lunedì, maggio 27, 2013
A Siena l’incontro con il presidente degli economisti ambientali europei e leader Ipcc

GreenReport - Negli ultimi anni si fa un gran parlare di sviluppo sostenibile, sebbene non ancora quanto sarebbe necessario (e soprattutto non nei contesti più opportuni), ma al contempo si nota in crescendo una certa confusione al riguardo. Il proliferare della più variegata terminologia non aiuta a fissare il concetto: sviluppo sostenibile, crescita verde, ma anche il semplice appellativo green vengono spesso usati con faciloneria. Dietro la parola, si perdono così i contenuti. Ma cosa si intende per sviluppo sostenibile? La definizione forse più calzante risale al 1987. Si tratta dello sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Parte da qui Anil Markandya per aprire il seminario Green growth: old wine in new bottles, introdotto da Simone Borghesi e patrocinato dall'Europe Direct e dal gruppo NeSSO dell'università di Siena.

Markandya, presidente della Società europea degli economisti ambientali e membro di primo piano del celebre Ipcc - l'Intergovernmental panel on climate change, con cui ha vinto il premio Nobel per la pace nel 2007 - delinea un quadro dipinto dall'esperienza di anni. «Abbiamo lavorato per rendere operativa l'idea di sviluppo sostenibile dal 1985», incalza. E cosa abbiamo ottenuto? «I metodi di valutazione dell'impatto ambientale degli investimenti sono migliorati notevolmente; negli ultimi 30 anni, inoltre, la percentuale della popolazione mondiale che vive al di sotto della soglia di povertà si è dimezzata - dal 52% nel 1980 al 25% di oggi - Questo significa un calo da 1,9 a 1,4 miliardi di persone. Vi è però un crescente divario tra gli indicatori di qualità nel mondo sviluppato e in via di sviluppo. Le emissioni di gas terra continuano ad aumentare, il degrado degli ecosistemi e il disastro degli ecosistemi si susseguono. La nostra capacità di ridurre la povertà in futuro sarà limitata dalla fragilità ecologica dei sistemi da cui i restanti poveri dipendono».

È utile ricordare a questo punto come rendere verde l'economia «non può essere fatto a costo zero: il Pil potrebbe diminuire, i costi di quest'azione colpiranno qualcuno». Scegliere chi non è affatto indifferente. Il concetto di sviluppo sostenibile non implica crescita zero, ma un percorso di crescita che tiene conto dei vincoli ambientali, per «non-declino del benessere del tempo. Con una popolazione a crescita zero, lo sviluppo sostenibile potrebbe implicare crescita zero; questo non vale con una popolazione demografica in crescita». Ma è possibile la crescita a lungo termine? Markandya risponde che una tale crescita è effettivamente solo «un'esperienza dei nostri 200 ultimi anni. Nella nostra civiltà prima gli standard di vita erano ciclici, ma senza crescita. Tuttavia - precisa l'economista - un crollo improvviso e duraturo della crescita è improbabile». Ma non è importante solo la durata, c'è anche la qualità della crescita. «La relazione tra la riduzione della crescita e l'andamento povertà dipende dal tipo di crescita, da quanto la crescita è orientata a favore dei poveri».

Per rilanciare la sfida nei termini in cui già venne individuata da Brundtland - che affermò decisamente come «Lo sviluppo sostenibile richiede l'eliminazione della povertà e della privazione» - adesso il predominio lessicale è stato conquistato dalla green growth, dalla crescita verde, lasciando scivolare lentamente nel dimenticatoio lo sviluppo sostenibile. Se la battaglia delle parole scade nel naif, si rischia però di lasciare indietro i fatti. «Volendo far leva sulla crisi finanziaria come mezzo per promuovere una crescita verde - spiega Markandya - si parla adesso di un Global green new deal, un pacchetto di stimolo coordinato a livello globale. Nel 2009, i governi avevano promesso 3mila miliardi di dollari di investimenti... tuttavia, la crisi del 2009-2010 è finita, ora abbiamo una nuova crisi in corso e lo stimolo fiscale è stato smorzato dalle preoccupazioni sul debito pubblico».

Delle proposte di un green new deal si discute sottoforma di politiche per lo sviluppo sostenibile «ormai da trent'anni, con qualche - ma solo parziale - successo. Da questo punto di vista, il green new deal di cui ora si discute non offre nuovi e particolari input». Dopo decenni, la battaglia sulle parole è andata dunque avanti, quella sui fatti molto meno. Markandya non invita però a lasciarsi andare al pessimismo. Cita l'esempio del tabacco, ricorda come il dibattito sulla necessità di ridurne il consumo sia iniziato 50 anni fa, mentre risultati sostanziali sono giunti solo recentemente. «Un sacco di energia intellettuale è già stata dedicata a pensare come applicare lo sviluppo sostenibile, ma molte buone idee hanno bisogno di tempo per essere implementate. A volte ci stanchiamo e annoiamo nel ripetere gli stessi concetti. Si tratta davvero di cambiare soltanto bottiglia ad un vino vecchio. Ma nel caso della strategia per la crescita verde, ne vale la pena». E in effetti, si discute da decenni dello sviluppo sostenibile. Forse è davvero come un buon vino: più invecchia più diventa prezioso. Speriamo non diventi aceto.

Luca Aterini


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