domenica, aprile 21, 2013
A Boston si tira un sospiro di sollievo dopo l’arresto del presunto ultimo attentatore, un giovane ceceno di 19 anni, fratello del ragazzo ucciso ieri nel corso di uno scontro a fuoco con la polizia. Soddisfazione tra le forze dell’ordine e per il presidente Obama. “Mancano ancora tante risposte”, ha detto il capo della Casa Bianca. Fermate altre tre persone. Benedetta Capelli: ascolta

Radio Vaticana - Nascosto all’interno di un’imbarcazione sistemata nel retro di una casa a Watertown. Così la polizia di Boston ha trovato Dzhakhar Tsarnaev, 19 anni, ceceno, fratello di Tamerlan di 26 anni ucciso ieri nello scontro a fuoco con gli agenti. Sono loro i due presunti attentatori che avrebbero seminato morte lunedì scorso nel corso della maratona di Boston. A tradirlo le tracce di sangue notate dal proprietario della barca che subito ha chiamato la polizia. Il giovane, infatti, è ferito gravemente al collo e ad una gamba ed ora è in ospedale. Per catturarlo, le forze dell’ordine hanno messo in campo anche un robot dotato di telecamera per rilevare la presenza di esplosivi e poi hanno sparato lacrimogeni e bombe accecanti per disorientare il ragazzo. Infine, l’intervento di un negoziatore ma è stato l’applauso della polizia a far comprendere che l’incubo era finito. Immediatamente Boston ha cambiato il suo volto; in strada gli abbracci, i sorrisi, le grida di giubilo hanno preso il posto delle lacrime per le tre vittime e gli oltre 180 feriti. “Hanno fallito perché non ci siamo fatti terrorizzare”, ha detto il presidente Obama ringraziando gli agenti, ma restano molte domande. Tre persone intanto sono state fermate a Sud di Boston, mentre si sta verificando ogni possibile legame dei due ceceni con organizzazioni terroristiche. Tamerlan, il fratello maggiore rimasto ucciso, era già stato interrogato dall'Fbi nel 2011 ma non era emerso nulla. Su Youtube di solito postava video di ispirazione terrorista e islamista mentre su facebook scriveva di non avere “un solo amico americano perché - aggiungeva - non mi capiscono”.

Stamani telefonata tra il presidente russo Putin ed il suo omologo statunitense Obama. Entrambi hanno ribadito la necessità di una maggiore cooperazione sul fronte dell’antiterrorismo. Ieri, il capo della Casa Bianca ha evidenziato la necessità di continuare ad indagare ed ha espresso rammarico perché i due presunti attentatori sono cresciuti negli Stati Uniti. Come spiegare allora quanto accaduto? Benedetta Capelli lo ha chiesto ad Andrea Margeletti, analista e presidente del Centro Studi Internazionali: (ascolta)

R. – E’ quello che è già avvenuto in altri Paesi europei. Basti pensare alla Francia o la Gran Bretagna, dove cittadini di quei Paesi hanno deciso di immolarsi, di compiere azioni terribili contro i loro connazionali. La realtà dei fatti è che noi, spesso in maniera presuntuosa, pensiamo di vivere nel migliore dei mondi possibili. Ma non tutto la pensano come noi; e non la pensano come noi cittadini che hanno fatto i nostri stessi passaggi, che hanno la nostra stessa storia e la nostra stessa educazione. Esiste, in alcuni contesti, un odio radicato, un desiderio di partecipare ad una progettualità diversa da quella che noi quotidianamente viviamo, che deve porci anche delle domande.

D. - In questo episodio di Boston c’è una matrice terroristica, ma di quale terrorismo stiamo parlando?

R. - Esistono due chiavi di lettura. Una sicuramente è quelle internazionale, del terrorismo a matrice radicale. Noi ci focalizziamo spesso, troppo, sulla realtà dei talebani o quella araba. In verità ci sono tante altre sfumature, tanti altri gruppi - pensiamo soltanto a quelli caucasici - che utilizzano la bandiera della religione per compiere atti terroristici. Ma esiste anche una chiave di lettura interna. Nascere in un contesto e berne le tradizioni, non necessariamente rende immuni da influenze malefiche

D. - Siamo di fronte anche ad “un terrorismo fai da te”?

R. - Assolutamente sì. I cosiddetti “lupi solitari”, le realtà che non partecipano a campi di addestramento, che sono a volte spettatori passivi di blog, sono assai difficili da poter intercettare e da poter penetrare dal punto di vista informativo. È la nuova grande sfida dei servizi d’intelligence delle forze dell’ordine e della polizia. Dall’altra parte, bisogna ricordare sempre di più che la Rete è un contenitore dove c’è di tutto; c’è molto di buono, ma è anche un’agorà universale dove si possono incontrare persone di idee, che non necessariamente sono in linea con il rispetto dei diritti umani e dei diritti inalienabili della persona.

D. - Al di là di questi episodi, qual è oggi il reale pericolo per gli Stati Uniti?

R. - È naturalmente il Paese più potente del mondo con maggiori responsabilità ed è – naturalmente - esposto più di altri a chi vuole contrastare “l’american way of life”. Dall’altra parte, c’è una forte collaborazione tra gli Stati Uniti e tanti Paesi europei, ma non solo. Ricordiamoci che lo smantellamento di Al Qaeda nella sua forma tradizionale, quella dell’11 settembre, non sarebbe stata possibile senza la collaborazione prima di tutto dei servizi di sicurezza e d’intelligence dei Paesi islamici e non soltanto arabi.

D. - I due presunti attentatori sono ceceni: quali sono le tensioni che percorrono quest’area di mondo?

R. – È un luogo doloroso, ed è per questo che la collaborazione anti–terroristica tra Stati Uniti e Russia, da quel punto di vista, è sempre stata un po’ a singhiozzo perché il rispetto dei diritti umani da quelle parti – da parte di tutti, non solo da parte dei ribelli, dei rivoltosi – è un po’ labile. È una terra di confine nell’accezione più terribile del termine. Molti ceceni hanno combattuto, e continuano a combattere anche in Afghanistan. Questo vuol dire che il desiderio di esportare la loro lotta, non è soltanto limitata alle zone che ritengono come loro contesto naturale.


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