2100, odissea sulla terra: saremo troppi per un unico pianeta? Rosina: «La sfida è aiutare l’Africa»
Europa, un continente sempre più Vecchio. «Ma se il resto del mondo continuerà a crescere in quantità, la sfida per l’Ue è puntare sempre più sulla qualità»
Green Report - Entro la fine del secolo saremo quasi 11 miliardi, 800 milioni in più (cioè l’8%) rispetto ai 10,1 miliardi stimati nel 2011: ad affermarlo è direttamente l’Onu, nel rapporto World Population Prospects: The 2012 Revision, che abbiamo già descritto sulle nostre pagine. Non è una revisione da poco: si tratta di quasi 1 miliardo di persone in più che, secondo le stime, cammineranno su questo pianeta, al quale – come tutti noi – chiederanno risorse. Andando così ad accrescerne il consumo, e impattando di conseguenza sull’ecosistema. Un miliardo di persone in più significa dover iniziare a ripensare sin da oggi le nostre politiche per la sostenibilità? Alessandro Rosina, demografo dell’università Cattolica di Milano (e autore, insieme a M.L. Tanturri, di “Goodbye Malthus. Il futuro della popolazione: dalla crescita della quantità alla qualità della crescita”, Rubbettino, 2011), ci offre una risposta non scontata al dilemma.
Con la revisione del rapporto World Population Prospects, l’Onu ammette di aver sbagliato le proprie previsioni demografiche. Eppure la loro affidabilità è necessaria per pianificare adeguate politiche di sviluppo. Possiamo fidarci di questa nuova previsione?
«Le previsioni per definizione sono sbagliate. Nessuno conosce il futuro. Le previsioni demografiche hanno però maggior grado di precisione rispetto ad altri processi e fenomeni per il fattore inerziale che caratterizza le dinamiche di popolazione. Sono quindi affidabili soprattutto nel breve e medio termine, ma nel lungo periodo il grado di imprecisione rimane alto. Ad esempio, possiamo facilmente prevedere ammontare e composizione della popolazione italiana nel 2014, dato che sarà composta soprattutto da persone già presenti oggi, ma molto più complicato è sapere quanti e come saremo nel 2114. L’unica difesa rispetto a questa incertezza è aggiornare continuamente le previsioni tenendo conto dei cambiamenti in corso».
L’aumento previsto è rilevante, quasi 1 miliardo di persone in più al 2100 rispetto a quanto precedentemente stimato. Alla fine dell’ultima glaciazione, la popolazione umana contava circa 5 milioni di individui, mentre adesso viaggiamo per gli 11 miliardi. Un aumento di popolazione incredibile. Nel 2100 saremo troppi per un unico pianeta?
«Di sicuro nel 2100 saremo in tanti nel pianeta, molti di più rispetto a qualsiasi epoca precedente. Dire se saremo “troppi” dipende dalla nostra capacità di gestire questa crescita con spazi e risorse adeguati. Due considerazioni vanno fatte a questo proposito. La prima riguarda il fattore tempo. Oltre alla maggior prevedibilità rispetto ad altri fenomeni, le variazioni sulla crescita della popolazione avvengono lentamente, seppur inesorabilmente, nel tempo. Questo significa che possiamo prepararci e trovare soluzioni adeguate, pur sapendo che non saranno comunque né semplici e né scontate. La seconda considerazione è relativa al fatto che la crescita è molto differenziata sul pianeta. In alcune aree, in particolare in Europa e nei paesi più sviluppati, la crescita sarà sostanzialmente nulla, in altre sarà moderata, mentre ad aumentare in modo accentuato sarà soprattutto l’Africa. Il 9% del mondo vive in 31 paesi con fecondità molto elevata e 29 di questi si trovano in tale continente. La sfida è quindi soprattutto quella di aiutare l’Africa e le sue zone più povere ad uscire dalla condizione di sottosviluppo ed innescare un rapporto virtuoso tra transizione demografica e miglioramento economico e sociale».
Secondo il noto modello IPAT, l’impatto I sul pianeta dipende da tre variabili fondamentali: la popolazione P, lo stile di vita A (dall’inglese affluence), ovvero i consumi pro capite, e il fattore tecnologico T (I = P×A×T). L’aumento di popolazione accresce direttamente l’impatto: quale dimensione assume, quindi, il previsto aumento nel fattore popolazione?
