lunedì, aprile 22, 2013
“Ci sono segnali inquietanti che dimostrano che gli interessi dei produttori di caffè non sono stati presi in considerazione nel processo di riforma del settore (…), un processo che rischia di compromettere i mezzi di sostentamento di gran parte dei contadini”

Misna - A lanciare l’allarme in un appello congiunto sono il Relatore speciale Onu per il diritto all’alimentazione Olivier De Schutter e l’esperto indipendente sul debito estero e i diritti umani Cephas Lumina. I due esperti delle Nazioni Unite chiedono una sospensione del programma di privatizzazione “fino alla conclusione di uno studio che valuti l’impatto della riforma sui diritti umani”. La riforma in questione viene fortemente incoraggiata dalla Banca mondiale. “Le popolazioni vulnerabili non devono essere ostaggio di politiche che in passato hanno già portato a fallimenti e rischiano di riprodurre scenari simili” hanno sottolineato De Schutter e Lumina in riferimento alle cosiddette politiche di aggiustamento strutturale attuate negli anni ’80 e ’90 per la privatizzazione delle società pubbliche. In Burundi le entrate derivanti dalla vendita del caffè rappresentano l’80% delle esportazioni e il 55% del reddito di 750.000 famiglie, la cui sopravvivenza dipende proprio da questa coltura.

Nel 2007, durante la fase di pianificazione del settore, il presidente Pierre Nkurunziza aveva assicurato che il caffè burundese è di proprietà di chi lo produce fin quando non viene esportato. L’anno dopo, dietro pressioni della Banca mondiale, il governo di Bujumbura si è invece orientato verso una privatizzazione totale. Così più di 130 fabbriche locali di lavaggio e trattamento dei chicchi di caffè sono state vendute a società straniere mentre, in cambio, l’istituto monetario internazionale ha finanziato il 30% circa del bilancio dello Stato burundese. Estromessi dalla trasformazione in loco della materia prima, che consente di dare al prodotto un valore aggiunto, i contadini hanno anche visto diminuire il prezzo di vendita del caffè e di conseguenza anche il proprio reddito. Inoltre i terreni dove sorgono le fabbriche di trasformazione, di proprietà dei produttori locali, sono stati venduti lasciando i contadini senza terra da coltivare. Altri cento impianti sono stati messi in vendita dal governo mentre gli agricoltori non hanno come altra scelta che la conversione a un altro settore di attività, in condizioni economiche sempre difficili.

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