Quando il vescovo di Roma va in parrocchia…
Che quelle tre ore scarse, ma zeppe di attese, emozioni e sentimenti, potessero esaltare il magnetico e vicendevole feeling tra Francesco e le folle, tutto sommato era facile prevederlo. Ecco perché fin dall’annuncio qualche settimana fa, i vaticanisti si erano annotati bene in evidenza l’appuntamento di ieri: visita alla parrocchia dei santi Elisabetta e Zaccaria di Roma, all’ estrema periferia nord della capitale. E i motivi erano presto detti: atmosfera meno solenne e più familiare che nella più ‘dispersiva’ piazza san Pietro; spazi ravvicinati; novità assoluta dell’evento, per il neoeletto Papa argentino; tradizione, da ultimo, delle visite papali alle parrocchie romane, costellate specie con Wojtyla (l’irraggiungibile recordman delle 301 visite) di gustosi aneddoti.
La realtà, a conti fatti, è andata oltre la più fervida immaginazione. Il Papa (“che è in Vaticano… oggi è venuto il vescovo qui”) ha plasmato a parole e gesti un avvenimento più unico che raro, concedendosi ad infiniti saluti, strette di mano, abbracci, spiegando ai bambini della prima comunione il mistero della Trinità (ammesso e non concesso, peraltro, che si possa spiegare) con una sorta di improvvisato quiz, terminando la celebrazione della messa a capo chino (come già fece all’atto dell’elezione, affacciato su piazza san Pietro), attorniato sull’altare da quegli stessi bambini che cantavano invocando su di lui la famosa benedizione francescana a frate Leone.
Il moderno complesso parrocchiale ha rimpiazzato solo tre anni fa il modesto garage cui per decenni i 12.000 abitanti circa della parrocchia si son dovuti adattare. Ma Giovanni Paolo II, nell’ormai lontano ’97, volle comunque onorarli di una sua visita. Sembra un paradosso, per la città cuore della cristianità, in realtà è un problema annoso la mancanza di chiese nei quartieri periferici di recente costruzione; proprio quelli in cui la parrocchia, in assenza di altri luoghi di aggregazione e servizi, spesso fa da insostituibile ‘collante’ della comunità. La circostanza specifica si prestava a riflessioni non banali, per il Papa che attorno al concetto (non solo ‘geografico’) di ‘periferie’ va elaborando, giorno dopo giorno una sorta di ‘manifesto’ della sua Chiesa. Perché “la realtà si capisce meglio dalle periferie”, ha replicato a inizio mattinata al saluto del parroco (dandogli pure un inconsueto “tu”), il simpatico rumeno don Benoni Ambarus, meglio noto come don Ben tra i suoi giovani.
Ma c’era anche la solennità della Santissima Trinità, nel calendario liturgico, da commentare. E il Papa che in genere ha con sé un’omelia scritta, anche se poi nel leggerla la rielabora lì per lì come gli detta l’ispirazione, ieri nemmeno quella aveva. Non la preparazione, semmai l’improvvisazione esalta le doti del Bergoglio comunicatore, compresa pure una buona dose di ‘flessibilità’, a seconda dell’uditorio a cui si rivolge. In quello assai composito della parrocchia in questione spiccavano 44 bambini della prima comunione, tra cui 16 l’hanno celebrata proprio con lui, gli altri le due domeniche precedenti.
“Chi sa chi è Dio? Alzi la mano! … ecco, Creatore della terra! E quanti ‘dii’ ci sono?”. Il bello, in tutto questo era vedere i bambini infervorati, seduti nelle prime file, rispondere spontanei alle domande di Sua Santità come fosse un sacerdote qualunque. Appurato dunque che Dio è uno, “ma a me hanno detto che ce ne sono tre: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo”, ha obiettato. Mistero svelato (si fa per dire, sennò non sarebbe davvero tale) in pochi minuti di serrato botta e risposta, col Papa che incitava di continuo i suoi interlocutori a dir la loro senza timidezza (“Forte! Forte!”): si tratta di “tre persone in uno”, il Padre che crea, il Figlio che salva e lo Spirito Santo che ama. E Gesù, in particolare, “che cosa fa quando cammina con noi nella vita? Questo è difficile! Chi la fa vince il derby!”, il Roma-Lazio 0-1 della sera a cui, c’è da scommettere, tutti pensavano fin dal mattino.