«La popolazione crescerà dai 7 miliardi attuali a quasi 10 miliardi nel 2050. Questi dati non sono molto diversi rispetto alle previsioni fatte negli anni scorsi. La revisione al rialzo riguarda soprattutto quello che avverrà più avanti ed è molto legato alle vicende dell’Africa. L’impatto da gestire nei prossimi decenni è quindi quello di 3 miliardi in più di abitanti del pianeta. Teniamo conto che eravamo 4 miliardi negli anni ’70, quindi il sovraccarico in termini assoluti sarà analogo a quanto sperimento da allora ad oggi, ma distribuito diversamente. Ad aiutarci potrebbero però essere gli altri fattori dell’equazione, ovvero i cambiamenti negli stili di vita e nei consumi, l’innovazione tecnologica, una maggior efficienza nell’uso di vecchie e nuove risorse energetiche. La stessa crisi economica potrebbe incentivare la costruzione di un nuovo modello di sviluppo più equo e sostenibile»
Per i paesi occidentali, compreso il nostro, nella quasi totalità dei casi si prevede un declino, un progressivo invecchiamento della popolazione: siamo destinati a diventare marginali, già nel corso di questo secolo?
«Nei paesi più sviluppati la fecondità è da decenni sotto i due figli per donna, quindi da tempo la crescita è ferma o è alimentata solo dall’immigrazione dall’estero. Il fatto di fare meno figli e vivere più a lungo ha prodotto il processo di invecchiamento. Se aumenta il numero degli anziani è però anche vero che si diventa vecchi sempre più tardi e che ristrutturando la società con politiche adeguate è possibile valorizzare capacità e competenze in tutte le stagioni della vita. Se il resto del mondo continuerà a crescere in quantità, la sfida per l’Europa è puntare sempre più sulla qualità. Ma il ruolo dell’Europa sul piano internazionale dipenderà anche dalla capacità di essere unita e con una chiara identità politica».
Alla luce di queste considerazioni quali politiche per l’immigrazione e la natalità sarebbe più opportuno adottare, nel nostro Paese?
«Il fenomeno dell’immigrazione in Italia è cresciuto sinora in modo sostanzialmente spontaneo, senza una chiara politica che lo rendesse virtuosamente integrato con le specificità italiane e il nostro processo di sviluppo. Quello che andrebbe soprattutto favorito è invece un flusso legale di persone con requisiti (caratteristiche e potenzialità) il più possibile coerenti e integrabili con la società italiana e il nostro mercato del lavoro. Gestire in modo “intelligente” l’immigrazione significa mettere in atto politiche che mirino a migliorare sia la qualità della vita degli immigrati sul suolo italiano, che la convivenza con la popolazione autoctona, che lo specifico contributo alla crescita del paese.
L’immigrazione di per sé non è comunque in grado di frenare il processo di invecchiamento. Politiche che favoriscono la conciliazione tra lavoro e famiglia, più carenti da noi che nel resto d’Europa, si dimostrano avere ricadute positive sulla riduzione degli squilibri tra generazioni e sulla sostenibilità del sistema sociale».
Green Report - Entro la fine del secolo saremo quasi 11 miliardi, 800 milioni in più (cioè l’8%) rispetto ai 10,1 miliardi stimati nel 2011: ad affermarlo è direttamente l’Onu, nel rapporto World Population Prospects: The 2012 Revision, che abbiamo già descritto sulle nostre pagine. Non è una revisione da poco: si tratta di quasi 1 miliardo di persone in più che, secondo le stime, cammineranno su questo pianeta, al quale – come tutti noi – chiederanno risorse. Andando così ad accrescerne il consumo, e impattando di conseguenza sull’ecosistema. Un miliardo di persone in più significa dover iniziare a ripensare sin da oggi le nostre politiche per la sostenibilità? Alessandro Rosina, demografo dell’università Cattolica di Milano (e autore, insieme a M.L. Tanturri, di “Goodbye Malthus. Il futuro della popolazione: dalla crescita della quantità alla qualità della crescita”, Rubbettino, 2011), ci offre una risposta non scontata al dilemma.
Con la revisione del rapporto World Population Prospects, l’Onu ammette di aver sbagliato le proprie previsioni demografiche. Eppure la loro affidabilità è necessaria per pianificare adeguate politiche di sviluppo. Possiamo fidarci di questa nuova previsione?
«Le previsioni per definizione sono sbagliate. Nessuno conosce il futuro. Le previsioni demografiche hanno però maggior grado di precisione rispetto ad altri processi e fenomeni per il fattore inerziale che caratterizza le dinamiche di popolazione. Sono quindi affidabili soprattutto nel breve e medio termine, ma nel lungo periodo il grado di imprecisione rimane alto. Ad esempio, possiamo facilmente prevedere ammontare e composizione della popolazione italiana nel 2014, dato che sarà composta soprattutto da persone già presenti oggi, ma molto più complicato è sapere quanti e come saremo nel 2114. L’unica difesa rispetto a questa incertezza è aggiornare continuamente le previsioni tenendo conto dei cambiamenti in corso».
L’aumento previsto è rilevante, quasi 1 miliardo di persone in più al 2100 rispetto a quanto precedentemente stimato. Alla fine dell’ultima glaciazione, la popolazione umana contava circa 5 milioni di individui, mentre adesso viaggiamo per gli 11 miliardi. Un aumento di popolazione incredibile. Nel 2100 saremo troppi per un unico pianeta?
