Sono i resti della rivoluzione Bolivariana iniziata da Chaves quattordici anni fa
Dallo scorso 15 aprile la Repubblica Bolivariana del Venezuela è decisamente divisa in due. Da quel giorno infatti Nicolas Maduro (cinquantenne, ex leader sindacale, ex deputato, ex ministro degli esteri) è presidente della Repubblica. Ha battuto l’unico rivale, Henrique Capriles, con un distacco di soli 235mila voti. Decisamente non sufficienti a trainare un paese con due fazioni così opposte. Maduro, infatti, è fortemente legato alla condotta filo-socialista di Chavez (il presidente che, fino alla prematura morte avvenuta il 5 marzo 2013, aveva condotto il paese per circa quattordici anni), mentre Capriles, dal canto suo, auspica una democrazia di stampo occidentale.
A giungere nelle mani del nuovo presidente sono le conseguenze delle manovre economiche intraprese da Chavez nel corso dei suoi mandati. Il compianto collega di Maduro non ha mai avuto vita facile. Come del resto non l’hanno mai avuta le sue scelte. La sua è stata una politica incentrata sulla nazionalizzazione delle risorse venezuelane (in particolare petrolifere), che ha portato alla rottura dei rapporti con tutti quegli Stati che fino a poco prima ne abusavano. Tra questi sicuramente gli Stati Uniti d’America, con i quali nei primi anni del duemila i rapporti si sono rarefatti.
I risultati, però, parlano chiaro. Sotto Chavez il divario tra poveri e ricchi si è ristretto, le strutture pubbliche – la scuola in modo particolare – sono state rafforzate e adesso in Venezuela ci si può avvalere dell’assistenza sanitaria gratuita. Questi successi sono testimoni di quattro mandati voluti dal popolo: Chavez infatti non ha mai imposto la sua guida. Alcuni, c’è da dire, l’hanno sempre visto come un agitatore interessato al solo consenso popolare, che per colpa della sua politica nazionalista respingeva i capitali stranieri isolando il paese dal resto del mondo. Oppositori che adesso sono dalla parte di Capriles.
Maduro, quindi, deve fare i conti col Venezuela che produce sempre meno ed importa sempre di più; col Venezuela che diventa amico di Castro mentre le altre potenze mondiali lo guardano con sospetto; con quella parte di Venezuela che non lo accetta come leader e che scende in piazza con le pentole in mano ad urlare “Frode! Frode!”. In effetti, secondo alcuni – Capriles per primo – un odore di marcio queste elezioni ce l’hanno. Basta tener conto delle sessantacinque ore che la televisione nazionale v enezuelana ha dedicato a Maduro nel periodo delle elezioni – dal 2 all’11 aprile – contro i ventitre minuti di Capriles. Carlos Ocariz, il direttore generale della campagna dell’opposizione, ha denunciato “irregolarità” e “abusi” durante le operazioni di voto (per esempio elettori che vengono “scortati” a votare). Il mondo intero – o quasi – chiede il riconteggio dei voti, istanza non ammessa dal Cne (Consiglio nazionale elettorale). Intanto a Caracas scoppiano le prime manifestazioni violente e la tensione sociale viene repressa con lacrimogeni e pallottole di gomma. La folla non è motivata direttamente da Capriles – che se ne discosta –, Maduro però si dice preoccupato e teme un golpe. In una fase in cui il movimento chavista sta morendo e l’opposizione cresce, il nuovo presidente appare già come uno sconfitto, distrutto dalla sua stessa vittoria. I suoi piani sono chiari e sono tutti incentrati sulla valorizzazione del Venezuela, ma questi propositi devono dare presto risultati oppure nessuno riuscirà a placare gli animi di chi chiede a gran voce giustizia e trasparenza nelle azioni del governo.
Dallo scorso 15 aprile la Repubblica Bolivariana del Venezuela è decisamente divisa in due. Da quel giorno infatti Nicolas Maduro (cinquantenne, ex leader sindacale, ex deputato, ex ministro degli esteri) è presidente della Repubblica. Ha battuto l’unico rivale, Henrique Capriles, con un distacco di soli 235mila voti. Decisamente non sufficienti a trainare un paese con due fazioni così opposte. Maduro, infatti, è fortemente legato alla condotta filo-socialista di Chavez (il presidente che, fino alla prematura morte avvenuta il 5 marzo 2013, aveva condotto il paese per circa quattordici anni), mentre Capriles, dal canto suo, auspica una democrazia di stampo occidentale.
A giungere nelle mani del nuovo presidente sono le conseguenze delle manovre economiche intraprese da Chavez nel corso dei suoi mandati. Il compianto collega di Maduro non ha mai avuto vita facile. Come del resto non l’hanno mai avuta le sue scelte. La sua è stata una politica incentrata sulla nazionalizzazione delle risorse venezuelane (in particolare petrolifere), che ha portato alla rottura dei rapporti con tutti quegli Stati che fino a poco prima ne abusavano. Tra questi sicuramente gli Stati Uniti d’America, con i quali nei primi anni del duemila i rapporti si sono rarefatti.
I risultati, però, parlano chiaro. Sotto Chavez il divario tra poveri e ricchi si è ristretto, le strutture pubbliche – la scuola in modo particolare – sono state rafforzate e adesso in Venezuela ci si può avvalere dell’assistenza sanitaria gratuita. Questi successi sono testimoni di quattro mandati voluti dal popolo: Chavez infatti non ha mai imposto la sua guida. Alcuni, c’è da dire, l’hanno sempre visto come un agitatore interessato al solo consenso popolare, che per colpa della sua politica nazionalista respingeva i capitali stranieri isolando il paese dal resto del mondo. Oppositori che adesso sono dalla parte di Capriles.
Maduro, quindi, deve fare i conti col Venezuela che produce sempre meno ed importa sempre di più; col Venezuela che diventa amico di Castro mentre le altre potenze mondiali lo guardano con sospetto; con quella parte di Venezuela che non lo accetta come leader e che scende in piazza con le pentole in mano ad urlare “Frode! Frode!”. In effetti, secondo alcuni – Capriles per primo – un odore di marcio queste elezioni ce l’hanno. Basta tener conto delle sessantacinque ore che la televisione nazionale v enezuelana ha dedicato a Maduro nel periodo delle elezioni – dal 2 all’11 aprile – contro i ventitre minuti di Capriles. Carlos Ocariz, il direttore generale della campagna dell’opposizione, ha denunciato “irregolarità” e “abusi” durante le operazioni di voto (per esempio elettori che vengono “scortati” a votare). Il mondo intero – o quasi – chiede il riconteggio dei voti, istanza non ammessa dal Cne (Consiglio nazionale elettorale). Intanto a Caracas scoppiano le prime manifestazioni violente e la tensione sociale viene repressa con lacrimogeni e pallottole di gomma. La folla non è motivata direttamente da Capriles – che se ne discosta –, Maduro però si dice preoccupato e teme un golpe. In una fase in cui il movimento chavista sta morendo e l’opposizione cresce, il nuovo presidente appare già come uno sconfitto, distrutto dalla sua stessa vittoria. I suoi piani sono chiari e sono tutti incentrati sulla valorizzazione del Venezuela, ma questi propositi devono dare presto risultati oppure nessuno riuscirà a placare gli animi di chi chiede a gran voce giustizia e trasparenza nelle azioni del governo.
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