È una tipica storia all’italiana, quella dell’aumento dell’Iva.
Greenreport - «A raccontare una cosa che oggi risulta impossibile si fa presto, ma poi diventa difficile. In questo momento soldi per evitare l’aumento dell’Iva nel bilancio dello stato non ce ne sono»: Flavio Zanonato, ministro dello Sviluppo nel governo Letta, conferma così in diretta alla trasmissione televisiva Porta a Porta che tra 16 giorni la maggiorazione dell’Iva al 22% non potrà essere evitata. In un contesto più istituzionale – all’interno dell’aula del Senato – il ministro dell’Economia Saccomanni ha contribuito a chiarire il concetto. «Se l’Imu dovesse essere eliminata definitivamente l’onere finanziario sarebbe di 4 miliardi di euro all’anno. Se a questo si aggiungono i 4 miliardi dell’Iva si deve ipotizzare la necessità di interventi di tipo compensativo di estrema severità, che al momento attuale non sono rinvenibili». Dunque, «il governo intende esaminare questo tipo di problemi in piena collaborazione con il Parlamento. Sarà in quella sede che, tenendo conto delle esigenze di finanziamento, dovranno essere fatte le priorità opportune tenendo conto degli impatti relativi di certi strumenti di politica fiscale».
Se da un bilancio annuale di 800 miliardi di euro, come quello a cui fa riferimento la pubblica amministrazione italiana, 4+4 miliardi riescono a far tremare l’esecutivo, la domanda adesso è sulla base di quali «priorità opportune» si muoverà la macchina istituzionale italiana. Qualcosa, infatti, sarebbe ancora possibile fare. Come ha ricordato Pietro Giordano, presidente nazionale Adiconsum (l’Associazione difesa consumatori e ambiente, promossa dalla Cisl), «i beni non sono tutti uguali. Il Governo distingua tra beni di lusso e beni di largo consumo e di prima necessità». Quindi, almeno, «l’aumento dell’Iva segua il principio “Chi più ha, più paghi”. I beni di lusso – prosegue Giordano – sono oggetti di acquisto per i redditi alti. Si aumenti per tali beni l’Iva senza toccarla per quei beni indispensabili come scarpe e vestiti, solo per fare alcuni esempi».
Già oggi l’imposta sul valore aggiunto presenta una fetta di beni e servizi agevolati da un’aliquota al 4 o al 10% – in massima parte, l’elenco rimane invariato dagli anni ’70, col DPR 633/72 – ma per seguire il criterio «Chi più ha, più paghi» è possibile fare molto di più, indirizzando al contempo l’auspicata ripresa economica su binari più sostenibili. Con una buona dose di coraggio politico, potremmo passare da una sciagurata manovra d’emergenza ad una ponderata riforma strutturale, per la quale gli spunti non mancano di certo.
Ad esempio, con una spending review ad hoc potrebbero essere interessati da un aumento dell’aliquota dal 21 al 22% (ipotizzando anche ulteriori aumenti per rimanere all’interno degli strigenti vincoli di bilancio che ci siamo autoimposti, su gentile pressione europea) soltanto beni di lusso come suggerito da Giordano o – ancor meglio – su quei beni e servizi a più alto consumo di energia e risorse materiali. Un intervento di tale natura si inserirebbe perfettamente in quell’azione di «disboscamento delle agevolazioni e dei sussidi» che il ministro Saccomanni dice di voler perseguire per rilanciare l’economia, e al contempo darebbe un concreto indirizzo per la sostenibilità, per una volta non solo perseguita a parole.
Più l’impatto sulle risorse risulta alto, più il prodotto o servizio dovrebbe essere tassato, disincentivandone il consumo. Al contrario, quei beni e servizi che presentano un’efficienza maggiore nell’utilizzo delle risorse – come i prodotti che garantiscono una tenuta nel tempo maggiore, oppure quelli costruiti con materia prima seconda a valle dell’industria del riciclo, fino ai servizi offerti da riparatori, ristrutturatori e tutti coloro che contribuiscono a mantenere intatte la durevolezza di un oggetto – dovrebbero essere incentivati con una diminuzione, anche drastica se necessario, dell’imposta sul valore aggiunto applicata.
Purtroppo, data la scarsa attenzione finora dedicata al ciclo vita (Lca) di beni e servizi, assieme all’oggettiva difficoltà nel misurare la sostenibilità di un prodotto, non sarebbe possibile agire tempestivamente scegliendo una via univocamente riconosciuta come ottimale: buone approssimazioni sono però già oggi perseguibili, ad esempio con l’indicatore aggregato dell’impronta ecologica. Il peggiore deficit da colmare rimane sempre quello della volontà politica di agire.