«Di sicuro nel 2100 saremo in tanti nel pianeta, molti di più rispetto a qualsiasi epoca precedente. Dire se saremo “troppi” dipende dalla nostra capacità di gestire questa crescita con spazi e risorse adeguati. Due considerazioni vanno fatte a questo proposito. La prima riguarda il fattore tempo. Oltre alla maggior prevedibilità rispetto ad altri fenomeni, le variazioni sulla crescita della popolazione avvengono lentamente, seppur inesorabilmente, nel tempo. Questo significa che possiamo prepararci e trovare soluzioni adeguate, pur sapendo che non saranno comunque né semplici e né scontate. La seconda considerazione è relativa al fatto che la crescita è molto differenziata sul pianeta. In alcune aree, in particolare in Europa e nei paesi più sviluppati, la crescita sarà sostanzialmente nulla, in altre sarà moderata, mentre ad aumentare in modo accentuato sarà soprattutto l’Africa. Il 9% del mondo vive in 31 paesi con fecondità molto elevata e 29 di questi si trovano in tale continente. La sfida è quindi soprattutto quella di aiutare l’Africa e le sue zone più povere ad uscire dalla condizione di sottosviluppo ed innescare un rapporto virtuoso tra transizione demografica e miglioramento economico e sociale».
Secondo il noto modello IPAT, l’impatto I sul pianeta dipende da tre variabili fondamentali: la popolazione P, lo stile di vita A (dall’inglese affluence), ovvero i consumi pro capite, e il fattore tecnologico T (I = P×A×T). L’aumento di popolazione accresce direttamente l’impatto: quale dimensione assume, quindi, il previsto aumento nel fattore popolazione?
«La popolazione crescerà dai 7 miliardi attuali a quasi 10 miliardi nel 2050. Questi dati non sono molto diversi rispetto alle previsioni fatte negli anni scorsi. La revisione al rialzo riguarda soprattutto quello che avverrà più avanti ed è molto legato alle vicende dell’Africa. L’impatto da gestire nei prossimi decenni è quindi quello di 3 miliardi in più di abitanti del pianeta. Teniamo conto che eravamo 4 miliardi negli anni ’70, quindi il sovraccarico in termini assoluti sarà analogo a quanto sperimento da allora ad oggi, ma distribuito diversamente. Ad aiutarci potrebbero però essere gli altri fattori dell’equazione, ovvero i cambiamenti negli stili di vita e nei consumi, l’innovazione tecnologica, una maggior efficienza nell’uso di vecchie e nuove risorse energetiche. La stessa crisi economica potrebbe incentivare la costruzione di un nuovo modello di sviluppo più equo e sostenibile»
Per i paesi occidentali, compreso il nostro, nella quasi totalità dei casi si prevede un declino, un progressivo invecchiamento della popolazione: siamo destinati a diventare marginali, già nel corso di questo secolo?
«Nei paesi più sviluppati la fecondità è da decenni sotto i due figli per donna, quindi da tempo la crescita è ferma o è alimentata solo dall’immigrazione dall’estero. Il fatto di fare meno figli e vivere più a lungo ha prodotto il processo di invecchiamento. Se aumenta il numero degli anziani è però anche vero che si diventa vecchi sempre più tardi e che ristrutturando la società con politiche adeguate è possibile valorizzare capacità e competenze in tutte le stagioni della vita. Se il resto del mondo continuerà a crescere in quantità, la sfida per l’Europa è puntare sempre più sulla qualità. Ma il ruolo dell’Europa sul piano internazionale dipenderà anche dalla capacità di essere unita e con una chiara identità politica».
Alla luce di queste considerazioni quali politiche per l’immigrazione e la natalità sarebbe più opportuno adottare, nel nostro Paese?
«Il fenomeno dell’immigrazione in Italia è cresciuto sinora in modo sostanzialmente spontaneo, senza una chiara politica che lo rendesse virtuosamente integrato con le specificità italiane e il nostro processo di sviluppo. Quello che andrebbe soprattutto favorito è invece un flusso legale di persone con requisiti (caratteristiche e potenzialità) il più possibile coerenti e integrabili con la società italiana e il nostro mercato del lavoro. Gestire in modo “intelligente” l’immigrazione significa mettere in atto politiche che mirino a migliorare sia la qualità della vita degli immigrati sul suolo italiano, che la convivenza con la popolazione autoctona, che lo specifico contributo alla crescita del paese.
L’immigrazione di per sé non è comunque in grado di frenare il processo di invecchiamento. Politiche che favoriscono la conciliazione tra lavoro e famiglia, più carenti da noi che nel resto d’Europa, si dimostrano avere ricadute positive sulla riduzione degli squilibri tra generazioni e sulla sostenibilità del sistema sociale».
di Luca Aterini
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