La proposta di legge "Io riattivo il lavoro" e la sfida di di far diventare le aziende confiscate un credibile presidio di lavoro. L’esempio della “Calcestruzzi Ericina Libera Terra” e le tante leggi da cambiare. Intervista ad Enrico Fontana, curatore del rapporto annuale "Ecomafie" di Legambiente
Città Nuova - «I ragazzi nelle scuole vi applaudono quando parlate di legalità, ma quando cercheranno lavoro troveranno noi e non voi». Resta sempre attuale la lucida analisi del boss Aglieri ai magistrati che lo interrogavano. L’abilità finanziaria e l’intraprendenza imprenditoriale rientrano tra le caratteristiche della grande holding delle mafie che raggiunge un fatturato stimato di 170 miliardi di lire l’anno. Per poter uscire dalla crisi occorre una forte risposta sociale che sia in grado di smentire l’affermazione realistica secondo cui «con la mafia bisogna convivere». Esistono, ad oggi, 1639 aziende confiscate al potere criminale, ma il 90 per cento rischia di avviarsi al fallimento, compromettendo il destino degli oltre 80 mila dipendenti interessati. Servono nuove norme e un deciso intervento pubblico per offrire quegli «strumenti necessari di sostegno a chi si impegna per restituire alla collettività i beni e le aziende confiscate alle mafie», come afferma il progetto di legge popolare che sarà presentato a giorni dalla campagna «Io riattivo il lavoro», che ha raccolto le firme da depositare in Parlamento.
Si spera che la proposta entri subito in discussione perché rappresenta la sfida possibile di far diventare le aziende confiscate un credibile presidio di lavoro legale e dignitoso.
Un caso emblematico da seguire con attenzione è quello della Calcestruzzi Ericina in provincia di Trapani. Si tratta, come ci ha detto Enrico Fontana, presidente del consorzio Libera Terra Mediterraneo, di un’azienda confiscata nel 2000 perché ritenuta nella disponibilità di fatto del boss Vincenzo Virga. Nel trapanese, infatti, “Cosa Nostra” ha costruito un impero economico facendo scomparire intere dune del litorale marino, cavando abusivamente la sabbia, e costruendo un monopolio di fatto in questo settore.
Abbiamo fatto alcune domande a Enrico Fontana che è anche il curatore del rapporto annuale Ecomafie di Legambiente.
In cosa consiste la novità di questa azienda?
«Dopo la confisca, la Calcestruzzi Ericina, invece di essere venduta come pure consente la legge, è stata assegnata, grazie al grande impegno del prefetto Fulvio Sodano, ad una cooperativa di lavoratori che l’ha ricevuta in comodato gratuito, grazie alla legge 109 del 1996 sull’uso sociale dei beni confiscati».
Quanto è stata difficile la strada del riscatto?
«Si è trattato di un percorso molto difficile per gli operai che hanno costituito la cooperativa “Calcestruzzi Ericina Libera terra”. Subito dopo la confisca, c’è stata una drastica riduzione dei clienti privati che prima si rivolgevano all’azienda del boss. Ora l’azienda, tra mille difficoltà, non solo continua a produrre calcestruzzo, ma ha cercato di innescare un pezzo di economia virtuosa, riciclando gli inerti e i materiali da demolizione, grazie a un impianto a tecnologia avanzata».
Quale novità di processo produttivo è stata introdotta?
«Concretamente si tratta di usare le macerie dismesse non come rifiuto, ma come base per nuovi materiali, certificati, riutilizzabili sia nelle opere pubbliche che nell’edilizia, al posto di sabbia, ghiaia o pietrisco, senza necessità di aprire nuove cave. L’Italia, per dare un’idea del lavoro che c’è da fare, è ferma al 10 per cento del riciclaggio degli inerti da demolizione contro il 70-80 per cento di Danimarca e Olanda».
Cosa si dovrebbe fare per sostenere questo tipo di attività?
«Possiamo condurre una lotta efficace alle ecomafie solo se riusciamo almeno a rendere obbligatorio per le pubbliche amministrazioni il rispetto di certi criteri equi e virtuosi negli acquisti, come prevedono direttive comunitarie e norme nazionali. A cominciare proprio dalla provincia di Trapani, dove questo ancora non accade nonostante la disponibilità dei materiali da riciclo prodotti dalla Ericina. E bisogna incidere sulle regole che governano gli appalti pubblici, che non possono seguire solo la regola del prezzo più basso».
