domenica, giugno 16, 2013
Hassan Rohani è il nuovo presidente della Repubblica Islamica dell'Iran  

Radio Vaticana - Lo ha annunciato il ministero dell'Interno al canale televisivo di Stato. Il candidato moderato, che aveva raccolto il consenso del fronte riformista, ha oltrepassato la soglia del 50% dei voti e ha vinto la corsa presidenziale al primo turno. “Le elezioni presidenziali sono un voto di fiducia nella Repubblica Islamica – ha detto la Guida suprema Ayatollah Ali Khamenei. Salvatore Sabatino ha sentito Farian Sabahi, docente di Storia dei Paesi Islamici presso l’Università di Torino:
R. – Hassan Rohani rappresenta la rivincita del clero sciita rispetto alle teorie devianti del presidente uscente, Ahmadinejad, che in questi anni era entrato in conflitto con il clero sciita. Rohani sembra aver vinto e vincenti sono state le sue dichiarazioni a favore dei diritti sociali delle donne – diritti sociali e non diritti legali – e contro quello stato di polizia che tanto ha intimidito i giovani in questi anni, soprattutto i giovani universitari.

D. – L’affluenza alle urne è stata molto alta, intorno all’80%, eppure si temeva il contrario. Quanto ha influito questo sulla crescita dei riformisti?
R. – L’affluenza è stata alta per due motivi: il voto è l’unico modo per cambiare le cose – se non ci sono i brogli – ma anche un modo per esibire al mondo il fatto di essere cittadini di un Paese che gode di pessima fama. Gli iraniani si sentono in un angolo, sono schiacciati dalle sanzioni internazionali dovute a un controverso programma nucleare, ma sono anche nell’impossibilità di mandare soldi all’estero – per esempio ai figli che studiano in università straniere – perché le sanzioni colpiscono anche il settore bancario. Non bisogna poi sottovalutare la fierezza di un popolo che non sempre condivide le scelte dei suoi leader, ma di fronte a questa estrema pressione occidentale non ha alternativa se non far fronte comune con i suoi leader.

D. – I conservatori presentavano in queste elezioni cinque candidati su sei, eppure nessuno di loro ha convinto le masse. Perché?
R. – Queste elezioni ricordano un po’ quelle del 1997, in cui aveva vinto il riformatore Mohammad Khatami, mentre tutti davano invece per vincente il conservatore Nateq-Nouri, il quale in campagna elettorale aveva osato dire di voler mettere il velo alle bambine prima della pubertà. A giocare un ruolo importante questa volta sono state indubbiamente le dichiarazioni del candidato riformatore Rohani, che poi era l’unico candidato in grado di coagulare il consenso di centristi e moderati. Non aveva rivali, non c’erano alternative e di certo è servito il sostegno di due ex presidenti Khatami e Rafsanjani: uno non si è presentato a questa corsa elettorale e l’altro invece è stato escluso.

D. – Il difficilissimo rapporto tra la guida suprema e i riformisti potrà migliorare ed essere meno teso dopo questo risulto elettorale? Credo che questo rapporto dovrà essere rivisto…
R. – Credo che se Rohani ha partecipato a questa corsa elettorale è perché lo ha voluto il leader supremo, non dimentichiamo il “pedigree” impeccabile di Rohani: ha 64 anni, è un membro del clero con il turbante bianco, è di fatto un uomo di regime che negli anni ’60 aveva criticato lo Scià ed era stato in carcere. Per 20 anni, è stato deputato della Repubblica islamica. Dal 1999, è membro dell’Assemblea degli esperti ed è stato poi negoziatore sul nucleare. Non offre soluzioni concrete ai problemi del Paese, soprattutto ai problemi economici e non dimentichiamo poi il fatto che suo fratello Hassan Rohani è un esponente di punta dei servizi segreti iraniani. Quindi, è di fatto un uomo di sistema.

D. – Quindi, molto lontano comunque da una personalità come Khatami per esempio…
R. – Sì. Indubbiamente, Khatami era più interessato alle questioni economiche – era stato il ministro alla cultura – ma non dimentichiamo che anche in momenti importanti, come le proteste studentesche del luglio 1999, Khatami non aveva preso veramente posizione a fianco degli studenti, ma aveva fatto un passo indietro. Quindi, non dimentichiamo che queste persone sono comunque imparentate con il leader supremo, o godono del suo appoggio, altrimenti non potrebbero nemmeno presentarsi.

D. – Quali sono le prime sfide che dovrà affrontare il nuovo presidente?
R. – I problemi principali dell’Iran sono l’isolamento internazionale e le sanzioni dovute al controverso programma nucleare. Politica estera e politica nucleare sono però prerogative del leader supremo e non del presidente della Repubblica. Il prossimo presidente dovrà occuparsi in primis della situazione economica. C’è una grave crisi: la valuta locale, il Riyāl, ha perso il 40% del suo valore contro il dollaro, inflazione e disoccupazione sono alle stelle, il potere di acquisto degli iraniani è crollato e questo sfavorisce lo scontento. Per migliorare l’economia, il prossimo presidente dovrà però collaborare con il leader supremo in politica estera e politica nucleare. Bisognerà cercare di dare l’immagine di un Paese che diventa un po’ più moderato, un po’ meno estremista, perché questo è indispensabile anche all’economia del Paese. Poi, bisognerà fare anche molta attenzione alla politica economica e a come vengono usati i “fondi accantonati per progetto speciale”, perché uno dei problemi che c’era stato con Ahmadinejad era stato proprio quello: aveva usato dei fondi accantonati per erogare denaro e tutta una serie di facilitazioni ai suoi fan ed ai suoi devoti.

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