«Alle 7.55 della domenica delle Palme siamo stati sorpresi dal rumore assordante delle mitragliatrici. Non hanno più smesso di sparare per tre giorni».
Domenica 24 marzo, mentre la coalizione ribelle Seleka marciava su Bangui e costringeva alla fuga il presidente François Boizizé, monsignor Juan José Aguirre Muňoz si trovava proprio nella capitale della centrafricana. Il missionario comboniano e vescovo di Bangassou – nel sud-est del Paese africano – racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre che l’abitazione in cui alloggiava era proprio accanto al palazzo presidenziale e quindi «al centro dell’azione». «Ho visto anche dei membri della coalizione entrare nella cattedrale poco dopo il termine della messa. I ribelli hanno sparato contro il soffitto e costretto i fedeli a consegnare loro le chiavi delle auto e delle motociclette». Terrorizzati, tutti i presenti hanno cercato di ripararsi con i rami delle palme che avevano portato in Chiesa per la benedizione. «I bambini piangevano, ma i ribelli non hanno mai smesso di sparare se non quando tutte le chiavi sono state loro consegnate».
A Bangassou, la diocesi guidata da monsignor Aguirre, la Seleka è arrivata lo scorso 11 marzo. Non è stato difficile per i ribelli sconfiggere i pochi soldati rimasti in città. Il numero di proprietà e veicoli rubati – anche appartenenti alla Chiesa e ai vari ordini religiosi - è altissimo e il presule riferisce di aver letto il suo nome in cima a una lista composta di persone che la coalizione intende colpire. «I missionari spiritani (Congregazione dello Spirito Santo, ndr.) – racconta – si sono rifugiati nelle case di amici e fedeli, dopo che per due notti consecutive erano stati svegliati dal rumore di asce e machete». I furti sono all’ordine del giorno e i ribelli hanno provato anche a rapire alcune religiose. «I saccheggi continuano senza sosta. La popolazione è terrorizzata, ma non vuole fuggire. Ha scelto di rimanere e di provare a difendere quel poco che è rimasto». Le violenze non hanno risparmiato le festività pasquali. Venti ribelli hanno occupato il villaggio di Rafai e la missione locale. A Tokoyo, invece, non è rimasta né un’auto né una moto per servire le quaranta cappelle dell’area. «Uno dei nostri sacerdoti, padre Bakouma, ha camminato per 60 kilometri fino a raggiungere il villaggio in cui celebrare la messa di Pasqua».
Con l’arrivo della Seleka, per la Chiesa e i missionari si apre un nuovo capitolo di una lunga storia dolorosa. «Da oltre vent’anni il Paese è dilaniato da una guerra civile che lo ha reso la seconda nazione più povera al mondo. Abbiamo assistito a tante atrocità e ora abbiamo perso tutto, anche la speranza». Dal 2002 ad oggi Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sostenuto 240 progetti nella Repubblica Centrafricana, per un totale di circa 2 milioni e mezzo di euro. Tra le principali aree d’intervento: intenzioni di messe per i sacerdoti, aiuti alla pastorale, borse di studio e finanziamenti per la costruzione di chiese ed edifici religiosi.
Domenica 24 marzo, mentre la coalizione ribelle Seleka marciava su Bangui e costringeva alla fuga il presidente François Boizizé, monsignor Juan José Aguirre Muňoz si trovava proprio nella capitale della centrafricana. Il missionario comboniano e vescovo di Bangassou – nel sud-est del Paese africano – racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre che l’abitazione in cui alloggiava era proprio accanto al palazzo presidenziale e quindi «al centro dell’azione». «Ho visto anche dei membri della coalizione entrare nella cattedrale poco dopo il termine della messa. I ribelli hanno sparato contro il soffitto e costretto i fedeli a consegnare loro le chiavi delle auto e delle motociclette». Terrorizzati, tutti i presenti hanno cercato di ripararsi con i rami delle palme che avevano portato in Chiesa per la benedizione. «I bambini piangevano, ma i ribelli non hanno mai smesso di sparare se non quando tutte le chiavi sono state loro consegnate».
A Bangassou, la diocesi guidata da monsignor Aguirre, la Seleka è arrivata lo scorso 11 marzo. Non è stato difficile per i ribelli sconfiggere i pochi soldati rimasti in città. Il numero di proprietà e veicoli rubati – anche appartenenti alla Chiesa e ai vari ordini religiosi - è altissimo e il presule riferisce di aver letto il suo nome in cima a una lista composta di persone che la coalizione intende colpire. «I missionari spiritani (Congregazione dello Spirito Santo, ndr.) – racconta – si sono rifugiati nelle case di amici e fedeli, dopo che per due notti consecutive erano stati svegliati dal rumore di asce e machete». I furti sono all’ordine del giorno e i ribelli hanno provato anche a rapire alcune religiose. «I saccheggi continuano senza sosta. La popolazione è terrorizzata, ma non vuole fuggire. Ha scelto di rimanere e di provare a difendere quel poco che è rimasto». Le violenze non hanno risparmiato le festività pasquali. Venti ribelli hanno occupato il villaggio di Rafai e la missione locale. A Tokoyo, invece, non è rimasta né un’auto né una moto per servire le quaranta cappelle dell’area. «Uno dei nostri sacerdoti, padre Bakouma, ha camminato per 60 kilometri fino a raggiungere il villaggio in cui celebrare la messa di Pasqua».
Con l’arrivo della Seleka, per la Chiesa e i missionari si apre un nuovo capitolo di una lunga storia dolorosa. «Da oltre vent’anni il Paese è dilaniato da una guerra civile che lo ha reso la seconda nazione più povera al mondo. Abbiamo assistito a tante atrocità e ora abbiamo perso tutto, anche la speranza». Dal 2002 ad oggi Aiuto alla Chiesa che Soffre ha sostenuto 240 progetti nella Repubblica Centrafricana, per un totale di circa 2 milioni e mezzo di euro. Tra le principali aree d’intervento: intenzioni di messe per i sacerdoti, aiuti alla pastorale, borse di studio e finanziamenti per la costruzione di chiese ed edifici religiosi.
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