La questione aperta dell’obiezione di coscienza sui fronti sanitari e militari o su quello economico, ma anche nella vita quotidiana di fronte a scelte che mettono in discussione valori e convinzioni. Intervista al professor Anselmo Palini, biografo di Primo Mazzolari
Città Nuova - Da sempre e in particolare nelle società complesse, il riferimento alla priorità della coscienza genera sempre dei conflitti che finiscono per avere un rilievo pubblico. Così la legittimità del rifiuto del servizio militare in Italia non ha fatto venir meno i contrasti sulla giustificazione della guerra mente una lacerazione permanente riguarda la questione dell’aborto. Alcune associazioni come la onlus "Consulta di Bioetica" ha lanciato la campagna contro il riconoscimento dell’obiezione di coscienza nelle professioni sanitarie, mentre “Scienza e Vita” ha sostenuto il contrario dedicando al tema due giorni di assemblea nazionale a Roma dal 24 e 25 maggio 2013 . Segni di una società divisa su tanti fronti ma che ha bisogno di trovare una strada comune di riconoscimento reciproco. Come ha testimoniato Arnaldo Scarpa, membro della segreteria provinciale Flc-Cgil di Carbonia-Iglesias, in un dibattito sul tema: «Sono una persona di sinistra, credo nella libertà, nella giustizia, nell’eguaglianza, nella solidarietà come valori fondamentali ancora tutti da realizzare concretamente nella nostra società per costruire un mondo migliore. La possibilità di obiettare di fronte ad un obbligo che coinvolge la coscienza è uno dei diritti irrinunciabili in uno stato che si dica democratico. Ho obiettato al servizio militare, obietterei all’aborto se facessi parte delle categorie interessate».
Ne parliamo con Anselmo Palini, biografo di don Primo Mazzolari e autore per l’editrice Ave di importanti testi sulla priorità della coscienza davanti al potere, nonché di un denso testo sul dibattito in tema di aborto pubblicato da Città Nuova nel lontano 1992.
Igino Giordani presenta la prima proposta di obiezione di coscienza al servizio militare nel 1949 dopo aver vissuto la contraddizione di oppositore alla guerra chiamato alle armi nel conflitto del 15-18. Don Mazzolari nella lettera di risposta all’aviatore nel 1941 legittimava la scelta dell’obiezione nel caso di una guerra dichiarata dal regime fascista. Cosa ha impedito di arrivare prima al riconoscimento avvenuto con la legge del 1972?
«Sicuramente il ritardo è dovuto al fatto che sia in ambito civile che in ambito religioso la riflessione sull'obiezione di coscienza è sempre stata elitaria, minoritaria. Si pensi che i documenti del Concilio, là dove si parla di obiezione di coscienza, la presentano come una possibilità da tenere in considerazione o, meglio, da tollerare. E lo stesso Concilio non presenta una condanna assoluta della guerra, condanna che invece ad esempio Mazzolari già nel 1955 con "Tu non uccidere" aveva sostenuto come assolutamente necessaria. il Concilio parla ancora della guerra difensiva. Ci vorrà ancora molto tempo perché all'interno della Chiesa una riflessione più approfondita si possa sviluppare sui temi della pace e della guerra. Ancora oggi la Chiesa presenta al proprio interno delle situazioni contraddittorie: da un lato i documenti sul tema della pace si sono moltiplicati e sono sempre più chiari ed espliciti, dall'altro però, ad esempio, permane ancora la figura dei cappellani militari che sono anche dei graduati, dunque organici alla realtà delle forze armate».
In Austria ha vinto a gennaio il referendum che mantiene l’obbligatorietà del servizio militare. Ma non sembra più coerente questa scelta davanti al caso italiano che ha visto la diminuzione dei fondi al servizio civile e l’incentivo all’esercito di professionisti che richiede l’aumento della spesa in armamenti?
«Personalmente ritengo il servizio militare un'esperienza negativa, innanzitutto dal punto di vista educativo, per cui la sua eliminazione è certamente un passo in avanti. Vedrei bene invece un incentivo maggiore al servizio civile nazionale proprio per proporre esperienze educative e formative ad un numero sempre maggiore di giovani. Il discorso di un esercito di professionisti mi lascia poi molto scettico e in un certo senso anche preoccupato. Tale esercito rischia infatti di diventare una realtà fortemente militarista, estremista e poco democratica al proprio interno, caratterizzata soprattutto dalla presenza di persone di estrema destra. Sarebbe più opportuno lentamente far crescere la consapevolezza che serve personale preparato in compiti di interposizione, di mediazione, di conciliazione e non superesperti in operazioni militari. Insomma, una sorte di forza di pace, anche armata, ma preparata non tanto per operazioni militari quanto appunto per operazioni di pace. E' un problema di tipo culturale e indirizzare in questo senso le forze armate necessita di una volontà politica assolutamente determinata».
