La Giornata dell’Evangelium Vitae, svoltasi a Roma il 15-16 giugno, è stata l’occasione per riflettere su una delle più importanti encicliche papali del ‘900. Il prezioso documento, donato all’umanità da Giovanni Paolo II nella solennità dell’Annunciazione di quasi venti anni fa (era il 25 marzo del 1995), interroga tutti, credenti e non credenti, sulla sorprendente attualità del Vangelo, quale messaggio insuperabile di vita e di speranza, e sulla relazione inedita tra Vangelo e democrazia
di Bartolo Salone
Ponendosi idealmente in continuità con la “Rerum Novarum” di Leone XIII, in cui la Chiesa aveva difeso con fermezza i diritti della oppressa classe lavoratrice, l’enciclica “Evangelium Vitae” costituisce un accorato appello in difesa di una moltitudine immensa di esseri umani innocenti, che a motivo della loro debolezza e fragilità sono pregiudicati nei più elementari diritti, a partire da quello ‘fondamentalissimo’ alla vita. Le forme di aggressione e di disprezzo della vita umana sono infatti molteplici e varie, anche per effetto del progredire delle applicazioni tecniche del sapere, ma nel presente documento il Papa concentra la sua attenzione (senza tuttavia trascurare gli altri) su due dei più gravi delitti contro la vita perpetrati in numerose Nazioni moderne, vale a dire l’aborto e l’eutanasia, osservando come sovente siffatti delitti ricevano una legittimazione ideologica e culturale se non addirittura una espressa sanzione legislativa, assurgendo paradossalmente alla dignità di diritti. E’ questa la cosiddetta “cultura della morte”, diffusa ormai presso larghi strati dell’opinione pubblica mondiale, che si oppone frontalmente all’insegnamento biblico (in particolare al quinto comandamento, “Non uccidere”) e al Vangelo, che – come ci ricorda Giovanni Paolo II – è essenzialmente e costitutivamente un Vangelo di Vita.
Al di là delle indicazioni pastorali e dottrinali relative a temi specifici, che ciascun cattolico dovrebbe conoscere, meditare e accogliere (si pensi alla decisa e più volte ripetuta condanna dell’aborto procurato, da tenere oramai alla stregua di un dogma di fede, in quanto fatto oggetto di una chiara enunciazione “ex cathedra”: “Con l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi, dichiaro che l’aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente”), l’enciclica si lascia apprezzare per la capacità con cui le cause e le giustificazioni ideologiche di questa nuova “cultura di morte” vengono analizzate e poste in rapporto con la dottrina dei diritti umani e con la concezione moderna della democrazia e dello Stato di diritto. Varrà la pena spendere qualche parola in più su questi argomenti, perché è soprattutto lungo questo crinale che il dialogo con i non credenti si fa possibile e fruttuoso al fine dell’elaborazione di una condivisa “cultura della vita”.
Alla base della “cultura della morte” l’Enciclica pone in primo luogo l’odierna visione efficientista dell’uomo e della società: visione che sempre più spesso si traduce in esiti antisolidaristici, per cui “chi, con la sua malattia, il suo handicap o più semplicemente con la sua stessa presenza, mette in discussione il benessere o le abitudini di vita di quanti sono più avvantaggiati tende ad essere visto come un nemico da cui difendersi o da eliminare”. In secondo luogo, a questa mentalità efficientista si accompagna una falsa concezione della libertà, che, interpretata in chiave esasperatamente individualistica, smarrisce la sua natura relazionale e la sua intima vocazione all’amore mediante il dono che la persona fa di sé e l’accoglienza dell’altro. In terzo luogo, viene in rilievo il diffuso relativismo etico, che nega in campo prima morale e successivamente politico l’esistenza di valori assoluti, validi per tutti. Tutto diventa pertanto convenzionale e negoziabile, ivi compresi i diritti umani, a partire da quello alla vita.
