La vita che sembra un romanzo della bellissima e intrepida ragazza brasiliana che combatterà con il marito per la libertà dei popoli e diventerà “l’eroina dei due mondi”
di Paolo Di Mizio
In un’epoca in cui il modello femminile prevalente sembra essere quello delle tante ragazze che si dimenano in televisione poco vestite, è tuttavia probabile che possa ancora essere ammirata – se non altro per reazione al cliché imperante – la figura di una donna un tempo celebrata in Italia e nel mondo per motivi di tutt’altro genere. Parliamo di Anita Garibaldi, la moglie di Giuseppe Garibaldi. La sua vita è un vero romanzo, e anzi – se solo si trovasse un’attrice degna di starle alla pari per bellezza e carisma – sarebbe anche un film già bell’e scritto.
Anita era molto bella. Alta, un viso ovale e regolare, capelli scuri, occhi neri, il seno “prosperoso” – come ebbe a descriverla suo marito nelle sue memorie – e un corpo che oggi noi definiremmo “atletico”. Ma Ana Ribeiro de Jesus – così si chiamava – alla bellezza aggiungeva una dote più rara: una personalità magnetica, un carattere assertivo, che le conferiva un’aurea di creatura indomabile, quasi selvaggia.
Le bastò un’occhiata per innamorarsi del marinaio italiano Giuseppe Garibaldi e per fuggire con lui, abbandonando all’istante un marito che aveva sposato quando era appena quattordicenne. Il giorno del loro incontro, nel luglio del 1839, Ana aveva diciotto anni. Garibaldi ne aveva trentadue e forse anche per questo la chiamò subito Anita (che era un diminutivo di Ana, ma in spagnolo, perché il generale italiano non parlava ancora bene il portoghese).
La donna che sarebbe diventata quasi una leggenda nel Risorgimento italiano e che sarebbe stata celebrata come un simbolo della libertà dei popoli in Europa e in America latina, era una brasiliana, figlia di un certo Benito Ribeiro, di mestiere mandriano (in Argentina sarebbe stato definito un gaucho, in Texas un cowboy), e di Maria Antonia de Jesus, discendenti di famiglie portoghesi delle Azzorre emigrate in Brasile nel Settecento.
Ana impara probabilmente dal padre a cavalcare fin da bambina, e per tutta la vita sarà una cavallerizza abilissima e spericolata. Il padre muore presto e la madre, in forti ristrettezze economiche, si trasferisce con le tre figlie nella zona di Laguna, nello Stato di Santa Catarina. Qui Ana viene data in moglie a un calzolaio, Manuel Duarte de Aguiar. La ragazza ha appena quattordici anni, un’età a quel tempo non insolita per un matrimonio. Ma il destino prepara altri progetti per Ana.
Garibaldi è nel sud del Brasile per combattere a fianco dei rivoluzionari in nome della libertà dei popoli. Gli è stato assegnato il comando di alcune piccole navi che praticano la guerra corsara contro la flotta imperiale brasiliana. Un giorno dalla sua nave Garibaldi scruta i villaggi della Laguna con il cannocchiale e vede una donna intenta a lavori domestici: la donna lo colpisce per la sua bellezza.
E’ una sensazione così acuta che Garibaldi si fa immediatamente portare a terra per cercarla. Nel villaggio viene riconosciuto come il comandante della flotta e uno degli abitanti lo invita a casa sua a prendere un caffé. “Galeotto fu il caffè” potremmo dire. Quell’uomo è il marito di Ana.
Aperta la porta della casa, Garibadli con grande sorpresa si trova davanti la giovane alta, fiera e dai grandi occhi neri cha stava cercando. Ecco come descrive quell’incontro nel suo libro “Memorie”, scritto in verità da Alexandre Dumas, che riporta il racconto orale del generale. Dice dunque Garibaldi:
«Restammo entrambi estatici e silenziosi, guardandoci reciprocamente, come due persone che non si vedono per la prima volta, e che cercano nei lineamenti l’una dell’altra qualche cosa che agevoli una reminiscenza. La salutai finalmente, e le dissi: “Tu devi essere mia”. Parlavo poco il portoghese, e articolai le proterve parole in italiano. Comunque, io fui magnetico nella mia insolenza. Avevo stretto un nodo, sancito una sentenza, che la sola morte poteva infrangere!».