A suo giudizio quali profonde ragioni culturali producono la contraddizione di avere le stesse realtà che sostengono l’obiezione di coscienza per quanto riguarda l’uso delle armi ma sono refrattarie a riconoscere lo stesso diritto al personale sanitario in caso di aborto? Lo stesso avviene per i farmacisti o comunque in casi che attengono alla bioetica .
«Purtroppo il tema del diritto alla vita, e conseguentemente quello della contrarietà all'aborto, è stato fatto diventare un tema "cattolico", cioè un problema di coscienza dei soli cattolici. Non si è capita la grande lezione di Norberto Bobbio, il quale, da laico e da non credente, ha sempre affermato che il "tu non uccidere" è un imperativo assoluto e che non deve prevedere eccezioni. Anche l'aborto va trattato in questo contesto: esso, dice Bobbio, rappresenta la violazione di un diritto umano fondamentale e dunque è inaccettabile. Il tema dell'aborto, e conseguentemente le problematiche connesse con la bioetica, vanno trattate nel contesto dei diritti umani, non dunque in un discorso che contrappone laici e cattolici. Ecco, molti di coloro che sono antimilitaristi e obiettori di coscienza per quanto riguarda l'uso delle armi o le spese militari, non hanno capito che con l'aborto avviene la violazione non di un principio religioso, ma di un diritto umano fondamentale».
Come la violenza della crisi economica ci sta insegnando, non ci sarebbero gli estremi per riconoscere l’obiezione di coscienza per gli operatori che si rifiutano di vendere e promuovere i cosiddetti prodotti tossici del mercato finanziario?
« Penso che non sia possibile allargare troppo il ventaglio delle "obiezioni", altrimenti perde di significato. C'è però sempre la coscienza personale, la possibilità di usare quel monosillabo ormai dimenticato, ossia il "no". Ogni lavoratore, soprattutto di fronte a proposte di tipo chiaramente speculativo nel campo finanziario o anche ad esempio di fronte a operazioni che possono portare a disastri ambientali o di altro tipo, può opporre il proprio rifiuto, la propria non disponibilità ad operare in tale direzione. Io penso che bisognerebbe, anche nel mondo cattolico, ricordare che proposte moralmente ingiuste, provenienti anche da un superiore, vanno rifiutate. Anche il catechismo della Chiesa cattolica questo ormai lo indica chiaramente. Purtroppo questo monosillabo è stato dimenticato e ci si è abituati al peggio».
Città Nuova - Da sempre e in particolare nelle società complesse, il riferimento alla priorità della coscienza genera sempre dei conflitti che finiscono per avere un rilievo pubblico. Così la legittimità del rifiuto del servizio militare in Italia non ha fatto venir meno i contrasti sulla giustificazione della guerra mente una lacerazione permanente riguarda la questione dell’aborto. Alcune associazioni come la onlus "Consulta di Bioetica" ha lanciato la campagna contro il riconoscimento dell’obiezione di coscienza nelle professioni sanitarie, mentre “Scienza e Vita” ha sostenuto il contrario dedicando al tema due giorni di assemblea nazionale a Roma dal 24 e 25 maggio 2013 . Segni di una società divisa su tanti fronti ma che ha bisogno di trovare una strada comune di riconoscimento reciproco. Come ha testimoniato Arnaldo Scarpa, membro della segreteria provinciale Flc-Cgil di Carbonia-Iglesias, in un dibattito sul tema: «Sono una persona di sinistra, credo nella libertà, nella giustizia, nell’eguaglianza, nella solidarietà come valori fondamentali ancora tutti da realizzare concretamente nella nostra società per costruire un mondo migliore. La possibilità di obiettare di fronte ad un obbligo che coinvolge la coscienza è uno dei diritti irrinunciabili in uno stato che si dica democratico. Ho obiettato al servizio militare, obietterei all’aborto se facessi parte delle categorie interessate».
Ne parliamo con Anselmo Palini, biografo di don Primo Mazzolari e autore per l’editrice Ave di importanti testi sulla priorità della coscienza davanti al potere, nonché di un denso testo sul dibattito in tema di aborto pubblicato da Città Nuova nel lontano 1992.
Igino Giordani presenta la prima proposta di obiezione di coscienza al servizio militare nel 1949 dopo aver vissuto la contraddizione di oppositore alla guerra chiamato alle armi nel conflitto del 15-18. Don Mazzolari nella lettera di risposta all’aviatore nel 1941 legittimava la scelta dell’obiezione nel caso di una guerra dichiarata dal regime fascista. Cosa ha impedito di arrivare prima al riconoscimento avvenuto con la legge del 1972?
