Dietro gli scontri per salvare le verdi chiome l'eterna lotta tra laici e islamici, ma stavolta è una lotta per libertà civili.
Greenreport - Ha ragione Erri De Luca: «La battaglia d’Istanbul in difesa di seicento alberi, novecento arresti, mille feriti, quattro accecati per sempre, la battaglia d’Istanbul è per gli innamorati a passeggio sui viali, per i pensionati, per i cani, per le radici, la linfa, i nidi sui rami, per l’ombra d’estate e le tovaglie stese coi cestini e i bambini, la battaglia d’Istanbul è per allargare il respiro e per la custodia del sorriso».
Ha ragione perché quella battaglia iniziata per difendere gli alberi del Parco Gezi di Piazza Taksim si è trasformata nella scintilla che ha dato fuoco alla Turchia “pacificata” dalla “democrazia cristiana islamica” del decennale governo conservatore del primo ministro Recep Tayyip Erdogan, in difesa della possibilità degli innamorati di baciarsi per strada e del diritto delle universitarie a non ricoprirsi con il velo islamico, in difesa di quella normalità laica che abbiamo scoperto in questo Paese che si è rivelato così sorprendentemente moderno, con le sue fiere e belle donne e ragazze con le gonne corte della primavera ed i jeans attillati che sfidano i cannoni ad acqua della polizia, con gli studenti che leggono i libri seduti per terra in mezzo alla tempesta, appoggiati con la schiena agli scudi dei poliziotti, con i manifestanti che hanno acceso la miccia al parco Gezi che tornano in piazza Taksim per ripulirla dai rifiuti e dagli sfregi delle manifestazione e dai bossoli di candelotti lacrimogeni sparati a centinaia dalla polizia.
Come scrive Zaman, «Nel cuore di uno dei più grandi movimenti di protesta della Turchia degli ultimi dieci anni, hanno organizzato una prima mattina per ripulire, coordinando un piccolo miracolo comunale con squadre cittadine che hanno contribuito a riordinare il parco ed i quartieri circostanti mandati all’aria da giorni di scontri».
Ma nella protesta c’è di tutto, dalla rabbia dei giovani appena toccati dal miracolo economico turco guidati dai capi ultras dei tifosi di calcio, ai movimenti della sinistra che rialzano la testa dopo anni di populismo conservatore islamico all’eterna questione curda, ma c’è soprattutto una Turchia laica che sembra finalmente emancipata dalla tutela dell’esercito nazionalista e laicista, che era l’avversario degli islamici di Erdogan e che ora ne è diventato uno dei pilastri nel nome della repressione delle istanze progressiste. La brutale e sproporzionata repressione poliziesca, prima ad Istanbul e poi in tutto il Paese, segnala la sorpresa di un potere incredulo e che risponde con i lacrimogeni, i manganelli, gli autoblindo che investono i manifestanti come ai bei tempi delle dittature militari laiche. Purtroppo il bilancio di Erri De Luca va aggiornato: oggi il giornale turco Zaman parla di almeno due persone uccise (altre fonti dicono che i morti sarebbero 5) ed oltre 1.700 arresti.
La speculazione edilizia che si vuole fare nel parco Gezi, l’ennesimo centro commerciale al posto di una delle poche aree verdi non ancora divorate dal sacco di Istanbul, è stato il detonatore che ha fatto esplodere la rabbia repressa in 50 province turche, tracimando nelle tranquille isole dell’Egeo ed arrivando fino alla fedelissima Repubblica fantoccio turca di Cipro Nord, occupata dai soldati di Ankara. Le autorità di Istanbul hanno deciso di ritirare la polizia da vie centrali di Sabato in una mossa intelligente Come scrive Zaman, «L’ultima espressione della rabbia pubblica è di un carattere senza precedenti. A differenza dei precedenti manifestazioni e dimostrazioni anti-governative, la gente protesta, ovunque si trovi, compreso con e pentole che percuotono nelle loro case, indipendentemente dal tempo».
La manifestazione pacifica contro l’abbattimento degli alberi del parco Gezi si è subito trasformata in qualcosa di più grande e di molto più pericoloso per il potere islamico, si è trasformata in rabbia di persone di tutti i ceti sociali e diretta contro le autorità che chiudono gli occhi davanti alla speculazione e appoggiano devastanti politiche urbanistiche. Dietro il moralismo islamico e misogino del premier conservatore amico di Silvio Berlusconi c’è un’amorale corruzione del suo partito che si è fatto Stato e che vuole controllare la lunghezza delle gonne delle donne e quel che dicono un libro o un film, un moralismo pruriginoso che però tutto lascia fare all’imprenditoria ingorda che si è ingrassata con un boom economico che ha acuito le differenze tra poveri e ricchi. A pensarci bene, si tratta di una contaminazione che è esattamente l’opposto di quella che vorrebbero farci credere i leghisti nostrani ed i tanti xenofobi che invocano la difesa dell’Europa cristiana dal turco islamico, nelle mille sfaccettature delle proteste turche si legge la contaminazione occidentale portata dall’immigrazione turca, l’adesione a valori nuovi, come la difesa dell’ambiente, che faticano ad affermarsi nei paesi musulmani, l’esposizione del corpo delle donne come arma inerme contro la violenza del potere, le bande di ragazzi arrabbiati che sembrano quelli delle periferie romane, parigine o di Stoccolma.
