono lontane anche quella «politica industriale integralmente ecologica» proposta dal partito del premier (il Pd), insieme alle proposte di quello che appena pochi giorni fa ne era il leader: «L'economia verde deve essere il cuore del nuovo governo che ho in testa», affermava Bersani soltanto a marzo. Così, l'economia verde rischia di scolorire nel grigio di un'ecumenica e insapore politica delle larghissime intese.
Eppure, nel suo discorso alla Camera, Enrico Letta cita lo «sviluppo verde». Ha un po' il sapore della banalità, così com'è presentato, ma resiste. Cedendo ad un pizzico di campanilismo toscano, diremmo che Letta - da buon pisano - lo lascia in bilico, come la celeberrima torre pendente. In bilico, come rimane il governo tutto, ricordando una famosa copertina che l'Economist ha tristemente dedicato al nostro Paese (vedi in alto). Letta si è dato un anno e mezzo per le riforme: «Tra 18 mesi verificherò se il progetto delle riforme si avvia verso un porto sicuro. Se invece si impantana tutto ne trarrò le conseguenze».
Le dimissioni, e il ritorno alle urne, rimangono dunque dietro l'angolo. Nella speranza che la sinistra sappia sfruttare ogni momento di questo breve intervallo per ricostruirsi una forma e un partito col quale presentarsi alle elezioni. Nel mentre, non possiamo che sperare e credere che in questo governo la torre della green economy non cada, ma rimanga baldanzosamente in bilico come il simbolo della città toscana. Diventando nei secoli, da errore imprevisto che era, un'occasione di sviluppo da valorizzare, e un simbolo per un intero Paese.
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