Rappresentano un pericolo per la sicurezza dei paesi confinanti i jihadisti e miliziani dei diversi gruppi armati in fuga dal nord del Mali.
Misna - Secondo le informazioni raccolte dai servizi di sicurezza statunitensi, ma anche ad informative Onu alcuni di loro sarebbero passati ad est verso il nord del Niger, per poi transitare in Ciad e raggiungere la Libia. Dall’estremo nord del Mali altri gruppi avrebbero varcato i confini con l’Algeria per arrivare fino al Sahara Occidentale, dove si sarebbero infiltrati nei campi sahrawi. Ad ovest una terza rotta li avrebbe portati allo sbando in Mauritania.
“Ora la paura è che questi gruppi si stiano nuovamente organizzando e armando e possano ritornare nel nord del Mali per riprendere la lotta” ha dichiarato dal capoluogo settentrionale di Gao Ousmane Maiga, del coordinamento dell’Associazione giovanile. Nella situazione attuale ci sarebbero anche rischi concreti per il Sahara occidentale, territorio conteso dal 1975 tra il Marocco e il Fronte Polisario, sostenuto dall’Algeria. In un recente rapporto del segretario generale Onu Ban Ki-moon veniva evidenziato il rischio di una “radicalizzazione” del Polisario a causa della presenza di jihadisti nei campi sfollati, che farebbe del Sahara occidentale una “bomba a orologeria”.
Anche in Mali, il pericolo rappresentato dal Movimento per l’unità e il jihad in Africa occidentale (Mujao) e da altri gruppi armati, anche tuareg, non è ancora del tutto rientrato. Sacche di resistenza sono ancora presenti nelle città di Gao e Kidal, già colpite da attentati suicidi, scontri e guerriglia urbana da fine gennaio. Uno scenario che potrebbe evolvere negativamente dopo il ritiro annunciato dei soldati ciadiani e di quelli dispiegati da Parigi, mentre il Consiglio di sicurezza Onu deve ancora pronunciarsi sull’invio di una missione di peacekeeping.
Al di là degli sviluppi militari, il governo di transizione deve portare avanti un delicato processo di riconciliazione nazionale, in un paese diviso in due per diversi mesi. Critiche alla neo commissione nazionale di dialogo e riconciliazione sono arrivate dalla comunità nera Kel Tamasheqs o Bellah (‘la gente del Tamasheq’), cioè i tuareg neri che parlano la lingua tamasheq e chiedono di ottenere una rappresentanza. Secondo loro “nella sua composizione, la commissione non è inclusiva e ignora la voce di tutti quelli che subiscono umiliazioni, compresa la nostra comunità”. Pochi giorni fa critiche erano arrivate dal Collettivo degli abitanti del Nord (Coren) che diceva di “non riconoscersi in questa commissione”.
Misna - Secondo le informazioni raccolte dai servizi di sicurezza statunitensi, ma anche ad informative Onu alcuni di loro sarebbero passati ad est verso il nord del Niger, per poi transitare in Ciad e raggiungere la Libia. Dall’estremo nord del Mali altri gruppi avrebbero varcato i confini con l’Algeria per arrivare fino al Sahara Occidentale, dove si sarebbero infiltrati nei campi sahrawi. Ad ovest una terza rotta li avrebbe portati allo sbando in Mauritania.
“Ora la paura è che questi gruppi si stiano nuovamente organizzando e armando e possano ritornare nel nord del Mali per riprendere la lotta” ha dichiarato dal capoluogo settentrionale di Gao Ousmane Maiga, del coordinamento dell’Associazione giovanile. Nella situazione attuale ci sarebbero anche rischi concreti per il Sahara occidentale, territorio conteso dal 1975 tra il Marocco e il Fronte Polisario, sostenuto dall’Algeria. In un recente rapporto del segretario generale Onu Ban Ki-moon veniva evidenziato il rischio di una “radicalizzazione” del Polisario a causa della presenza di jihadisti nei campi sfollati, che farebbe del Sahara occidentale una “bomba a orologeria”.
Anche in Mali, il pericolo rappresentato dal Movimento per l’unità e il jihad in Africa occidentale (Mujao) e da altri gruppi armati, anche tuareg, non è ancora del tutto rientrato. Sacche di resistenza sono ancora presenti nelle città di Gao e Kidal, già colpite da attentati suicidi, scontri e guerriglia urbana da fine gennaio. Uno scenario che potrebbe evolvere negativamente dopo il ritiro annunciato dei soldati ciadiani e di quelli dispiegati da Parigi, mentre il Consiglio di sicurezza Onu deve ancora pronunciarsi sull’invio di una missione di peacekeeping.
Al di là degli sviluppi militari, il governo di transizione deve portare avanti un delicato processo di riconciliazione nazionale, in un paese diviso in due per diversi mesi. Critiche alla neo commissione nazionale di dialogo e riconciliazione sono arrivate dalla comunità nera Kel Tamasheqs o Bellah (‘la gente del Tamasheq’), cioè i tuareg neri che parlano la lingua tamasheq e chiedono di ottenere una rappresentanza. Secondo loro “nella sua composizione, la commissione non è inclusiva e ignora la voce di tutti quelli che subiscono umiliazioni, compresa la nostra comunità”. Pochi giorni fa critiche erano arrivate dal Collettivo degli abitanti del Nord (Coren) che diceva di “non riconoscersi in questa commissione”.
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