Un forte sostegno della comunità internazionale alla Somalia, per uscire dalla situazione di violenza e di caos istituzionale, scoppiata nel 1991 con la guerra civile. Se ne è parlato ieri a Londra nella Conferenza internazionale, alla quale hanno preso parte delegazioni di 50 Paesi. Sagida Syed: ascolta
Radio Vaticana - “La Somalia non è sola”. Con questo messaggio i delegati di 50 Paesi hanno voluto offrire sostegno al presidente Hassan Sheikh Mohamud ed al suo governo, insediato nel Paese lo scorso settembre 2012. Nella Conferenza di Londra presieduta dal premier David Cameron e da Mohamud – la seconda dopo quella dell’anno scorso ad Istanbul – si è voluto dare un segno concreto al fine di sradicare la povertà, a fermare la violenza contro le donne e i bambini, combattere la carestia che negli ultimi due anni ha ucciso più di 250 mila persone ed abbattere il terrorismo di stampo alquedista, che controlla ancora parte del sud del Paese. 130 milioni di dollari verranno erogati al fine di sostenere le riforme avviate dal nuovo presidente per la ricostruzione del Paese, totalmente dipendente dagli aiuti internazionali. Mohamud ha dichiarato che le forze armate dell’Unione africana - che difendono la Somalia dagli estremisti islamici del gruppo di Al-Shabaab – sono riusciti anche a ridurre dell’80% la piaga della pirateria, garantendo maggiore sicurezza alle navi di passaggio e quindi al commercio. Gli aiuti internazionali serviranno a ricostruire ogni settore della società civile per poter attirare investimenti stranieri.
Sulla crisi in Somalia Roberta Gisotti ha intervistato mons. Giorgio Bertin, nunzio apostolico della Somalia e vescovo di Mogadiscio, residente per motivi di sicurezza a Gibuti: ascolta
R. – L’ombra più importante è costituita da questa opposizione armata e dal concetto di federalismo che probabilmente o non è chiaro oppure trova difficoltà ad essere messo in pratica. Rimangono dei punti da studiare meglio, in questa occasione, per potere dare una risposta più appropriata alla situazione attuale della Somalia.
D. – Anche negli ultimi giorni ci sono stati attacchi terroristici: come potrà il governo in carica, il presidente attuale, fronteggiare questa situazione?
R. – Quello che ho notato durante i miei due recenti viaggi del mese di aprile a Mogadiscio è, appunto, questa situazione delle istituzioni nuove, riconosciute ed accettate dalla comunità internazionale ma che sul posto ancora stentano ad essere riconosciute, ad essere accettate, probabilmente anche perché i somali si sono abituati da 22 anni a vivere senza istituzioni statali. Allora direi che questa difficoltà è ben presente. La questione degli attacchi di questi ultimi due mesi è una riprova della difficoltà oggettiva che le nuove istituzioni, che il nuovo Stato deve affrontare. Io spesso dico che è un inizio tutto in salita per le nuove istituzioni, e allora io non dispererei. Mi dispiace per quelli che hanno perso la vita e che perderanno ancora la vita per questa opposizione che c’è, però è questo il cammino da proseguire.
D. – Può essere importante in questo momento sostenere con aiuti umanitari la Somalia, dove la popolazione – oltre ad aver vissuto, appunto, oltre 20 anni di anarchia – ha sofferto molte crisi di carestia?
R. – Sì! Certamente l’azione umanitaria è assolutamente necessaria, anche perché le nuove istituzioni, il nuovo governo incominciano con le "tasche vuote". Il consiglio che io darei è quello di cercare di favorire le istituzioni governative a prendere esse stesse in mano qualche azione a carattere sociale, perché per il momento ci sono diverse agenzie dell’Onu, organizzazioni umanitarie internazionali, Ong locali che operano per dare tutta la risposta al dramma umanitario. Ecco, quello che io mi aspetterei è che la comunità internazionale sostenga e incoraggi il governo a prendere in mano anche lui qualche azione umanitaria, pur sapendo che la priorità è quella della sicurezza.
