giovedì, aprile 11, 2013
Si celebra oggi la Giornata mondiale del Parkinson, nel giorno della nascita dello scienziato James Parkinson che per primo individuò e studiò questa grave patologia. Attualmente, sono circa un milione e duecentomila i malati di Parkinson in Europa, oltre 200 mila in Italia.

Radio Vaticana -  Sulle caratteristiche di questa patologia e le possibilità di cura e assistenza, Eliana Astorri ha intervistato la dott.ssa Annarita Bentivoglio, ricercatore presso l'Istituto di neurologia del Policlinico Gemelli: R. - E’ una malattia neurodegenerativa, ovvero le basi patologiche risiedono nella degenerazione selettiva di un gruppo di cellule nervose che si trovano nella profondità del nostro cervello, in una zona chiamata “sostanza nera”. Queste cellule sono molto importanti per il controllo del movimento e quando ne perdiamo una grossa percentuale - superiore al 60-70% - iniziamo a sviluppare dei sintomi della malattia che James Parkinson ha descritto nel 1817. Questi sintomi consistono fondamentalmente in una triade, cioè in un gruppo di tre elementi: il più importante è il rallentamento e la povertà di iniziativa motoria; secondariamente viene il sintomo più riconoscibile, quello che le persone identificano più facilmente con la malattia, ovvero il tremore. Coinvolge più spesso le braccia - meglio ancora le mani - è un tremore asimmetrico e si verifica soprattutto a riposo, mentre quando poi le persone attivano mani e muscoli questo tremore lo vediamo attenuarsi, o addirittura svanire. Il terzo elemento sintomatologico importante è la rigidità: le articolazioni diventano più rigide e tutto questo insieme fa sì che le persone si muovAno con più difficoltà, anche con qualche difficoltà nel programmare ed eseguire movimenti.

D. - Si conoscono le cause? 

R. - La causa ultima forse non si conosce ancora, però negli ultimi anni abbiamo fatto dei progressi straordinari grazie a forme genetiche che pur rappresentando una minoranza - coinvolgono meno del 5% della popolazione affetta dalla malattia - sono dei “modelli” in cui noi stiamo scomponendo la malattia nelle singole proteine coinvolte nel processo degenerativo e stiamo comprendendo sempre più a fondo i meccanismi che portano alla degenerazione del sistema. Quindi, speriamo che in un futuro veramente vicino si possano tradurre in terapie che non siano solo sintomatiche - che vadano cioè a migliorare certamente la qualità di vita - ma che possano incidere anche sul processo patologico. 

D. - Dietro ad ogni malato di Parkinson c’è un “caregiver”, un parente che se ne prende cura. Quali strumenti ha questa persona per affrontare i problemi a cui andrà incontro il malato? 

R. -
La prima cosa, secondo me, è l’informazione: troppo spesso le persone ricorrono alla Rete, senza nessun filtro; vanno direttamente su Internet e raccolgono informazioni. Come tutti sappiamo, le informazioni che troviamo in Rete non sempre sono credibili, non sempre sono date da persone realmente competenti. Il mio invito è quello di rivolgersi sempre alle nostre figure di riferimento, a chi ha in cura il paziente, per avere informazioni. Credo che l’informazione, la cultura, sia fondamentale per chi assiste il paziente malato di Parkinson. Credo che il nostro sforzo negli anni futuri dovrà esser quello di rivolgerci proprio al “sistema-famiglia”, al “sistema-malato” con i suoi familiari, con i suoi “caregiver”, per offrire la possibilità di crescere insieme e di pensare ai bisogni di tutti, perché il “caregiver” non è solamente la persona che dà cura al malato, ma è anche un marito, una moglie, un figlio. Quindi, cercare di facilitare la comunicazione, la comprensione dei reciproci bisogni all’interno della famiglia, credo che migliori la qualità di vita in maniera sostanziale.

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