mercoledì, maggio 01, 2013
Papa Francesco in occasione del Primo Maggio: la società che non dà lavoro va contro Dio

di Paolo Fucili

Se la Genesi descrive Dio come lavoratore indefesso, per ben 6 giorni su 7, e se pure Gesù, in quel di Nazareth, passò la giovinezza mandando avanti col sudore della fronte la falegnameria di famiglia, insieme al padre Giuseppe, vuol dire proprio che “il lavoro è qualcosa di più che guadagnarsi il pane”. Quella volta, è facile intuire, il problema del lavoro era solo “volere”, avere voglia cioè di lavorare, se pure san Paolo pensò bene di ammonire: “Chi non vuol lavorare neppure mangi”. Poi son venuti 2.000 anni di lenti, controversi talora, ma inesorabili progressi sociali, economici e tecnologici. Si è passati dalle povere economia di sussistenza dell’antichità ai complessi sistemi economici e finanziari dell’odierno mondo globalizzato. Dove lavorare per molti non è questione solo di semplice mangiare, ma di acquistare tutta una serie di beni spesso più superflui che necessari, a prezzo di fatiche certo assai più lievi di quelle dei lavoratori del passato. Perciò fa ancora più scandalo la perdurante miseria di miliardi di uomini e donne. E soprattutto, per lavorare non basta più volerlo. Bisogna essere nelle condizioni di “potere” lavorare, dice papa Francesco.

“Tanti sono quelli che vogliono lavorare e non possono”. E questo, ha aggiunto non contento il papa argentino, “è un peso per la nostra coscienza, perché quando la società è organizzata in tal modo, che non tutti hanno la possibilità di lavorare, di essere unti della dignità del lavoro, quella società non va bene: non è giusta! Va contro lo stesso Dio”. Il “primo” Primo Maggio del pontificato Bergoglio passerà alla storia per questo severo monito, dal sapore per nulla “occasionale” o di circostanza, come fosse scontato o abituale parlare oggi di lavoro. Tantomeno dopo tragici fatti di cronaca come quelli del Bangledesh pochi giorni fa, tanto per dirne uno, dove nel crollo di un palazzo pericolante a Dhaka sono morti centinaia e centinaia di sventurati operai di vari laboratori tessili. “Abbiamo letto sull’Osservatore romano - ha commentato oggi il Pontefice celebrando a santa Marta la messa quotidiana delle 7.00 - un titolo che mi ha colpito tanto il giorno della tragedia del Bangladesh, ‘Vivere con 38 euro al mese’: questo era il pagamento di queste persone che sono morte… E questo si chiama ‘lavoro schiavo’!”.

Quando Caino, narra ancora la Genesi, uccise il fratello Abele, la voce di Dio non tardò a farsi sentire, chiedendo dove fosse Abele. Oggi invece è la stessa voce di Dio che chiede a tutti: “Dov’è tuo fratello che non ha lavoro? Dov’è tuo fratello che è sotto il lavoro schiavo?”. Perché “la dignità non ce la dà il potere, il denaro, la cultura, no! La dignità ce la dà il lavoro!”, ha spiegato l’omelia del Papa; non un lavoro qualunque, però, ma un lavoro “degno”, perché oggi tanti sono i “sistemi sociali, politici ed economici” fondati sullo “sfruttare la persona”.

L’occasione di lanciare, rafforzandolo, il medesimo messaggio l’ha fornita poco dopo l’udienza generale del mercoledì, con un afflusso di fedeli ancora più consistente del solito (con via della Conciliazione transennata e chiusa al traffico), favorito dalla coincidenza col giorno di festa. Dignità ed importanza del lavoro, è scritto nella catechesi del papa dedicata a san Giuseppe lavoratore, dipendono dal fatto che “il lavoro fa parte del piano di amore di Dio: noi siamo chiamati a coltivare e custodire tutti i beni della creazione e in questo modo partecipiamo all’opera della creazione!”. Impossibile, perciò, non menzionare quindi le difficoltà odierne del lavoro e dell’impresa: “Penso a quanti, e non solo giovani, sono disoccupati, molte volte a causa di una concezione economicista della società, che cerca il profitto egoista, al di fuori dei parametri della giustizia sociale”, denuncia preoccupato Francesco.

Ecco perciò l’appello a tutti alla “solidarietà” e “ai responsabili della cosa pubblica a fare ogni sforzo per dare nuovo slancio all’occupazione”. Ma più importante ancora, ha aggiunto Bergoglio rivolto specie ai giovani, è “non perdere la speranza: anche san Giuseppe ha avuto momenti difficili, ma non ha mai perso la fiducia e ha saputo superarli, nella certezza che Dio non ci abbandona”. E allora “impegnatevi nel vostro dovere quotidiano, nello studio, nel lavoro, nei rapporti di amicizia, nell’aiuto verso gli altri; il vostro avvenire dipende anche da come sapete vivere questi preziosi anni della vita. Non abbiate paura dell’impegno, del sacrificio”. Un invito su cui è tornato il tweet lanciato a fine mattinata dai profili papali (“Cari giovani, imparate da San Giuseppe, che ha avuto momenti difficili, ma non ha mai perso la fiducia, e ha saputo superarli”), strumento che si addice bene allo ‘stile’ informale e spigliato di papa Francesco, tanto che di twitter si è servito, sabato scorso, anche per esprimere affetto e vicinanza alle vittime della tragedia di Dhaka sopra citata.

Oggi, ha ricordato infine Sua santità, è l’inizio del mese dedicato dalla devozione popolare, per antica tradizione, alla Madre di Dio. Mentre il garzone Gesù cresceva nella falegnameria del padre, Maria “custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore”, dice di lei il Vangelo di Luca due volte, curiosamente, nel giro di poche righe. “Per ascoltare il Signore - è l’insegnamento che ne trae la catechesi di Francesco - bisogna imparare a contemplarlo, a percepire la sua presenza costante nella nostra vita”. E a questo si presta bene la preghiera del rosario, da recitare specie in questo mese in famiglia, in parrocchia, con gli amici, perché “recitando le Ave Maria, noi siamo condotti a contemplare i misteri di Gesù, a riflettere cioè sui momenti centrali della sua vita, perché, come per Maria e per san Giuseppe, Egli sia il centro dei nostri pensieri, delle nostre attenzioni e delle nostre azioni”.

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