Gravissima la situazione nel nord dell’India, a causa delle inondazioni dovute al maltempo.
Radio Vaticana -Oltre cinquemila i morti sinora accertati, mentre preoccupa la situazione umanitaria per circa 150 mila persone, metà dei quali bambini, rimasti senza abitazione e senza generi di prima necessità. Otto persone sono morte durante un'operazione di salvataggio compoiuta con un elicottero. Giancarlo La Vella ha sentito Maurizio Salvi, della sede Ansa di New Delhi: ascolta
R. – Prima di tutto, bisogna ricordare che si tratta probabilmente della tragedia più grave mai avvenuta sulla cordigliera dell’Himalaya: un fenomeno meteorologico che ha accompagnato il monsone, che stagionalmente arriva in India in quest’epoca, ma con piogge che sono sembrate più uno tsunami che un normale evento meteorologico. Secondo aspetto, è che questo disastro è avvenuto in un territorio vasto come l’Italia settentrionale e quindi con una grande difficoltà nel raggiungere la gente colpita dal disastro. Terzo aspetto, è che in quel periodo si stava svolgendo uno dei pellegrinaggi più seguiti, alle sorgenti del Gange, cui partecipavano centinaia di migliaia di persone. Ecco, questo è lo scenario, all’interno del quale si sono trovati a dover operare i soccorritori, con tutti i problemi aggravati dal fatto che, ancora adesso, il maltempo perseguita quelle zone.
D. – Annualmente, l’India è colpita dai monsoni. Perché le istituzioni sinora non hanno preso dei provvedimenti, se non altro per limitare gli effetti catastrofici di questi eventi naturali?
R. – Questa è la polemica in corso: le responsabilità vengono rimbalzate tra le autorità dello Stato di Uttarakhand, che è quello dove è avvenuta la tragedia, e quelle invece centrali. Bisogna dire che siamo in un Paese in via di sviluppo, in cui le manifestazioni religiose non vengono accompagnate da un’organizzazione e da un controllo particolarmente accurati: è una cosa un po’ approssimativa, dove tutti fanno quello che vogliono. In più, va segnalato che, nel momento in cui si è creato il picco di questa tragedia, verso il 16-17 giugno, la gente ha cominciato a fuggire in mille direzioni diverse, creando quindi un problema supplementare a chi era addetto ai soccorsi. Oltretutto, molti si sono rifugiati all’interno dei templi o all’interno delle foreste, impedendo quindi dall’alto la loro localizzazione. Sicuramente, dunque, c’è un difetto di organizzazione, che verrà poi analizzato quando finirà la fase acuta di questa tragedia. Bisogna dire, però, che molto è dovuto anche al pressapochismo della gente, che partecipa a queste iniziative di massa.
Radio Vaticana -Oltre cinquemila i morti sinora accertati, mentre preoccupa la situazione umanitaria per circa 150 mila persone, metà dei quali bambini, rimasti senza abitazione e senza generi di prima necessità. Otto persone sono morte durante un'operazione di salvataggio compoiuta con un elicottero. Giancarlo La Vella ha sentito Maurizio Salvi, della sede Ansa di New Delhi: ascolta
R. – Prima di tutto, bisogna ricordare che si tratta probabilmente della tragedia più grave mai avvenuta sulla cordigliera dell’Himalaya: un fenomeno meteorologico che ha accompagnato il monsone, che stagionalmente arriva in India in quest’epoca, ma con piogge che sono sembrate più uno tsunami che un normale evento meteorologico. Secondo aspetto, è che questo disastro è avvenuto in un territorio vasto come l’Italia settentrionale e quindi con una grande difficoltà nel raggiungere la gente colpita dal disastro. Terzo aspetto, è che in quel periodo si stava svolgendo uno dei pellegrinaggi più seguiti, alle sorgenti del Gange, cui partecipavano centinaia di migliaia di persone. Ecco, questo è lo scenario, all’interno del quale si sono trovati a dover operare i soccorritori, con tutti i problemi aggravati dal fatto che, ancora adesso, il maltempo perseguita quelle zone.
D. – Annualmente, l’India è colpita dai monsoni. Perché le istituzioni sinora non hanno preso dei provvedimenti, se non altro per limitare gli effetti catastrofici di questi eventi naturali?
R. – Questa è la polemica in corso: le responsabilità vengono rimbalzate tra le autorità dello Stato di Uttarakhand, che è quello dove è avvenuta la tragedia, e quelle invece centrali. Bisogna dire che siamo in un Paese in via di sviluppo, in cui le manifestazioni religiose non vengono accompagnate da un’organizzazione e da un controllo particolarmente accurati: è una cosa un po’ approssimativa, dove tutti fanno quello che vogliono. In più, va segnalato che, nel momento in cui si è creato il picco di questa tragedia, verso il 16-17 giugno, la gente ha cominciato a fuggire in mille direzioni diverse, creando quindi un problema supplementare a chi era addetto ai soccorsi. Oltretutto, molti si sono rifugiati all’interno dei templi o all’interno delle foreste, impedendo quindi dall’alto la loro localizzazione. Sicuramente, dunque, c’è un difetto di organizzazione, che verrà poi analizzato quando finirà la fase acuta di questa tragedia. Bisogna dire, però, che molto è dovuto anche al pressapochismo della gente, che partecipa a queste iniziative di massa.
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