«Sicuramente il ritardo è dovuto al fatto che sia in ambito civile che in ambito religioso la riflessione sull'obiezione di coscienza è sempre stata elitaria, minoritaria. Si pensi che i documenti del Concilio, là dove si parla di obiezione di coscienza, la presentano come una possibilità da tenere in considerazione o, meglio, da tollerare. E lo stesso Concilio non presenta una condanna assoluta della guerra, condanna che invece ad esempio Mazzolari già nel 1955 con "Tu non uccidere" aveva sostenuto come assolutamente necessaria. il Concilio parla ancora della guerra difensiva. Ci vorrà ancora molto tempo perché all'interno della Chiesa una riflessione più approfondita si possa sviluppare sui temi della pace e della guerra. Ancora oggi la Chiesa presenta al proprio interno delle situazioni contraddittorie: da un lato i documenti sul tema della pace si sono moltiplicati e sono sempre più chiari ed espliciti, dall'altro però, ad esempio, permane ancora la figura dei cappellani militari che sono anche dei graduati, dunque organici alla realtà delle forze armate».
In Austria ha vinto a gennaio il referendum che mantiene l’obbligatorietà del servizio militare. Ma non sembra più coerente questa scelta davanti al caso italiano che ha visto la diminuzione dei fondi al servizio civile e l’incentivo all’esercito di professionisti che richiede l’aumento della spesa in armamenti?
«Personalmente ritengo il servizio militare un'esperienza negativa, innanzitutto dal punto di vista educativo, per cui la sua eliminazione è certamente un passo in avanti. Vedrei bene invece un incentivo maggiore al servizio civile nazionale proprio per proporre esperienze educative e formative ad un numero sempre maggiore di giovani. Il discorso di un esercito di professionisti mi lascia poi molto scettico e in un certo senso anche preoccupato. Tale esercito rischia infatti di diventare una realtà fortemente militarista, estremista e poco democratica al proprio interno, caratterizzata soprattutto dalla presenza di persone di estrema destra. Sarebbe più opportuno lentamente far crescere la consapevolezza che serve personale preparato in compiti di interposizione, di mediazione, di conciliazione e non superesperti in operazioni militari. Insomma, una sorte di forza di pace, anche armata, ma preparata non tanto per operazioni militari quanto appunto per operazioni di pace. E' un problema di tipo culturale e indirizzare in questo senso le forze armate necessita di una volontà politica assolutamente determinata».
A suo giudizio quali profonde ragioni culturali producono la contraddizione di avere le stesse realtà che sostengono l’obiezione di coscienza per quanto riguarda l’uso delle armi ma sono refrattarie a riconoscere lo stesso diritto al personale sanitario in caso di aborto? Lo stesso avviene per i farmacisti o comunque in casi che attengono alla bioetica .
«Purtroppo il tema del diritto alla vita, e conseguentemente quello della contrarietà all'aborto, è stato fatto diventare un tema "cattolico", cioè un problema di coscienza dei soli cattolici. Non si è capita la grande lezione di Norberto Bobbio, il quale, da laico e da non credente, ha sempre affermato che il "tu non uccidere" è un imperativo assoluto e che non deve prevedere eccezioni. Anche l'aborto va trattato in questo contesto: esso, dice Bobbio, rappresenta la violazione di un diritto umano fondamentale e dunque è inaccettabile. Il tema dell'aborto, e conseguentemente le problematiche connesse con la bioetica, vanno trattate nel contesto dei diritti umani, non dunque in un discorso che contrappone laici e cattolici. Ecco, molti di coloro che sono antimilitaristi e obiettori di coscienza per quanto riguarda l'uso delle armi o le spese militari, non hanno capito che con l'aborto avviene la violazione non di un principio religioso, ma di un diritto umano fondamentale».
Come la violenza della crisi economica ci sta insegnando, non ci sarebbero gli estremi per riconoscere l’obiezione di coscienza per gli operatori che si rifiutano di vendere e promuovere i cosiddetti prodotti tossici del mercato finanziario?
« Penso che non sia possibile allargare troppo il ventaglio delle "obiezioni", altrimenti perde di significato. C'è però sempre la coscienza personale, la possibilità di usare quel monosillabo ormai dimenticato, ossia il "no". Ogni lavoratore, soprattutto di fronte a proposte di tipo chiaramente speculativo nel campo finanziario o anche ad esempio di fronte a operazioni che possono portare a disastri ambientali o di altro tipo, può opporre il proprio rifiuto, la propria non disponibilità ad operare in tale direzione. Io penso che bisognerebbe, anche nel mondo cattolico, ricordare che proposte moralmente ingiuste, provenienti anche da un superiore, vanno rifiutate. Anche il catechismo della Chiesa cattolica questo ormai lo indica chiaramente. Purtroppo questo monosillabo è stato dimenticato e ci si è abituati al peggio».
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