Un esperimento per la televisione: vestirsi e truccarsi da donna e fare un giro per le strade del Cairo. Lui si chiama Waleed Hammad ed è un giovane attore che ha notato come “anche camminare per la strada sia uno sforzo”.
di Ilaria Sulla
Hammad ha camminato per le strade del Cairo sia col velo che senza. Mentre lo faceva senza velo, gli si è avvicinato un uomo che gli ha chiesto quale fosse la sua tariffa per una prestazione sessuale. Dopo poco due ragazzi gli sono passati accanto urlando apprezzamenti pesanti. Poi Hammad ha indossato il velo, e immediatamente alcuni ragazzi gli hanno sussurrato commenti osceni. “Ho realizzato che per una donna camminare per le strade è uno sforzo notevole, sia fisico sia psicologico. E’ come se fossero continuamente sotto assedio”, ha commentato l’attore. In effetti, l’esperimento del programma televisivo d’inchiesta “Awel el Khayt” (“Il primo filo”), voleva comprendere cosa tocca a una donna ogni volta che cammina per la strada. Così Ramy Aly, consulente editoriale della trasmissione, ha spiegato l’esperimento: “Il nostro scopo era raccontare il fenomeno ma anche far immedesimare gli uomini in una situazione che difficilmente riescono a capire”.
Dopo la fine del regime di Mubarak e soprattutto dopo la rivoluzione egiziana, raccontare episodi come questo non è più impossibile, e infatti emittenti televisive, radiofoniche ed altri mezzi di comunicazione tentano di spiegare la discutibile condizione della donna egiziana. Adriana Ferreri ha scritto un articolo intitolato 'La questione femminile nell’Egitto contemporaneo' in cui ha spiegato: “Un ipotetico schema della società egiziana rispecchia perfettamente l’immaginario comune che nel XXI secolo si può avere di un qualsiasi paese a maggioranza musulmana: donne velate, vetture della metropolitana riservate a loro soltanto, uomini che fumano narghilè nei caffè e finte trattative di cammelli e mogli tra negozianti poliglotti del suq di Khan el-Khalili e divertiti turisti in preda a manie da sconto perché è così che funziona qui”. “Basta però fermarsi qualche giorno in più – ha continuato la giornalista - abbandonare la zona turistica (che al Cairo è decisamente ridotta rispetto all’intera città), perché saltino agli occhi nuove immagini: immigrati occidentali ovunque, ragazze senza velo con abiti attillati dai colori sgargianti, migliaia di studentesse universitarie egiziane ansiose di terminare gli studi per poi iniziare una brillante carriera”.
Questo è sicuramente un passo in avanti per quanto riguarda i diritti della donna egiziana, ma secondo i dati pubblicati il mese scorso dalle Nazioni Unite il 99,3% delle donne in Egitto è stata molestata almeno una volta nella sua vita. Il dato ancora più allarmante è che il 96,5% di queste è stata toccata nelle zone intime mentre camminava per la strada, mentre il 95,5% è stata molestata verbalmente.
Le motivazione di numeri così sconcertanti sono da ricercare sicuramente nelle abitudini sociali e nel fatto che episodi di questo tipo rappresentano la routine quotidiana. Non meno importante il fatto che non esiste ancora una legge del codice penale egiziano che punisca le molestie, per questo la donna è impaurita e difficilmente denuncia, non avendo la legge dalla sua parte e rischiando addirittura di sentirsi dire dalla famiglia di “essersela cercata”. La pressione mediatica riguardo questo argomento è sempre più insistente, e questo è sicuramente un bene, ma per le strade egiziane il fenomeno non è in decrescita. In ogni caso, dopo la rivoluzione, sono stati creati in Egitto corsi di autodifesa personale e gruppi volontari, come i “Tahrir bodyguard”, che proteggono le donne durante le manifestazioni.
di Ilaria Sulla
Hammad ha camminato per le strade del Cairo sia col velo che senza. Mentre lo faceva senza velo, gli si è avvicinato un uomo che gli ha chiesto quale fosse la sua tariffa per una prestazione sessuale. Dopo poco due ragazzi gli sono passati accanto urlando apprezzamenti pesanti. Poi Hammad ha indossato il velo, e immediatamente alcuni ragazzi gli hanno sussurrato commenti osceni. “Ho realizzato che per una donna camminare per le strade è uno sforzo notevole, sia fisico sia psicologico. E’ come se fossero continuamente sotto assedio”, ha commentato l’attore. In effetti, l’esperimento del programma televisivo d’inchiesta “Awel el Khayt” (“Il primo filo”), voleva comprendere cosa tocca a una donna ogni volta che cammina per la strada. Così Ramy Aly, consulente editoriale della trasmissione, ha spiegato l’esperimento: “Il nostro scopo era raccontare il fenomeno ma anche far immedesimare gli uomini in una situazione che difficilmente riescono a capire”.
Dopo la fine del regime di Mubarak e soprattutto dopo la rivoluzione egiziana, raccontare episodi come questo non è più impossibile, e infatti emittenti televisive, radiofoniche ed altri mezzi di comunicazione tentano di spiegare la discutibile condizione della donna egiziana. Adriana Ferreri ha scritto un articolo intitolato 'La questione femminile nell’Egitto contemporaneo' in cui ha spiegato: “Un ipotetico schema della società egiziana rispecchia perfettamente l’immaginario comune che nel XXI secolo si può avere di un qualsiasi paese a maggioranza musulmana: donne velate, vetture della metropolitana riservate a loro soltanto, uomini che fumano narghilè nei caffè e finte trattative di cammelli e mogli tra negozianti poliglotti del suq di Khan el-Khalili e divertiti turisti in preda a manie da sconto perché è così che funziona qui”. “Basta però fermarsi qualche giorno in più – ha continuato la giornalista - abbandonare la zona turistica (che al Cairo è decisamente ridotta rispetto all’intera città), perché saltino agli occhi nuove immagini: immigrati occidentali ovunque, ragazze senza velo con abiti attillati dai colori sgargianti, migliaia di studentesse universitarie egiziane ansiose di terminare gli studi per poi iniziare una brillante carriera”.
Questo è sicuramente un passo in avanti per quanto riguarda i diritti della donna egiziana, ma secondo i dati pubblicati il mese scorso dalle Nazioni Unite il 99,3% delle donne in Egitto è stata molestata almeno una volta nella sua vita. Il dato ancora più allarmante è che il 96,5% di queste è stata toccata nelle zone intime mentre camminava per la strada, mentre il 95,5% è stata molestata verbalmente.
Le motivazione di numeri così sconcertanti sono da ricercare sicuramente nelle abitudini sociali e nel fatto che episodi di questo tipo rappresentano la routine quotidiana. Non meno importante il fatto che non esiste ancora una legge del codice penale egiziano che punisca le molestie, per questo la donna è impaurita e difficilmente denuncia, non avendo la legge dalla sua parte e rischiando addirittura di sentirsi dire dalla famiglia di “essersela cercata”. La pressione mediatica riguardo questo argomento è sempre più insistente, e questo è sicuramente un bene, ma per le strade egiziane il fenomeno non è in decrescita. In ogni caso, dopo la rivoluzione, sono stati creati in Egitto corsi di autodifesa personale e gruppi volontari, come i “Tahrir bodyguard”, che proteggono le donne durante le manifestazioni.
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