I sistemi giuridici moderni incorrono così in una sorprendente contraddizione, perché, pur proclamando formalmente nelle Costituzioni i diritti inviolabili della persona, dall’altro conculcano gli stessi nei momenti più emblematici dell’esistenza, quali il nascere e il morire. Così viene ad essere negato lo stesso principio di eguaglianza, poiché quei fondamentali diritti che dovrebbero essere riconosciuti all’essere umano in quanto tale senza distinzione di sesso, di razza, di condizione sociale o personale, vengono misconosciuti a chi è più debole, anziano, malato o appena concepito. La democrazia moderna viene pertanto minata nei suoi stessi pilastri, che sono la teoria dei diritti umani inviolabili e il principio di eguaglianza non solo formale, ma anche sostanziale. Al di fuori di questi fondamenti, la democrazia rischia di tradursi di fatto in una “tirannia”: “quando una maggioranza parlamentare decreta la legittimità della soppressione, pur a certe condizioni, della vita umana non ancora nata – si domanda il Papa – non assume forse una decisione tirannica nei confronti dell’essere umano più debole e indifeso?”. Gli stessi crimini contro l’umanità commessi nel corso del ‘900, contro cui la coscienza universale giustamente reagisce, “forse cesserebbero di essere tali se, invece di essere commessi da tiranni senza scrupoli, fossero legittimati dal consenso popolare?”. In verità, prosegue l’Enciclica, il solo modo per uscire da queste contraddizioni è quello di considerare la democrazia per quello che realmente è, ossia un “ordinamento” e, come tale, uno strumento, giammai un fine. Il suo carattere “morale” non è pertanto automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale, a cui ogni ordinamento, democrazia compresa, deve sottostare: dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve. Così concepita, la democrazia è e rimane un meraviglioso “segno dei tempi”, come più volte ribadito dal Magistero della Chiesa.
Il Vangelo, in definitiva, ci chiede di concepire la democrazia in funzione del valore sacro ed inviolabile della vita umana. E’ questo il solo modo di intendere la democrazia in maniera non contraddittoria. Smarrito il valore della vita umana, infatti, la dottrina dei diritti umani diventa un non senso e, insieme con questa, anche la democrazia cessa di esistere nel suo significato più alto e autentico, direi pure “sostanziale”, riducendosi ad un mero procedimento formale di assunzione delle decisioni fondato sul principio maggioritario (dagli esiti, come abbiamo visto, possibilmente anche tirannici). Il Vangelo della Vita, dunque, torna ad essere l’ “anima” della democrazia contemporanea: è questa la profonda intuizione e al contempo la provocazione che l’Enciclica lascia profeticamente agli uomini del terzo millennio!
di Bartolo Salone
Ponendosi idealmente in continuità con la “Rerum Novarum” di Leone XIII, in cui la Chiesa aveva difeso con fermezza i diritti della oppressa classe lavoratrice, l’enciclica “Evangelium Vitae” costituisce un accorato appello in difesa di una moltitudine immensa di esseri umani innocenti, che a motivo della loro debolezza e fragilità sono pregiudicati nei più elementari diritti, a partire da quello ‘fondamentalissimo’ alla vita. Le forme di aggressione e di disprezzo della vita umana sono infatti molteplici e varie, anche per effetto del progredire delle applicazioni tecniche del sapere, ma nel presente documento il Papa concentra la sua attenzione (senza tuttavia trascurare gli altri) su due dei più gravi delitti contro la vita perpetrati in numerose Nazioni moderne, vale a dire l’aborto e l’eutanasia, osservando come sovente siffatti delitti ricevano una legittimazione ideologica e culturale se non addirittura una espressa sanzione legislativa, assurgendo paradossalmente alla dignità di diritti. E’ questa la cosiddetta “cultura della morte”, diffusa ormai presso larghi strati dell’opinione pubblica mondiale, che si oppone frontalmente all’insegnamento biblico (in particolare al quinto comandamento, “Non uccidere”) e al Vangelo, che – come ci ricorda Giovanni Paolo II – è essenzialmente e costitutivamente un Vangelo di Vita.
