Ricorre oggi la Giornata mondiale per la libertà di stampa promossa dall’Unesco.
Radio Vaticana - Il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova ricordano in un messaggio che molti giornalisti sono ancora oggetto di “intimidazioni, minacce e violenza”, in un “clima di impunità” persistente. Sui rischi che coinvolgono in particolare gli inviati di guerra, Davide Maggiore ha intervistato Domenico Affinito, vicepresidente per l’Italia di Reporter Senza Frontiere: ascolta
R. – Con le ultime guerre, almeno negli ultimi 20 anni, stiamo assistendo a un meccanismo nuovo. Per i giornalisti è sempre più difficile recarsi sui fronti di guerra, in quanto il rischio di rapimenti e anche di uccisione è elevatissimo. Questo fa sì che le informazioni si abbiano attraverso canali nuovi, come i social network: informazioni che però difficilmente a quel punto sono verificabili. Quindi, è aumentata ancora di più l’esigenza che i giornalisti vadano in questi posti. Però, il giornalista viene visto come parte del conflitto, soprattutto se occidentale, soprattutto se nel conflitto sono coinvolti Paesi occidentali; viene visto come merce di scambio e come possibilità di ottenere soldi attraverso riscatti.
D. – Nonostante questi pericoli, la scelta degli inviati di guerra è comunque quella di continuare a partire…
R. – Non bisogna mai abbandonare la volontà di recarsi lì dove i fatti avvengono. Non c’è giornalismo se non c’è investigazione sulla realtà e contatto diretto con quella realtà. Per questo, i giornalisti hanno sempre voglia di andare in questi posti. Il giornalista che si occupa di esteri si occupa di questi fatti e quindi va a vedere cosa succede.
Radio Vaticana - Il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon e il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova ricordano in un messaggio che molti giornalisti sono ancora oggetto di “intimidazioni, minacce e violenza”, in un “clima di impunità” persistente. Sui rischi che coinvolgono in particolare gli inviati di guerra, Davide Maggiore ha intervistato Domenico Affinito, vicepresidente per l’Italia di Reporter Senza Frontiere: ascolta
R. – Con le ultime guerre, almeno negli ultimi 20 anni, stiamo assistendo a un meccanismo nuovo. Per i giornalisti è sempre più difficile recarsi sui fronti di guerra, in quanto il rischio di rapimenti e anche di uccisione è elevatissimo. Questo fa sì che le informazioni si abbiano attraverso canali nuovi, come i social network: informazioni che però difficilmente a quel punto sono verificabili. Quindi, è aumentata ancora di più l’esigenza che i giornalisti vadano in questi posti. Però, il giornalista viene visto come parte del conflitto, soprattutto se occidentale, soprattutto se nel conflitto sono coinvolti Paesi occidentali; viene visto come merce di scambio e come possibilità di ottenere soldi attraverso riscatti.
D. – Nonostante questi pericoli, la scelta degli inviati di guerra è comunque quella di continuare a partire…
R. – Non bisogna mai abbandonare la volontà di recarsi lì dove i fatti avvengono. Non c’è giornalismo se non c’è investigazione sulla realtà e contatto diretto con quella realtà. Per questo, i giornalisti hanno sempre voglia di andare in questi posti. Il giornalista che si occupa di esteri si occupa di questi fatti e quindi va a vedere cosa succede.
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