Prima c’era stata una curiosa annotazione su Maria che seppure incinta di Gesù parte per andare in aiuto della cugina Elisabetta, incinta anche lei di Giovanni il Battista: “è la nostra mamma che viene sempre in fretta quando abbiamo bisogno di lei… dovremmo aggiungere alle litanie una che dica ‘Signora che vai in fretta prega per noi’”. Ma anche Francesco si sbriga, se serve a guadagnare minuti preziosi per qualcosa che gli sta a cuore. Il suo elicottero (troppo lungo sarebbe stato il tragitto in auto) doveva atterrare nel campo di calcetto dell’oratorio parrocchiale attorno alle 9.00, come da programma. Almeno venti minuti prima, il Papa era già lì a distribuire abbracci, baci e strette di mani alle giovani famiglie dei bambini battezzati nell’anno in corso. Poi i malati e i disabili, dentro la Chiesa, i bambini della prima comunione e i più stretti collaboratori della parrocchia al termine della messa, infine un ampio giro con una piccola autovettura scoperta tra migliaia di persone accalcate lungo le strade circostanti.
Tutto filato via liscio in un’atmosfera di gioiosa cordialità. I successivi incontri tra il Papa e la sua gente di Roma, pare proprio di intuire, regaleranno a tutti parecchie sorprese ancora. Merito dell’attenzione amorevole che Jorge Bergoglio ha e manifesta a chiunque abbia a che fare anche solo un istante con lui; anche il solerte quanto discreto segretario personale don Alfred, che certo non si aspettava l’applauso pubblico per il suo anniversario numero 29 di ordinazione sacerdotale.
E nella cronaca della giornata spicca infine un’altra bella nota. Da quando, per volontà di Benedetto XVI, le beatificazioni si celebrano nei luoghi a cui appartiene la biografia dei nuovi beati, la prassi è che il Papa ne faccia almeno menzione all’Angelus della domenica a san Pietro. Sabato, per l’appunto, è stato beatificato a Palermo il martire don Pino Puglisi, freddato venti anni fa da un killer assoldato dai clan mafiosi di Brancaccio, la parrocchia di don Pino, degradata periferia devastata dall’asfissiante malavita organizzata. Una giornata storica, per ogni nemico della mafia, a cui si è idealmente associato Bergoglio con parole (di nuovo improvvisate) pesanti e dense di commozione: “penso a tanti dolori di uomini e donne, anche bambini sfruttati per tante mafie che li sfruttano facendoli schiavi, penso al lavoro schiavo, alla prostituzione, a tante pressioni sociali: dietro questo ci sono tante mafie… Preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio”.
di Paolo Fucili
Che quelle tre ore scarse, ma zeppe di attese, emozioni e sentimenti, potessero esaltare il magnetico e vicendevole feeling tra Francesco e le folle, tutto sommato era facile prevederlo. Ecco perché fin dall’annuncio qualche settimana fa, i vaticanisti si erano annotati bene in evidenza l’appuntamento di ieri: visita alla parrocchia dei santi Elisabetta e Zaccaria di Roma, all’ estrema periferia nord della capitale. E i motivi erano presto detti: atmosfera meno solenne e più familiare che nella più ‘dispersiva’ piazza san Pietro; spazi ravvicinati; novità assoluta dell’evento, per il neoeletto Papa argentino; tradizione, da ultimo, delle visite papali alle parrocchie romane, costellate specie con Wojtyla (l’irraggiungibile recordman delle 301 visite) di gustosi aneddoti.
La realtà, a conti fatti, è andata oltre la più fervida immaginazione. Il Papa (“che è in Vaticano… oggi è venuto il vescovo qui”) ha plasmato a parole e gesti un avvenimento più unico che raro, concedendosi ad infiniti saluti, strette di mano, abbracci, spiegando ai bambini della prima comunione il mistero della Trinità (ammesso e non concesso, peraltro, che si possa spiegare) con una sorta di improvvisato quiz, terminando la celebrazione della messa a capo chino (come già fece all’atto dell’elezione, affacciato su piazza san Pietro), attorniato sull’altare da quegli stessi bambini che cantavano invocando su di lui la famosa benedizione francescana a frate Leone.
Il moderno complesso parrocchiale ha rimpiazzato solo tre anni fa il modesto garage cui per decenni i 12.000 abitanti circa della parrocchia si son dovuti adattare. Ma Giovanni Paolo II, nell’ormai lontano ’97, volle comunque onorarli di una sua visita. Sembra un paradosso, per la città cuore della cristianità, in realtà è un problema annoso la mancanza di chiese nei quartieri periferici di recente costruzione; proprio quelli in cui la parrocchia, in assenza di altri luoghi di aggregazione e servizi, spesso fa da insostituibile ‘collante’ della comunità. La circostanza specifica si prestava a riflessioni non banali, per il Papa che attorno al concetto (non solo ‘geografico’) di ‘periferie’ va elaborando, giorno dopo giorno una sorta di ‘manifesto’ della sua Chiesa. Perché “la realtà si capisce meglio dalle periferie”, ha replicato a inizio mattinata al saluto del parroco (dandogli pure un inconsueto “tu”), il simpatico rumeno don Benoni Ambarus, meglio noto come don Ben tra i suoi giovani.