Magnetico e insolente. Be’, Garibaldi lo era stato davvero, visto che si rivolgeva a una donna sposata, e in presenza di suo marito. Ma in quel lungo sguardo silenzioso che si scambiarono c’era tutta la tempesta delle loro anime e c’era tutta la forza del destino. Ana, probabilmente già il giorno successivo all’incontro, abbandona il marito e fugge con il marinaio italiano. Va a vivere sulla sua nave. Da quel momento non lascerà più il fianco di Giuseppe. Parteciperà a battaglie in mare e in terra, combattendo con gli uomini e come gli uomini. Mentre apprende il mestiere della armi, Anita, secondo una leggenda, insegna al marito a cavalcare o comunque lo aiuta a perfezionare le sue capacità ippiche.
La sua abilità di cavallerizza le salva la vita almeno due volte. La prima volta accade nella battaglia di Curitibanos, all’inizio del 1840. Ana cade prigioniera dei soldati brasiliani in circostanze drammatiche. L’esercito di Garibaldi è in rotta. Ana è rimasta isolata con un manipolo di uomini, che si dispongono a cerchio sul campo per l’ultima disperata difesa. In mezzo a loro, incurante delle pallottole che le fischiano intorno, Ana sta eretta e brandisce la spada, ordinando ai suoi di continuare a sparare sui nemici. I soldati brasiliani sono allibiti, quasi intimiditi, da quella valchiria bruna, coi lunghi capelli neri arruffati dal vento, il volto coperto di polvere e la veste lacera, che combatte come un uomo, quasi la morte non le facesse alcuna paura. Superstiziosi, temono si tratti di una apparizione magica, di una forza della natura personificata.
Comunque sia, ad uno ad uno quasi tutti i garibaldini cadono sotto i colpi dei soldati e i pochi superstiti, tra i quali Ana, finite le munizioni, vengono cattureati. Alla donna i soldati non osano sparare. La portano nella tenda del comandante, il colonnello brasiliano Antonio Melo de Albuquerque. Costui rimane fortemente impressionato dal racconto dei suoi uomini circa le circostanze della cattura. E soprattutto rimane impressionato dal temperamento indomito di quella donna, che ormai tutti sanno essere la leggendaria compagna del leggendario generale italiano Garibaldi.
Ammaliato e stregato da quella donna dagli occhi neri come carbone, il comandante brasiliano commette un errore. Anita chiede che, prima di essere messa a morte, le venga concesso di cercare il cadavere del marito sul campo di battaglia. Il colonnello acconsente. Ed è questo l’errore.
Anita viene condotta nel campo, dissminato di cadaveri. Finge di cercare il corpo di suo marito. Ma appena si accorge che le due guardie sono distratte, afferra uno dei loro cavalli e fugge. Si ricongiungerà con Garibaldi e i suoi ribelli fuggiaschi dopo alcuni giorni di viaggio avventuroso attraverso zone dominate da foreste e fiumi.
Il colonnello brasiliano, pur beffato da Anita, anni più tardi scriverà nelle sue memorie parole di pura ammirazione per lei. Ma di questo parleremo in un prossimo articolo.
Qui ora raccontiamo della seconda fuga a cavallo di Anita. Avviene nel settembre dello stesso anno, appena dodici giorni dopo che la giovane ha dato alla luce il primo figlio (battezzato Domenico, ma sempre chiamato da suo padre col nome di Menotti in memoria del patriota italiano Ciro Menotti).
I soldati brasiliani sono alla caccia di Garibaldi. Individuano la casa nel bosco che gli fa da rifugio e la circondano. Ma nella casa si trovano in quel momento solo Anita, il suo bambino e i pochi uomini che Garibaldi ha lasciato a protezione. La piccola scorta spara sui soldati, ma verrà presto sopraffatta. Nel frattempo però Anita, lestissima, afferra il bambino, si lancia con lui da una finestra (secondo un’altra versione, esce da una porta secondaria) e inforca il cavallo, dandosi alla fuga. Rimarrà nascosta nel bosco per quattro giorni, senza nulla da mangiare e con un neonato al petto, finché Garibaldi e i suoi non la troveranno.
