Nella cosiddetta “strage di Alcamo Marina” del 1976 persero la vita due giovani militari. Giuseppe Gulotta, detto “Pippo”, venne ingiustamente ritenuto complice dell’omicidio. La sua liberazione definitiva è arrivata dopo più di trent’anni di calvario umano e giudiziario
Il 27 gennaio del 1976, nella caserma di Alcamo, in Sicilia, i due carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta furono uccisi nella notte. Inizialmente si pensò che i responsabili potessero appartenere a gruppi terroristici (si pensò alla Brigate Rosse, che però si proclamarono estranee ai fatti) o alla mafia, in quanto l’anno prima erano stati uccisi in quelle zone sia l’assessore ai lavori pubblici di Alcamo che un consigliere comunale per mano della criminalità organizzata. Alla fine furono invece condannati i giovani Giuseppe Gulotta, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli e il carrozziere Giuseppe Vesco .
Ma vediamo come andarono i fatti: subito dopo l'assassinio, fu dato grande risalto alla vicenda; se ne occupò persino Peppino Impastato nella sua trasmissione radiofonica su RadioAut, ritenendo si trattasse di un avvertimento della mafia nei confronti dello Stato. Intanto furono ritrovate delle armi ascrivibili alla scena del delitto con la matricola abrasa presumibilmente da un trapano; un trapano compatibile con i fori fu trovato a casa del carrozziere Vesco che, a pochi mesi dall’arresto e dalla confessione della strage, fu trovato impiccato nella sua prigione, anche se aveva una sola mano. Vesco nella sua confessione non si indicò come unico responsabile, ma fece i nomi di Gulotta, Santangelo e Ferrantelli, tre amici inseparabili.
Tra questi appunto Giuseppe Gulotta, che sin dal primo istante urlò a gran voce la sua innocenza, ma non fu creduto. Nel 1990 venne condannato all’ergastolo dopo i tre gradi di giudizio. Solo nel 2008 furono riaperte le indagini, perché l’ex brigadiere Renato Olino affermò che le dichiarazioni fatte da Vesco gli erano state estorte con la tortura, e la stessa sorte toccò agli altri ragazzi. Olino ha raccontato ai magistrati che Vesco fu condotto in una caserma, costretto a ingurgitare da un imbuto acqua e sale e subire scosse elettriche tramite un telefono da campo.
Il 22 luglio 2010, dopo 22 anni di detenzione, Gulotta è uscito dal carcere in libertà vigilata, mentre Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo restano latitanti in Brasile, dove si sono rifugiati anni fa. Un anno dopo, il pentito Vincenzo Calcara ha sostenuto che nella strage aveva una qualche responsabilità la mafia. Da quanto è emerso quei militari potrebbero essere stati uccisi per avere fermato un furgone carico di armi destinato alla criminalità organizzata.
Giuseppe Gulotta, che nel 2011 stava scontando il suo ergastolo, fu prosciolto l’anno dopo, esattamente dopo 36 anni dal suo arresto. “Spero che ora le famiglie dei due carabinieri abbiano giustizia”, ha detto Gulotta subito dopo il proscioglimento. Ha inoltre confessato di non provare rabbia nei confronti dei carabinieri: “Solo alcuni di loro hanno sbagliato in quel momento. Mi hanno puntato una pistola e mi hanno detto: 'Confessa o ti uccidiamo'. Bisogna credere nella giustizia, e oggi è stata fatta una giustizia giusta. Dovrei ringraziare il brigadiere Olino. Le sue dichiarazioni hanno permesso di riaprire questo processo e di dimostrare la mia innocenza. Però non riesco a pensare che anche lui ha fatto parte di quel sistema”, ha dichiarato.
Oggi Gullotta è un uomo libero che può vivere finalmente insieme alla sua famiglia; intanto ha chiesto per mezzo dei suoi legali un risarcimento allo Stato di 69 milioni di euro.
Il 27 gennaio del 1976, nella caserma di Alcamo, in Sicilia, i due carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta furono uccisi nella notte. Inizialmente si pensò che i responsabili potessero appartenere a gruppi terroristici (si pensò alla Brigate Rosse, che però si proclamarono estranee ai fatti) o alla mafia, in quanto l’anno prima erano stati uccisi in quelle zone sia l’assessore ai lavori pubblici di Alcamo che un consigliere comunale per mano della criminalità organizzata. Alla fine furono invece condannati i giovani Giuseppe Gulotta, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli e il carrozziere Giuseppe Vesco .
Ma vediamo come andarono i fatti: subito dopo l'assassinio, fu dato grande risalto alla vicenda; se ne occupò persino Peppino Impastato nella sua trasmissione radiofonica su RadioAut, ritenendo si trattasse di un avvertimento della mafia nei confronti dello Stato. Intanto furono ritrovate delle armi ascrivibili alla scena del delitto con la matricola abrasa presumibilmente da un trapano; un trapano compatibile con i fori fu trovato a casa del carrozziere Vesco che, a pochi mesi dall’arresto e dalla confessione della strage, fu trovato impiccato nella sua prigione, anche se aveva una sola mano. Vesco nella sua confessione non si indicò come unico responsabile, ma fece i nomi di Gulotta, Santangelo e Ferrantelli, tre amici inseparabili.
Tra questi appunto Giuseppe Gulotta, che sin dal primo istante urlò a gran voce la sua innocenza, ma non fu creduto. Nel 1990 venne condannato all’ergastolo dopo i tre gradi di giudizio. Solo nel 2008 furono riaperte le indagini, perché l’ex brigadiere Renato Olino affermò che le dichiarazioni fatte da Vesco gli erano state estorte con la tortura, e la stessa sorte toccò agli altri ragazzi. Olino ha raccontato ai magistrati che Vesco fu condotto in una caserma, costretto a ingurgitare da un imbuto acqua e sale e subire scosse elettriche tramite un telefono da campo.
Il 22 luglio 2010, dopo 22 anni di detenzione, Gulotta è uscito dal carcere in libertà vigilata, mentre Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo restano latitanti in Brasile, dove si sono rifugiati anni fa. Un anno dopo, il pentito Vincenzo Calcara ha sostenuto che nella strage aveva una qualche responsabilità la mafia. Da quanto è emerso quei militari potrebbero essere stati uccisi per avere fermato un furgone carico di armi destinato alla criminalità organizzata.
Giuseppe Gulotta, che nel 2011 stava scontando il suo ergastolo, fu prosciolto l’anno dopo, esattamente dopo 36 anni dal suo arresto. “Spero che ora le famiglie dei due carabinieri abbiano giustizia”, ha detto Gulotta subito dopo il proscioglimento. Ha inoltre confessato di non provare rabbia nei confronti dei carabinieri: “Solo alcuni di loro hanno sbagliato in quel momento. Mi hanno puntato una pistola e mi hanno detto: 'Confessa o ti uccidiamo'. Bisogna credere nella giustizia, e oggi è stata fatta una giustizia giusta. Dovrei ringraziare il brigadiere Olino. Le sue dichiarazioni hanno permesso di riaprire questo processo e di dimostrare la mia innocenza. Però non riesco a pensare che anche lui ha fatto parte di quel sistema”, ha dichiarato.
Oggi Gullotta è un uomo libero che può vivere finalmente insieme alla sua famiglia; intanto ha chiesto per mezzo dei suoi legali un risarcimento allo Stato di 69 milioni di euro.
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