Ma c’era anche la solennità della Santissima Trinità, nel calendario liturgico, da commentare. E il Papa che in genere ha con sé un’omelia scritta, anche se poi nel leggerla la rielabora lì per lì come gli detta l’ispirazione, ieri nemmeno quella aveva. Non la preparazione, semmai l’improvvisazione esalta le doti del Bergoglio comunicatore, compresa pure una buona dose di ‘flessibilità’, a seconda dell’uditorio a cui si rivolge. In quello assai composito della parrocchia in questione spiccavano 44 bambini della prima comunione, tra cui 16 l’hanno celebrata proprio con lui, gli altri le due domeniche precedenti.
“Chi sa chi è Dio? Alzi la mano! … ecco, Creatore della terra! E quanti ‘dii’ ci sono?”. Il bello, in tutto questo era vedere i bambini infervorati, seduti nelle prime file, rispondere spontanei alle domande di Sua Santità come fosse un sacerdote qualunque. Appurato dunque che Dio è uno, “ma a me hanno detto che ce ne sono tre: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo”, ha obiettato. Mistero svelato (si fa per dire, sennò non sarebbe davvero tale) in pochi minuti di serrato botta e risposta, col Papa che incitava di continuo i suoi interlocutori a dir la loro senza timidezza (“Forte! Forte!”): si tratta di “tre persone in uno”, il Padre che crea, il Figlio che salva e lo Spirito Santo che ama. E Gesù, in particolare, “che cosa fa quando cammina con noi nella vita? Questo è difficile! Chi la fa vince il derby!”, il Roma-Lazio 0-1 della sera a cui, c’è da scommettere, tutti pensavano fin dal mattino.
Prima c’era stata una curiosa annotazione su Maria che seppure incinta di Gesù parte per andare in aiuto della cugina Elisabetta, incinta anche lei di Giovanni il Battista: “è la nostra mamma che viene sempre in fretta quando abbiamo bisogno di lei… dovremmo aggiungere alle litanie una che dica ‘Signora che vai in fretta prega per noi’”. Ma anche Francesco si sbriga, se serve a guadagnare minuti preziosi per qualcosa che gli sta a cuore. Il suo elicottero (troppo lungo sarebbe stato il tragitto in auto) doveva atterrare nel campo di calcetto dell’oratorio parrocchiale attorno alle 9.00, come da programma. Almeno venti minuti prima, il Papa era già lì a distribuire abbracci, baci e strette di mani alle giovani famiglie dei bambini battezzati nell’anno in corso. Poi i malati e i disabili, dentro la Chiesa, i bambini della prima comunione e i più stretti collaboratori della parrocchia al termine della messa, infine un ampio giro con una piccola autovettura scoperta tra migliaia di persone accalcate lungo le strade circostanti.
Tutto filato via liscio in un’atmosfera di gioiosa cordialità. I successivi incontri tra il Papa e la sua gente di Roma, pare proprio di intuire, regaleranno a tutti parecchie sorprese ancora. Merito dell’attenzione amorevole che Jorge Bergoglio ha e manifesta a chiunque abbia a che fare anche solo un istante con lui; anche il solerte quanto discreto segretario personale don Alfred, che certo non si aspettava l’applauso pubblico per il suo anniversario numero 29 di ordinazione sacerdotale.
E nella cronaca della giornata spicca infine un’altra bella nota. Da quando, per volontà di Benedetto XVI, le beatificazioni si celebrano nei luoghi a cui appartiene la biografia dei nuovi beati, la prassi è che il Papa ne faccia almeno menzione all’Angelus della domenica a san Pietro. Sabato, per l’appunto, è stato beatificato a Palermo il martire don Pino Puglisi, freddato venti anni fa da un killer assoldato dai clan mafiosi di Brancaccio, la parrocchia di don Pino, degradata periferia devastata dall’asfissiante malavita organizzata. Una giornata storica, per ogni nemico della mafia, a cui si è idealmente associato Bergoglio con parole (di nuovo improvvisate) pesanti e dense di commozione: “penso a tanti dolori di uomini e donne, anche bambini sfruttati per tante mafie che li sfruttano facendoli schiavi, penso al lavoro schiavo, alla prostituzione, a tante pressioni sociali: dietro questo ci sono tante mafie… Preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano a Dio”.
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