Radio Vaticana - “La Somalia non è sola”. Con questo messaggio i delegati di 50 Paesi hanno voluto offrire sostegno al presidente Hassan Sheikh Mohamud ed al suo governo, insediato nel Paese lo scorso settembre 2012. Nella Conferenza di Londra presieduta dal premier David Cameron e da Mohamud – la seconda dopo quella dell’anno scorso ad Istanbul – si è voluto dare un segno concreto al fine di sradicare la povertà, a fermare la violenza contro le donne e i bambini, combattere la carestia che negli ultimi due anni ha ucciso più di 250 mila persone ed abbattere il terrorismo di stampo alquedista, che controlla ancora parte del sud del Paese. 130 milioni di dollari verranno erogati al fine di sostenere le riforme avviate dal nuovo presidente per la ricostruzione del Paese, totalmente dipendente dagli aiuti internazionali. Mohamud ha dichiarato che le forze armate dell’Unione africana - che difendono la Somalia dagli estremisti islamici del gruppo di Al-Shabaab – sono riusciti anche a ridurre dell’80% la piaga della pirateria, garantendo maggiore sicurezza alle navi di passaggio e quindi al commercio. Gli aiuti internazionali serviranno a ricostruire ogni settore della società civile per poter attirare investimenti stranieri.
Sulla crisi in Somalia Roberta Gisotti ha intervistato mons. Giorgio Bertin, nunzio apostolico della Somalia e vescovo di Mogadiscio, residente per motivi di sicurezza a Gibuti: ascolta
R. – L’ombra più importante è costituita da questa opposizione armata e dal concetto di federalismo che probabilmente o non è chiaro oppure trova difficoltà ad essere messo in pratica. Rimangono dei punti da studiare meglio, in questa occasione, per potere dare una risposta più appropriata alla situazione attuale della Somalia.
D. – Anche negli ultimi giorni ci sono stati attacchi terroristici: come potrà il governo in carica, il presidente attuale, fronteggiare questa situazione?
R. – Quello che ho notato durante i miei due recenti viaggi del mese di aprile a Mogadiscio è, appunto, questa situazione delle istituzioni nuove, riconosciute ed accettate dalla comunità internazionale ma che sul posto ancora stentano ad essere riconosciute, ad essere accettate, probabilmente anche perché i somali si sono abituati da 22 anni a vivere senza istituzioni statali. Allora direi che questa difficoltà è ben presente. La questione degli attacchi di questi ultimi due mesi è una riprova della difficoltà oggettiva che le nuove istituzioni, che il nuovo Stato deve affrontare. Io spesso dico che è un inizio tutto in salita per le nuove istituzioni, e allora io non dispererei. Mi dispiace per quelli che hanno perso la vita e che perderanno ancora la vita per questa opposizione che c’è, però è questo il cammino da proseguire.
D. – Può essere importante in questo momento sostenere con aiuti umanitari la Somalia, dove la popolazione – oltre ad aver vissuto, appunto, oltre 20 anni di anarchia – ha sofferto molte crisi di carestia?
R. – Sì! Certamente l’azione umanitaria è assolutamente necessaria, anche perché le nuove istituzioni, il nuovo governo incominciano con le "tasche vuote". Il consiglio che io darei è quello di cercare di favorire le istituzioni governative a prendere esse stesse in mano qualche azione a carattere sociale, perché per il momento ci sono diverse agenzie dell’Onu, organizzazioni umanitarie internazionali, Ong locali che operano per dare tutta la risposta al dramma umanitario. Ecco, quello che io mi aspetterei è che la comunità internazionale sostenga e incoraggi il governo a prendere in mano anche lui qualche azione umanitaria, pur sapendo che la priorità è quella della sicurezza.
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