Greenreport - «A raccontare una cosa che oggi risulta impossibile si fa presto, ma poi diventa difficile. In questo momento soldi per evitare l’aumento dell’Iva nel bilancio dello stato non ce ne sono»: Flavio Zanonato, ministro dello Sviluppo nel governo Letta, conferma così in diretta alla trasmissione televisiva Porta a Porta che tra 16 giorni la maggiorazione dell’Iva al 22% non potrà essere evitata. In un contesto più istituzionale – all’interno dell’aula del Senato – il ministro dell’Economia Saccomanni ha contribuito a chiarire il concetto. «Se l’Imu dovesse essere eliminata definitivamente l’onere finanziario sarebbe di 4 miliardi di euro all’anno. Se a questo si aggiungono i 4 miliardi dell’Iva si deve ipotizzare la necessità di interventi di tipo compensativo di estrema severità, che al momento attuale non sono rinvenibili». Dunque, «il governo intende esaminare questo tipo di problemi in piena collaborazione con il Parlamento. Sarà in quella sede che, tenendo conto delle esigenze di finanziamento, dovranno essere fatte le priorità opportune tenendo conto degli impatti relativi di certi strumenti di politica fiscale».
Se da un bilancio annuale di 800 miliardi di euro, come quello a cui fa riferimento la pubblica amministrazione italiana, 4+4 miliardi riescono a far tremare l’esecutivo, la domanda adesso è sulla base di quali «priorità opportune» si muoverà la macchina istituzionale italiana. Qualcosa, infatti, sarebbe ancora possibile fare. Come ha ricordato Pietro Giordano, presidente nazionale Adiconsum (l’Associazione difesa consumatori e ambiente, promossa dalla Cisl), «i beni non sono tutti uguali. Il Governo distingua tra beni di lusso e beni di largo consumo e di prima necessità». Quindi, almeno, «l’aumento dell’Iva segua il principio “Chi più ha, più paghi”. I beni di lusso – prosegue Giordano – sono oggetti di acquisto per i redditi alti. Si aumenti per tali beni l’Iva senza toccarla per quei beni indispensabili come scarpe e vestiti, solo per fare alcuni esempi».
Già oggi l’imposta sul valore aggiunto presenta una fetta di beni e servizi agevolati da un’aliquota al 4 o al 10% – in massima parte, l’elenco rimane invariato dagli anni ’70, col DPR 633/72 – ma per seguire il criterio «Chi più ha, più paghi» è possibile fare molto di più, indirizzando al contempo l’auspicata ripresa economica su binari più sostenibili. Con una buona dose di coraggio politico, potremmo passare da una sciagurata manovra d’emergenza ad una ponderata riforma strutturale, per la quale gli spunti non mancano di certo.
Ad esempio, con una spending review ad hoc potrebbero essere interessati da un aumento dell’aliquota dal 21 al 22% (ipotizzando anche ulteriori aumenti per rimanere all’interno degli strigenti vincoli di bilancio che ci siamo autoimposti, su gentile pressione europea) soltanto beni di lusso come suggerito da Giordano o – ancor meglio – su quei beni e servizi a più alto consumo di energia e risorse materiali. Un intervento di tale natura si inserirebbe perfettamente in quell’azione di «disboscamento delle agevolazioni e dei sussidi» che il ministro Saccomanni dice di voler perseguire per rilanciare l’economia, e al contempo darebbe un concreto indirizzo per la sostenibilità, per una volta non solo perseguita a parole.
Più l’impatto sulle risorse risulta alto, più il prodotto o servizio dovrebbe essere tassato, disincentivandone il consumo. Al contrario, quei beni e servizi che presentano un’efficienza maggiore nell’utilizzo delle risorse – come i prodotti che garantiscono una tenuta nel tempo maggiore, oppure quelli costruiti con materia prima seconda a valle dell’industria del riciclo, fino ai servizi offerti da riparatori, ristrutturatori e tutti coloro che contribuiscono a mantenere intatte la durevolezza di un oggetto – dovrebbero essere incentivati con una diminuzione, anche drastica se necessario, dell’imposta sul valore aggiunto applicata.
Purtroppo, data la scarsa attenzione finora dedicata al ciclo vita (Lca) di beni e servizi, assieme all’oggettiva difficoltà nel misurare la sostenibilità di un prodotto, non sarebbe possibile agire tempestivamente scegliendo una via univocamente riconosciuta come ottimale: buone approssimazioni sono però già oggi perseguibili, ad esempio con l’indicatore aggregato dell’impronta ecologica. Il peggiore deficit da colmare rimane sempre quello della volontà politica di agire.
di Luca Aterini
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