Ma siamo solo all’anno 1840, ed è solo l’inizio di una straordinaria avventura umana e storica che durerà undici anni, fino alla morte di Ana, ancora una volta in fuga, ancora una volta inseguita e braccata dai soldati, dopo aver combattuto con Garibaldi per la difesa della Repubblica Romana. Una storia così avvincente che merita di esser raccontata. Nel prossimo articolo.
di Paolo Di Mizio
In un’epoca in cui il modello femminile prevalente sembra essere quello delle tante ragazze che si dimenano in televisione poco vestite, è tuttavia probabile che possa ancora essere ammirata – se non altro per reazione al cliché imperante – la figura di una donna un tempo celebrata in Italia e nel mondo per motivi di tutt’altro genere. Parliamo di Anita Garibaldi, la moglie di Giuseppe Garibaldi. La sua vita è un vero romanzo, e anzi – se solo si trovasse un’attrice degna di starle alla pari per bellezza e carisma – sarebbe anche un film già bell’e scritto.
Anita era molto bella. Alta, un viso ovale e regolare, capelli scuri, occhi neri, il seno “prosperoso” – come ebbe a descriverla suo marito nelle sue memorie – e un corpo che oggi noi definiremmo “atletico”. Ma Ana Ribeiro de Jesus – così si chiamava – alla bellezza aggiungeva una dote più rara: una personalità magnetica, un carattere assertivo, che le conferiva un’aurea di creatura indomabile, quasi selvaggia.
Le bastò un’occhiata per innamorarsi del marinaio italiano Giuseppe Garibaldi e per fuggire con lui, abbandonando all’istante un marito che aveva sposato quando era appena quattordicenne. Il giorno del loro incontro, nel luglio del 1839, Ana aveva diciotto anni. Garibaldi ne aveva trentadue e forse anche per questo la chiamò subito Anita (che era un diminutivo di Ana, ma in spagnolo, perché il generale italiano non parlava ancora bene il portoghese).
La donna che sarebbe diventata quasi una leggenda nel Risorgimento italiano e che sarebbe stata celebrata come un simbolo della libertà dei popoli in Europa e in America latina, era una brasiliana, figlia di un certo Benito Ribeiro, di mestiere mandriano (in Argentina sarebbe stato definito un gaucho, in Texas un cowboy), e di Maria Antonia de Jesus, discendenti di famiglie portoghesi delle Azzorre emigrate in Brasile nel Settecento.
Ana impara probabilmente dal padre a cavalcare fin da bambina, e per tutta la vita sarà una cavallerizza abilissima e spericolata. Il padre muore presto e la madre, in forti ristrettezze economiche, si trasferisce con le tre figlie nella zona di Laguna, nello Stato di Santa Catarina. Qui Ana viene data in moglie a un calzolaio, Manuel Duarte de Aguiar. La ragazza ha appena quattordici anni, un’età a quel tempo non insolita per un matrimonio. Ma il destino prepara altri progetti per Ana.
Garibaldi è nel sud del Brasile per combattere a fianco dei rivoluzionari in nome della libertà dei popoli. Gli è stato assegnato il comando di alcune piccole navi che praticano la guerra corsara contro la flotta imperiale brasiliana. Un giorno dalla sua nave Garibaldi scruta i villaggi della Laguna con il cannocchiale e vede una donna intenta a lavori domestici: la donna lo colpisce per la sua bellezza.
E’ una sensazione così acuta che Garibaldi si fa immediatamente portare a terra per cercarla. Nel villaggio viene riconosciuto come il comandante della flotta e uno degli abitanti lo invita a casa sua a prendere un caffé. “Galeotto fu il caffè” potremmo dire. Quell’uomo è il marito di Ana.
Aperta la porta della casa, Garibadli con grande sorpresa si trova davanti la giovane alta, fiera e dai grandi occhi neri cha stava cercando. Ecco come descrive quell’incontro nel suo libro “Memorie”, scritto in verità da Alexandre Dumas, che riporta il racconto orale del generale. Dice dunque Garibaldi:
«Restammo entrambi estatici e silenziosi, guardandoci reciprocamente, come due persone che non si vedono per la prima volta, e che cercano nei lineamenti l’una dell’altra qualche cosa che agevoli una reminiscenza. La salutai finalmente, e le dissi: “Tu devi essere mia”. Parlavo poco il portoghese, e articolai le proterve parole in italiano. Comunque, io fui magnetico nella mia insolenza. Avevo stretto un nodo, sancito una sentenza, che la sola morte poteva infrangere!».
