giovedì, aprile 11, 2013
Resta altissimo il livello dello scontro sul terreno in Siria, dove si contano 75 vittime nelle ultime 24 ore. 

Radio Vaticana - Sul piano diplomatico si registra l’incontro di ieri a Londra tra i rappresentati del G8 e il premier indicato dall’opposizione Ghassan Hitto, che ha chiesto armi per combattere esercito di Assad. Ma sulla crisi siriana si allunga l’ombra di al Qaeda, a cui sarebbero affiliati alcuni gruppi di ribelli. Sentiamo Marco Guerra: ascolta
I combattimenti più violenti sono avvenuti nel sud, nella provincia di Deraa, dove le truppe di terra governative, sostenute da raid aerei hanno condotto una dura offensiva contro i ribelli, a seguito della quale almeno 42 persone rimaste uccise, fra cui diversi civili e militari di entrambe gli schieramenti. Decine di vittime anche nella capitale. Secondo testimoni, qui la linea degli scontri è in una piazza a pochi passi dal centro. Dal canto suo, il fronte dell’opposizione cerca di compattare il sostegno internazionale con il suo primo ministro appena indicato, Ghassan Hitto, che ieri si è recato al G8 di Londra per chiedere un sostegno più ampio che preveda anche aiuti militari oltre a quelli umanitari. Su questo punto il segretario di Stato Usa Kerry prende tempo rinviando il discorso alla riunione dei Paesi amici della Siria del 20 aprile a Istanbul. Intanto all’occidente crea non pochi imbarazzi l’ammissine di fedeltà ad al-Qaeda da parte del gruppo ribelle siriano al-Nusra. Un annuncio che conferma gli allarmi per una deriva confessionale della crisi siriana.

La situazione in Siria resta tesa anche per le infiltrazioni di elementi di ispirazione jihadista, confermate da un comunicato dell’ala irachena di Al-Qaeda apparso negli scorsi giorni sul web. Davide Maggiore ha chiesto a Federico De Renzi, analista politico esperto di Turchia, se la presenza oltre i confini siriani di un governo di ispirazione islamica moderata come quello di Ankara può bilanciare questo rischio: ascolta

R. - La Turchia può costituire per la regione e per gli Stati confinanti, in particolar modo per quanto riguarda la Siria, un esempio più politico che culturale, perché tra la Siria di oggi e la Turchia ci sono legami plurisecolari. Il fatto che Al-Qaeda possa avere delle infiltrazioni in Siria attraverso gruppi riconducibili ad essa più o meno direttamente, per la Turchia può ovviamente costituire un problema, tanto più che la Turchia può vedere in queste infiltrazioni un elemento di destabilizzazione di un eventuale processo di ricostruzione dall’esterno e - soprattutto - questo potrebbe anche costituire un elemento di destabilizzazione per la Turchia stessa.

D. - Questi rischi di destabilizzazione per la Turchia ma anche per la Siria, possono spiegare il riavvicinamento che è avvenuto recentemente tra la Turchia e Israele, o questo ha altre spiegazioni?

R. - Il riavvicinamento è dovuto anche ad una mediazione statunitense tra le due parti. Costituisce sicuramente un passo in avanti nel riallacciamento delle relazioni tra i due Paesi. La Turchia è - almeno in fieri - una potenza regionale che ha delle politiche autonome se non indipendenti da altri contesti, quale può essere quello Nato o il rapporto di partner privilegiato con l’Unione Europea; il rapporto con Israele può essere sicuramente un elemento in più. Rimangono dei punti critici, però i rapporti economici, i rapporti culturali tra i due Paesi sono sempre stati fluidi.

D. - Abbiamo citato il ruolo di potenza regionale che la Turchia sta cominciando a giocare. Quanto influsso ha avuto su questo l’arrivo al potere del partito Giustizia e Sviluppo?

R. - Fondamentale, visto che dal 2002, da quando è salito al potere il partito di ispirazione islamica in Turchia - Giustizia e sviluppo - del primo ministro Erdogan, la dimensione islamica del partito ha sicuramente favorito un riallacciamento - sebbene indiretto - con il mondo islamico in generale. La Turchia in questi ultimi dieci anni ha avuto una crescita impressionante dal punto di vista economico in tutto lo spazio euroasiatico: dai Balcani, all’Europa orientale, fino alla Cina. Sicuramente la visione strategica preconizzata del ministro degli esteri, Ahmed Davutoglu, ha avuto un’influenza. La Turchia ha ricominciato a considerare la sua “posizione ponte” tra la sfera africana, mediorientale, caucasica, iniziando quindi a perseguire - come accennavo prima - delle politiche autonome.

D. - C’è anche un aspetto di ritorno economico in questo tentativo di perseguire politiche autonome, vista la posizione di perno che ha Ankara nella regione…

R. - Essendo un hub naturale per il passaggio di oleodotti e gasdotti che provengono dalla regione - Iran, Azerbaijan, ma anche Russia - per Ankara lo sfruttamento dei proventi derivanti dai rapporti con questi Paesi, è la chiave di volta per esercitare potenza. La Turchia non è un Paese produttore, ma sa di essere indispensabile per lo sviluppo economico non solo interno, ma appunto regionale, come nel caso di Paesi quali l’Iraq o lo stesso Iran.


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