lunedì, maggio 06, 2013
Sono almeno 150 i morti nel "massacro su larga scala" di civili perpetrato lunedì scorso dalle forze del regime siriano a Bayda, nella provincia occidentale di Tartus.  

Radio Vaticana - A denunciarlo è la Coalizione nazionale siriana, principale cartello delle forze di opposizione. L'eccidio è stato compiuto dalle forze regolari con il sostegno degli “shabbiha”, i miliziani alleati del regime, nel villaggio costiero sunnita. La notizia è una delle tante che ogni giorno rendono più cruento il resoconto della crisi in Siria, come ogni giorno più duro dievnta il drmma dei profughi. L’Ospedale italiano di Karak, in Giordania, offre rifugio ai siriani che scappano dalla guerra e dai campi profughi al confine. Fondato nel 1939, questo ospedale cattolico, sostenuto dalla "Catholic Near East Welfare Association", speciale agenzia vaticana per l’aiuto alle Chiese cattoliche e alle popolazioni del Medio Oriente, è l’unica clinica attrezzata della regione e rappresenta il punto di riferimento per la parte meridionale della Giordania. Racconta il dramma di chi è in fuga suor Adele Brambilla, religiosa comboniana, al microfono di Elisa Sartarelli: ascolta

R. – Il grande flusso dei siriani è notevolmente aumentato e adesso è diventato un’emergenza. L’Onu dice che c’è stato un grande flusso nelle ultime settimane, maggiore di quello che avevano previsto qui per la Giordania. Si parla già di 100 mila rifugiati.

D. – Com’è la situazione nei campi profughi?

R. – La situazione nei campi sta diventando tragica e le agenzie assistenziali, come l’Onu e tutte le altre agenzie – Save the Children Fund, Medecin sans frontieres – parlano anche di mancanza di cose necessarie come docce, toilette e spazio per i bambini. Anche in Amman si vedono per le strade numerosi bambini, c’è l’accattonaggio, perché ci sono bambini che purtroppo a causa di questa guerra sono stati abbandonati a sé e c’è il rischio che vengano aperti anche altri campi: i rifugiati dicono che sono già il 10% della popolazione giordana e i profughi hanno già superato il mezzo milione. La gente nei campi profughi vive in grande precarietà, l’inverno è stato freddo e adesso arriva il caldo. Le agenzie umanitarie dicono che fra poco faranno fatica a provvedere ai rifornimenti d’acqua, igienico-sanitari e all’assistenza medica. Proprio per il grande sovraffollamento, alcuni gruppi di rifugiati sono arrivati al sud: qui nella nostra provincia di Kerak sono arrivate diverse famiglie e il nostro ospedale ha aperto le sue porte. Ogni giorno arrivano in media dai quattro ai dieci rifugiati che cercano soprattutto assistenza per bambini e donne in gravidanza. Abbiamo avuto diverse mamme che sono scappate dalla Siria per venire a partorire in una situazione più sicura. Qui nel Sud alcune hanno trovato dei piccoli appartamenti, ma magari in un appartamento di tre stanze ci sono tre famiglie che vivono insieme. Noi collaboriamo con la Caritas giordana e diamo l’assistenza di emergenza soprattutto a donne e bambini: adesso stanno arrivando i bambini soprattutto con febbre alta, gastroenteriti, broncopolmoniti, oppure varie infezioni dovute anche alla situazione di grande precarietà che c’è.

D. – La situazione è tragica, il numero di profughi siriani in Giordania continua ad aumentare. Questo ha portato anche a proteste sociali?

R. – La gente ha avuto delle reazioni – l’abbiamo letto sui giornali – ma qui si sente molto poco perché siamo al sud. Ci sono state delle reazioni perché qui c’è carenza d’acqua, carenza di tante cose, quindi la gente si sente investita di un peso che forse non può neanche portare. Abbiamo sentito che in giro ci sono state proteste, ma generalmente la gente è accogliente: abbiamo visto anche qui nei villaggi che sono stati accolti tutti quelli in arrivo. Anche noi, i nostri medici, i nostri infermieri, collaboriamo in pieno a questa missione di accoglienza e di cura. Possiamo dire che non abbiamo sentito internamente, qui da noi, una ribellione. Ci sono però domande perché la gente si interroga su come tutto questo andrà a finire.


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