All’indomani della delusione di Champions per la Juve, è tempo di alcune riflessioni sull’attuale (e non facile) momento che sta attraversando il calcio italiano: è necessario non alimentare false speranze nei tifosi mettendo in luce con estremo realismo tutti quei problemi dai quali è scaturita la nostra rapida e preoccupante retrocessione nella griglia calcistica continentale.
Il quadro delineato dal tabellone delle quattro semifinaliste di Champions non lascia spazio a interpretazioni e conferma un dato incontestabile: in questo momento il campionato spagnolo insieme con quello tedesco sono i due più in salute in Europa. Nel post gara di Juve-Bayern, le dichiarazioni del DG bianconero Marotta hanno sostanzialmente lasciato intendere che non è più possibile basare la competitività del nostro calcio sull’apporto finanziario delle grandi imprese e che è giunta l’ora di cambiare registro, prendendo come riferimento modelli vincenti quali quello tedesco e spagnolo.
Gli anni di gloria sono finiti già da un pezzo e se vogliamo tornare ai fasti di un tempo dobbiamo cambiare mentalità: il calcio di oggi è diverso da quello di una volta e solo i team in possesso di grandi budget possono permettersi di portarlo avanti ad altissimi livelli. Le nostre società invece sono “povere” e le loro disponibilità economiche sono limitate rispetto a quelle di tante altre big d’ Europa. Ma questa povertà ha una sua giustificazione: in Italia negli ultimi 20 anni non si sono mai adottate politiche di investimento per arricchire le casse dei club. Abbiamo sempre rimandato impegni improrogabili e rinunciato a progetti (come gli stadi di proprietà) che oggi più che mai assumono una valenza cruciale per il risanamento del nostro sistema. Dobbiamo fare in fretta a cambiare mentalità, altrimenti rischieremo di far passare troppi anni senza che una squadra italiana riesca a conquistare trofei prestigiosi.
L’involuzione del nostro sistema dunque non nasce per caso ma parte da lontano: otre il 70 per cento del fatturato delle nostre società si fonda sui ricavi dei diritti tv mentre beneficiamo solo in minima parte degli introiti derivanti dagli investimenti nel campo delle nuove infrastrutture e del commercio, i settori che dovrebbero rappresentare le maggiori fonti di guadagno per i nostri club. Serve puntare su politiche gestionali più adeguate e redditizie per le casse societarie, in linea con gli standard europei. Avere più introiti vuol dire potersi permettere un monte ingaggi superiore e tutto ciò si riflette sul campo, dove il divario, come nel caso di Juve-Bayern, viene percepito sensibilmente.
Le società dei campionati ad oggi più in voga hanno un potere di spesa molto maggiore rispetto a quello dei nostri club più competitivi e possono mettere ogni anno sotto contratto giocatori di levatura internazionale. Per dirla alla Marotta: il Bayern può permettersi tutti gli anni il gioiellino da 40 milioni di euro, noi invece no. Battuta simpatica… peccato che, vista la situazione, per ora (e chissà per quanto tempo ancora) ci sia ben poco da ridere…
di Francesco Mafera
Il quadro delineato dal tabellone delle quattro semifinaliste di Champions non lascia spazio a interpretazioni e conferma un dato incontestabile: in questo momento il campionato spagnolo insieme con quello tedesco sono i due più in salute in Europa. Nel post gara di Juve-Bayern, le dichiarazioni del DG bianconero Marotta hanno sostanzialmente lasciato intendere che non è più possibile basare la competitività del nostro calcio sull’apporto finanziario delle grandi imprese e che è giunta l’ora di cambiare registro, prendendo come riferimento modelli vincenti quali quello tedesco e spagnolo.
Gli anni di gloria sono finiti già da un pezzo e se vogliamo tornare ai fasti di un tempo dobbiamo cambiare mentalità: il calcio di oggi è diverso da quello di una volta e solo i team in possesso di grandi budget possono permettersi di portarlo avanti ad altissimi livelli. Le nostre società invece sono “povere” e le loro disponibilità economiche sono limitate rispetto a quelle di tante altre big d’ Europa. Ma questa povertà ha una sua giustificazione: in Italia negli ultimi 20 anni non si sono mai adottate politiche di investimento per arricchire le casse dei club. Abbiamo sempre rimandato impegni improrogabili e rinunciato a progetti (come gli stadi di proprietà) che oggi più che mai assumono una valenza cruciale per il risanamento del nostro sistema. Dobbiamo fare in fretta a cambiare mentalità, altrimenti rischieremo di far passare troppi anni senza che una squadra italiana riesca a conquistare trofei prestigiosi.
L’involuzione del nostro sistema dunque non nasce per caso ma parte da lontano: otre il 70 per cento del fatturato delle nostre società si fonda sui ricavi dei diritti tv mentre beneficiamo solo in minima parte degli introiti derivanti dagli investimenti nel campo delle nuove infrastrutture e del commercio, i settori che dovrebbero rappresentare le maggiori fonti di guadagno per i nostri club. Serve puntare su politiche gestionali più adeguate e redditizie per le casse societarie, in linea con gli standard europei. Avere più introiti vuol dire potersi permettere un monte ingaggi superiore e tutto ciò si riflette sul campo, dove il divario, come nel caso di Juve-Bayern, viene percepito sensibilmente.
Le società dei campionati ad oggi più in voga hanno un potere di spesa molto maggiore rispetto a quello dei nostri club più competitivi e possono mettere ogni anno sotto contratto giocatori di levatura internazionale. Per dirla alla Marotta: il Bayern può permettersi tutti gli anni il gioiellino da 40 milioni di euro, noi invece no. Battuta simpatica… peccato che, vista la situazione, per ora (e chissà per quanto tempo ancora) ci sia ben poco da ridere…
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