Città Nuova - «I ragazzi nelle scuole vi applaudono quando parlate di legalità, ma quando cercheranno lavoro troveranno noi e non voi». Resta sempre attuale la lucida analisi del boss Aglieri ai magistrati che lo interrogavano. L’abilità finanziaria e l’intraprendenza imprenditoriale rientrano tra le caratteristiche della grande holding delle mafie che raggiunge un fatturato stimato di 170 miliardi di lire l’anno. Per poter uscire dalla crisi occorre una forte risposta sociale che sia in grado di smentire l’affermazione realistica secondo cui «con la mafia bisogna convivere». Esistono, ad oggi, 1639 aziende confiscate al potere criminale, ma il 90 per cento rischia di avviarsi al fallimento, compromettendo il destino degli oltre 80 mila dipendenti interessati. Servono nuove norme e un deciso intervento pubblico per offrire quegli «strumenti necessari di sostegno a chi si impegna per restituire alla collettività i beni e le aziende confiscate alle mafie», come afferma il progetto di legge popolare che sarà presentato a giorni dalla campagna «Io riattivo il lavoro», che ha raccolto le firme da depositare in Parlamento.
Si spera che la proposta entri subito in discussione perché rappresenta la sfida possibile di far diventare le aziende confiscate un credibile presidio di lavoro legale e dignitoso.
Un caso emblematico da seguire con attenzione è quello della Calcestruzzi Ericina in provincia di Trapani. Si tratta, come ci ha detto Enrico Fontana, presidente del consorzio Libera Terra Mediterraneo, di un’azienda confiscata nel 2000 perché ritenuta nella disponibilità di fatto del boss Vincenzo Virga. Nel trapanese, infatti, “Cosa Nostra” ha costruito un impero economico facendo scomparire intere dune del litorale marino, cavando abusivamente la sabbia, e costruendo un monopolio di fatto in questo settore.
Abbiamo fatto alcune domande a Enrico Fontana che è anche il curatore del rapporto annuale Ecomafie di Legambiente.
In cosa consiste la novità di questa azienda?
«Dopo la confisca, la Calcestruzzi Ericina, invece di essere venduta come pure consente la legge, è stata assegnata, grazie al grande impegno del prefetto Fulvio Sodano, ad una cooperativa di lavoratori che l’ha ricevuta in comodato gratuito, grazie alla legge 109 del 1996 sull’uso sociale dei beni confiscati».
Quanto è stata difficile la strada del riscatto?
«Si è trattato di un percorso molto difficile per gli operai che hanno costituito la cooperativa “Calcestruzzi Ericina Libera terra”. Subito dopo la confisca, c’è stata una drastica riduzione dei clienti privati che prima si rivolgevano all’azienda del boss. Ora l’azienda, tra mille difficoltà, non solo continua a produrre calcestruzzo, ma ha cercato di innescare un pezzo di economia virtuosa, riciclando gli inerti e i materiali da demolizione, grazie a un impianto a tecnologia avanzata».
Quale novità di processo produttivo è stata introdotta?
«Concretamente si tratta di usare le macerie dismesse non come rifiuto, ma come base per nuovi materiali, certificati, riutilizzabili sia nelle opere pubbliche che nell’edilizia, al posto di sabbia, ghiaia o pietrisco, senza necessità di aprire nuove cave. L’Italia, per dare un’idea del lavoro che c’è da fare, è ferma al 10 per cento del riciclaggio degli inerti da demolizione contro il 70-80 per cento di Danimarca e Olanda».
Cosa si dovrebbe fare per sostenere questo tipo di attività?
«Possiamo condurre una lotta efficace alle ecomafie solo se riusciamo almeno a rendere obbligatorio per le pubbliche amministrazioni il rispetto di certi criteri equi e virtuosi negli acquisti, come prevedono direttive comunitarie e norme nazionali. A cominciare proprio dalla provincia di Trapani, dove questo ancora non accade nonostante la disponibilità dei materiali da riciclo prodotti dalla Ericina. E bisogna incidere sulle regole che governano gli appalti pubblici, che non possono seguire solo la regola del prezzo più basso».
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