sabato, giugno 29, 2013
La possibilità di tutelare la storia del territorio alpino dipende dalle scelte urbanistiche e della mobilità. Il messaggio arriva dalla seconda sessione di lavori del Forum organizzato da Greenaccord a Trento, in collaborazione con l’Arcidiocesi e la Provincia autonoma. 

di Martina Valentini 

Trento, 28 Giugno 2013 – Dall’età del bronzo alle riflessioni sugli strumenti più efficaci per permettere alle future generazioni di continuare a vivere i territori alpini. Sono stati condotti in un ideale viaggio del tempo i quasi cento giornalisti che hanno preso parte alla seconda sessione di lavori del X Forum dell’Informazione cattolica per la Salvaguardia del Creato, che l’associazione Greenaccord Onlus ha organizzato a Trento, in collaborazione con la Provincia Autonoma e l’Arcidiocesi della città.

Lo spunto per ricordare gli albori delle vecchie vie di comunicazione che hanno fatto delle Alpi uno straordinario luogo di incontro delle popolazioni che si sono succedute nel corso del tempo lo ha offerto la relazione iniziale di Ester Cason Angelini, consigliere della Fondazione Angelini – Centro Studi sulla Montagna di Belluno. “Uno sguardo sui valichi alpini principali permettono di dire che nelle Alpi occidentali e centrali la frequentazione è documentata fin da tempi antichissimi, come nel caso del Gran San Bernardo. Nelle Alpi orientali e nelle Dolomiti le tracce dei passaggi riportano addirittura all’età preistorica-protostorica per ragioni di caccia (l’Uomo di Similaun era di 5500 anni fa) e i primi insediamenti nei valichi di Monte Croce Comelico e Carnico, successivamente attraversati da imperatori e re con relativi eserciti e cortigiani già in epoca romana e carolingia. Nel Medioevo e primo Rinascimento ondate di pellegrini e mercanti percorrevano gli stessi itinerari individuati nell’antichità, per arrivare a Roma, Venezia e negli altri Luoghi Santi o negli empori e nei porti. Fondamentali i ponti per attraversare i fiumi. Il sistema di comunicazione stradale era funzionale al collegamento fra ospizi e santuali. Celebri e frequentatissime la Via Regia o Via di Alemagna”.

Inevitabile la preoccupazione che una simile mole di testimonianze storiche e umane vada perduta o snaturata a causa di uno sviluppo sbagliato e non adeguatamente rispettoso delle peculiarità che il territorio montano porta con sé. In tal senso, l’attenzione al tipo di architettura utilizzata per gli insediamenti umani riveste un ruolo centrale. Ma l’analisi degli esperti è purtroppo impietosa: “Il patrimonio edilizio realizzato a partire dagli Anni 60 non rispetta affatto il paesaggio alpino” denuncia Annibale Salsa, presidente del Comitato scientifico dell’Accademia della Montagna del Trentino. “Il fenomeno delle seconde case e dei grandi condomini ha alterato profondamente il delicato equilibrio di questi ecosistemi, colonizzando la montagna con modelli metropolitano-urbani”.

La richiesta degli esperti è quindi di invertire decisamente la rotta: “Bisogna intervenire in un recupero intelligente della tradizione – prosegue Salsa - coniugandola con l’innovazione. Nuovi materiali, nuove idee, nuove forme che siano in grado di dialogare con il territorio. Quando c’è una frattura di questo dialogo non c’è più paesaggio. Per fortuna esistono casi di buone pratiche: il Trentino sta sicuramente percorrendo questa strada, grazie alla ricerca e allo studio di realtà come la Scuola per il Governo del Territorio e del Paesaggio istituita dalla Provincia autonoma”.

Ma l’attenzione all’aspetto urbanistico va coniugata con un ripensamento anche del sistema di mobilità, attualmente troppo sbilanciato in favore delle auto e del mezzo privato. Un grave errore, secondo Witti Mitterer, architetto dell’università di Innsbruck e cofondatrice della rivista Bioarchitettura, convinta della necessità di puntare sulla cura del ferro: “Il sistema di mobilità è un fattore centrale perché consente di approcciarsi in modo corretto a luoghi sensibili dal punto di vista ambientale, che risentono negativamente dell’eccessiva pressione turistica. Sarebbe prioritario avere un sistema ferroviario adeguato, soprattutto in combinazione con un altrettanto avanzato sistema di funivie”. Un modello tanto più auspicabile se si considera che proprio nelle Dolomiti è stata inventata la prima funivia (quella del Colle – anno 1909 - che da Bolzano risale le pendici del Monte Pozza).

Ovvio il rimpianto perché un sistema ferroviario di primo livello in passato esisteva ma è stato abbandonato: “Nel 1867 le reti di ferrovie coprivano tutta l’asse Nord-Sud che collegava Verona con la Baviera e il Nord Europa. Dismetterle è stato un errore madornale, soprattutto se valutiamo i problemi di traffico che colpisce le principali valli trentine e altoatesine nei periodi di alta stagione, invernali ed estivi. Quelle ferrovie, che funzionavano perfettamente in passato, oggi potrebbero risolvere il problema”.

Guardare alle buone pratiche che nel territorio si stanno portando avanti è quindi un ottimo investimento: “A Campo Tures, in Valle Aurina – rivela Mitterer - si sta facendo uno studio di fattibilità per riattivare una tratta aperta nel 1908 e dismessa negli Anni 70”.

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