Spinti dall’avidità o dalla disperazione, i ladri di metallo non
sembrano preoccuparsi più di tanto della provenienza della loro
“refurtiva”, ormai sempre più indirizzati anche verso siti che
dovrebbero essere considerati “moralmente” proibiti, cioè i cimiteri, o
particolarmente pericolosi, cioè le cabine dell’Enel.
Greenreport -Ma c’è un posto che dovrebbe essere considerato particolarmente stupido – o soprattutto disperato – da saccheggiare: il cantiere di demolizione di Chernobyl. Durante il tragico incidente al reattore nucleare in Ucraina, ondate di mezzi di soccorso, camion dei pompieri ed elicotteri dell’esercito furono inviati a tentare di contenere e ripulire il disastro. Quando gli sforzi di un primo “risanamento” si conclusero (con la realizzazione del famigerato “sarcofago”) , migliaia di veicoli e di altri macchinari risultarono essere troppo radioattivi per essere riutilizzati e furono semplicemente abbandonati in un campo nei pressi del reattore.
Dopo oltre 25 anni sono ancora lì, una distesa di metallo arrugginito che il governo ha dichiarato off-limits (vedi reportage fotografico della BCC). Ma il fatto che gran parte del rottame stia ancora emettendo livelli pericolosi di radiazioni a quanto pare non sembra aver impensierito determinati “scrappers”.
Ci sono diverse segnalazioni di persone sorprese a rubare tonnellate di metallo irradiato da vicino dal reattore ed è evidente che questo venga poi venduto per il riciclaggio in nuovi prodotti. Ma in metallo recuperato, anche se rifuso, non perde la sua radioattività, e anche una piccola quantità può contaminare le stesse apparecchiature per il trasporto, il trattamento, imballaggio e, infine, comparire sugli scaffali dei negozi.
Della radioattività di molti prodotti in commercio ne ha parlato anche uno studio dell’Università di Berkley, California (USA) che mette in risalto proprio l’impossibilità di determinare la provenienza di alcune materie prime con cui vengono realizzate le merci distribuite nel mondo intero, puntando l’indice non solo sui Paesi dell’ex Unione Sovietica ma anche verso la Cina e l’India.
Quanto sopra si ricollega al pericolo di commercializzazione del legno di Cernobyl, sia per uso arredamento (mobili, parquet, ecc.) sia per quello da ardere (vedi pellet), anche perché la Centrale si trova all’interno di una maestosa e infinita foresta di betulle e pioppi che non viene sottratta all’uso umano (solo una parte di quest’area, quella più vicina al sito e che è stata tristemente ribattezzata “foresta rossa” in quanto le radiazioni hanno modificato il colore degli alberi, è virtualmente protetta, sia in Ucraina che in Bielorussia).
Greenreport -Ma c’è un posto che dovrebbe essere considerato particolarmente stupido – o soprattutto disperato – da saccheggiare: il cantiere di demolizione di Chernobyl. Durante il tragico incidente al reattore nucleare in Ucraina, ondate di mezzi di soccorso, camion dei pompieri ed elicotteri dell’esercito furono inviati a tentare di contenere e ripulire il disastro. Quando gli sforzi di un primo “risanamento” si conclusero (con la realizzazione del famigerato “sarcofago”) , migliaia di veicoli e di altri macchinari risultarono essere troppo radioattivi per essere riutilizzati e furono semplicemente abbandonati in un campo nei pressi del reattore.
Dopo oltre 25 anni sono ancora lì, una distesa di metallo arrugginito che il governo ha dichiarato off-limits (vedi reportage fotografico della BCC). Ma il fatto che gran parte del rottame stia ancora emettendo livelli pericolosi di radiazioni a quanto pare non sembra aver impensierito determinati “scrappers”.
Ci sono diverse segnalazioni di persone sorprese a rubare tonnellate di metallo irradiato da vicino dal reattore ed è evidente che questo venga poi venduto per il riciclaggio in nuovi prodotti. Ma in metallo recuperato, anche se rifuso, non perde la sua radioattività, e anche una piccola quantità può contaminare le stesse apparecchiature per il trasporto, il trattamento, imballaggio e, infine, comparire sugli scaffali dei negozi.
Della radioattività di molti prodotti in commercio ne ha parlato anche uno studio dell’Università di Berkley, California (USA) che mette in risalto proprio l’impossibilità di determinare la provenienza di alcune materie prime con cui vengono realizzate le merci distribuite nel mondo intero, puntando l’indice non solo sui Paesi dell’ex Unione Sovietica ma anche verso la Cina e l’India.
Quanto sopra si ricollega al pericolo di commercializzazione del legno di Cernobyl, sia per uso arredamento (mobili, parquet, ecc.) sia per quello da ardere (vedi pellet), anche perché la Centrale si trova all’interno di una maestosa e infinita foresta di betulle e pioppi che non viene sottratta all’uso umano (solo una parte di quest’area, quella più vicina al sito e che è stata tristemente ribattezzata “foresta rossa” in quanto le radiazioni hanno modificato il colore degli alberi, è virtualmente protetta, sia in Ucraina che in Bielorussia).
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