Magnetico e insolente. Be’, Garibaldi lo era stato davvero, visto che si rivolgeva a una donna sposata, e in presenza di suo marito. Ma in quel lungo sguardo silenzioso che si scambiarono c’era tutta la tempesta delle loro anime e c’era tutta la forza del destino. Ana, probabilmente già il giorno successivo all’incontro, abbandona il marito e fugge con il marinaio italiano. Va a vivere sulla sua nave. Da quel momento non lascerà più il fianco di Giuseppe. Parteciperà a battaglie in mare e in terra, combattendo con gli uomini e come gli uomini. Mentre apprende il mestiere della armi, Anita, secondo una leggenda, insegna al marito a cavalcare o comunque lo aiuta a perfezionare le sue capacità ippiche.
La sua abilità di cavallerizza le salva la vita almeno due volte. La prima volta accade nella battaglia di Curitibanos, all’inizio del 1840. Ana cade prigioniera dei soldati brasiliani in circostanze drammatiche. L’esercito di Garibaldi è in rotta. Ana è rimasta isolata con un manipolo di uomini, che si dispongono a cerchio sul campo per l’ultima disperata difesa. In mezzo a loro, incurante delle pallottole che le fischiano intorno, Ana sta eretta e brandisce la spada, ordinando ai suoi di continuare a sparare sui nemici. I soldati brasiliani sono allibiti, quasi intimiditi, da quella valchiria bruna, coi lunghi capelli neri arruffati dal vento, il volto coperto di polvere e la veste lacera, che combatte come un uomo, quasi la morte non le facesse alcuna paura. Superstiziosi, temono si tratti di una apparizione magica, di una forza della natura personificata.
Comunque sia, ad uno ad uno quasi tutti i garibaldini cadono sotto i colpi dei soldati e i pochi superstiti, tra i quali Ana, finite le munizioni, vengono cattureati. Alla donna i soldati non osano sparare. La portano nella tenda del comandante, il colonnello brasiliano Antonio Melo de Albuquerque. Costui rimane fortemente impressionato dal racconto dei suoi uomini circa le circostanze della cattura. E soprattutto rimane impressionato dal temperamento indomito di quella donna, che ormai tutti sanno essere la leggendaria compagna del leggendario generale italiano Garibaldi.
Ammaliato e stregato da quella donna dagli occhi neri come carbone, il comandante brasiliano commette un errore. Anita chiede che, prima di essere messa a morte, le venga concesso di cercare il cadavere del marito sul campo di battaglia. Il colonnello acconsente. Ed è questo l’errore.
Anita viene condotta nel campo, dissminato di cadaveri. Finge di cercare il corpo di suo marito. Ma appena si accorge che le due guardie sono distratte, afferra uno dei loro cavalli e fugge. Si ricongiungerà con Garibaldi e i suoi ribelli fuggiaschi dopo alcuni giorni di viaggio avventuroso attraverso zone dominate da foreste e fiumi.
Il colonnello brasiliano, pur beffato da Anita, anni più tardi scriverà nelle sue memorie parole di pura ammirazione per lei. Ma di questo parleremo in un prossimo articolo.
Qui ora raccontiamo della seconda fuga a cavallo di Anita. Avviene nel settembre dello stesso anno, appena dodici giorni dopo che la giovane ha dato alla luce il primo figlio (battezzato Domenico, ma sempre chiamato da suo padre col nome di Menotti in memoria del patriota italiano Ciro Menotti).
I soldati brasiliani sono alla caccia di Garibaldi. Individuano la casa nel bosco che gli fa da rifugio e la circondano. Ma nella casa si trovano in quel momento solo Anita, il suo bambino e i pochi uomini che Garibaldi ha lasciato a protezione. La piccola scorta spara sui soldati, ma verrà presto sopraffatta. Nel frattempo però Anita, lestissima, afferra il bambino, si lancia con lui da una finestra (secondo un’altra versione, esce da una porta secondaria) e inforca il cavallo, dandosi alla fuga. Rimarrà nascosta nel bosco per quattro giorni, senza nulla da mangiare e con un neonato al petto, finché Garibaldi e i suoi non la troveranno.
Ma siamo solo all’anno 1840, ed è solo l’inizio di una straordinaria avventura umana e storica che durerà undici anni, fino alla morte di Ana, ancora una volta in fuga, ancora una volta inseguita e braccata dai soldati, dopo aver combattuto con Garibaldi per la difesa della Repubblica Romana. Una storia così avvincente che merita di esser raccontata. Nel prossimo articolo.
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