Al di là delle indicazioni pastorali e dottrinali relative a temi specifici, che ciascun cattolico dovrebbe conoscere, meditare e accogliere (si pensi alla decisa e più volte ripetuta condanna dell’aborto procurato, da tenere oramai alla stregua di un dogma di fede, in quanto fatto oggetto di una chiara enunciazione “ex cathedra”: “Con l’autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i Vescovi, dichiaro che l’aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente”), l’enciclica si lascia apprezzare per la capacità con cui le cause e le giustificazioni ideologiche di questa nuova “cultura di morte” vengono analizzate e poste in rapporto con la dottrina dei diritti umani e con la concezione moderna della democrazia e dello Stato di diritto. Varrà la pena spendere qualche parola in più su questi argomenti, perché è soprattutto lungo questo crinale che il dialogo con i non credenti si fa possibile e fruttuoso al fine dell’elaborazione di una condivisa “cultura della vita”.
Alla base della “cultura della morte” l’Enciclica pone in primo luogo l’odierna visione efficientista dell’uomo e della società: visione che sempre più spesso si traduce in esiti antisolidaristici, per cui “chi, con la sua malattia, il suo handicap o più semplicemente con la sua stessa presenza, mette in discussione il benessere o le abitudini di vita di quanti sono più avvantaggiati tende ad essere visto come un nemico da cui difendersi o da eliminare”. In secondo luogo, a questa mentalità efficientista si accompagna una falsa concezione della libertà, che, interpretata in chiave esasperatamente individualistica, smarrisce la sua natura relazionale e la sua intima vocazione all’amore mediante il dono che la persona fa di sé e l’accoglienza dell’altro. In terzo luogo, viene in rilievo il diffuso relativismo etico, che nega in campo prima morale e successivamente politico l’esistenza di valori assoluti, validi per tutti. Tutto diventa pertanto convenzionale e negoziabile, ivi compresi i diritti umani, a partire da quello alla vita.
I sistemi giuridici moderni incorrono così in una sorprendente contraddizione, perché, pur proclamando formalmente nelle Costituzioni i diritti inviolabili della persona, dall’altro conculcano gli stessi nei momenti più emblematici dell’esistenza, quali il nascere e il morire. Così viene ad essere negato lo stesso principio di eguaglianza, poiché quei fondamentali diritti che dovrebbero essere riconosciuti all’essere umano in quanto tale senza distinzione di sesso, di razza, di condizione sociale o personale, vengono misconosciuti a chi è più debole, anziano, malato o appena concepito. La democrazia moderna viene pertanto minata nei suoi stessi pilastri, che sono la teoria dei diritti umani inviolabili e il principio di eguaglianza non solo formale, ma anche sostanziale. Al di fuori di questi fondamenti, la democrazia rischia di tradursi di fatto in una “tirannia”: “quando una maggioranza parlamentare decreta la legittimità della soppressione, pur a certe condizioni, della vita umana non ancora nata – si domanda il Papa – non assume forse una decisione tirannica nei confronti dell’essere umano più debole e indifeso?”. Gli stessi crimini contro l’umanità commessi nel corso del ‘900, contro cui la coscienza universale giustamente reagisce, “forse cesserebbero di essere tali se, invece di essere commessi da tiranni senza scrupoli, fossero legittimati dal consenso popolare?”. In verità, prosegue l’Enciclica, il solo modo per uscire da queste contraddizioni è quello di considerare la democrazia per quello che realmente è, ossia un “ordinamento” e, come tale, uno strumento, giammai un fine. Il suo carattere “morale” non è pertanto automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale, a cui ogni ordinamento, democrazia compresa, deve sottostare: dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve. Così concepita, la democrazia è e rimane un meraviglioso “segno dei tempi”, come più volte ribadito dal Magistero della Chiesa.
Il Vangelo, in definitiva, ci chiede di concepire la democrazia in funzione del valore sacro ed inviolabile della vita umana. E’ questo il solo modo di intendere la democrazia in maniera non contraddittoria. Smarrito il valore della vita umana, infatti, la dottrina dei diritti umani diventa un non senso e, insieme con questa, anche la democrazia cessa di esistere nel suo significato più alto e autentico, direi pure “sostanziale”, riducendosi ad un mero procedimento formale di assunzione delle decisioni fondato sul principio maggioritario (dagli esiti, come abbiamo visto, possibilmente anche tirannici). Il Vangelo della Vita, dunque, torna ad essere l’ “anima” della democrazia contemporanea: è questa la profonda intuizione e al contempo la provocazione che l’Enciclica lascia profeticamente agli uomini del terzo millennio!
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