La Turchia in questi giorni è sembrata più europea e l’Europa più turca, lo dicono anche le manifestazioni degli emigrati turchi di solidarietà con i manifestanti che si stanno r tenendo un po’’ in tutto il mondo, Italia compresa. Lo sa bene chi comanda ad Ankara se ha usato mezzi brutali per disperdere la folla che protestava pacificamente, se ha mandato la polizia a sparare lacrimogeni fin dentro la sede di Greenpeace Turkey, e poi ha tentato di dimostrare che tutti i manifestanti erano teppisti, ma il tentativo di rompere il fronte delle proteste saldatosi spontaneamente è fallito le proteste in gran parte fallito. Quello che era iniziato come una piccola manifestazione pacifica si è trasformata in una delle più grandi manifestazioni anti-governative durante il governo di Erdogan che forse ora si sta pentendo amaramente di aver risposto arrogantemente al modesto sit-in di protesta nel Gezi Parkı di Taksim: «Faremo ciò che abbiamo deciso».
Ora i conservatori islamici stanno postando sui social network foto di contestatori con bottiglie di birra in mano e scrivono: «Non lasceremo İstanbul a queste persone ubriache» e molti altri sostenitori del governo, che pure hanno espresso il loro malcontento per le politiche urbanistiche, contro la marea di grandi progetti infrastrutturali che minacciano di cambiare radicalmente il volto di Istanbul e di altre grandi città spianando gli spazi verdi, si dicono disgustati per gli atteggiamenti “libertini” dei giovani manifestanti e dicono che è tutto orchestrato dai partiti (spesso dichiarati illegali) di estrema sinistra e curdi. Ma le strade di Istanbul e delle grandi città turche sono piene di scritte che inneggiano a “ribellione”, “resistenza”, “insurrezione” e “rivoluzione” e crepe cominciano a prodursi anche sul fronte islamico, un gruppo di musulmani anti-capitalisti, uomini barbuti e donne velate, è stato applaudito dai manifestanti quando si è unito alle proteste di piazza Taksim e sui social media la rabbia del popolo conservatore contro il governo è visibile, un noto intellettuale iperconservatore, İhsan Eliacik, ha twittato: «Coloro che oggi non hanno rabbia, non hanno la fede».
Erdogan sembra in confusione e non ne sta azzeccando una: prima aveva minacciato: «Se loro ne portano in piazza 100mila noi ne porteremo un milione » e poi nel suo intervento in televisione ha accusato perfino l’opposizione “socialdemocratica” dello screditato Partito repubblicano del popolo (Chp) di essere il mandante dei “teppisti” ed ha detto che per costruire teatri, moschee e speculazioni edilizie nelle aree a verde pubblico «Non abbiamo bisogno di permesso del Chp. Abbiamo già il permesso di chi ha votato per noi».
Ma Erdogan, nonostante la sua sempre più evidente arroganza, non è un dittatore come quelli detronizzati dalle rivoluzioni arabe, è un leader eletto ed ancora molto popolare e la Turchia è una democrazia elettorale, è la punta avanzata della Nato e la retroguardia armata della guerra civile siriana. Il premier turco è amico dell’omofobo Putin (che in Siria conta molto) e del libertino Berlusconi il cui comportamento pubblico e privato farebbe inorridire anche il più laico ed ubriacone dei manifestanti turchi, è un uomo che fino ad ora aveva incarnato il volto tollerante di un islam moderato. Per questo, come scrive Zaman «Ogni sorta di “primavera turca” è impossibile in Turchia. Il risultato più importante di queste proteste potrebbe essere un campanello d’allarme per Erdogan sul fatto che è sotto costante controllo e che non può fare quello che vuole se non è in sintonia con le esigenze dell’opinione pubblica».
La situazione la riassume molto bene Ege Söner, uno studente dell’università di Mimar Sinan: «Questa protesta è molto più che per il parco, è su come il governo sta usando il suo potere in modo intollerabile. Così è incredibile che Erdogan non si impegni nemmeno per il parco. L’obiettivo principale dei manifestanti è ora quello di mantenersi il più pacifici e concentrati possibile. E’ l’unico modo in cui possiamo vincere». Sono questi giovani che sfidano manganelli e cannoni ad acqua, sono le magnifiche ragazze turche svelate ed immobili davanti alla polizia che avanza, i ragazzi che sotto la pioggia domenica mattina hanno condannato ogni vandalismo, che deve temere più di tutto il potere islamico di Erdogan perché è dai loro cervelli e dai loro cuori che potrà nascere la Turchia del futuro libera dal passato delle feroci dittature militari fasciste/laiche e da un presente che scambia l’islam con un velo sulla testa o il divieto di baciarsi in un parco, dove al posto degli alberi si vuole costruire un centro commerciale.
Greenreport - Ha ragione Erri De Luca: «La battaglia d’Istanbul in difesa di seicento alberi, novecento arresti, mille feriti, quattro accecati per sempre, la battaglia d’Istanbul è per gli innamorati a passeggio sui viali, per i pensionati, per i cani, per le radici, la linfa, i nidi sui rami, per l’ombra d’estate e le tovaglie stese coi cestini e i bambini, la battaglia d’Istanbul è per allargare il respiro e per la custodia del sorriso».
Ha ragione perché quella battaglia iniziata per difendere gli alberi del Parco Gezi di Piazza Taksim si è trasformata nella scintilla che ha dato fuoco alla Turchia “pacificata” dalla “democrazia cristiana islamica” del decennale governo conservatore del primo ministro Recep Tayyip Erdogan, in difesa della possibilità degli innamorati di baciarsi per strada e del diritto delle universitarie a non ricoprirsi con il velo islamico, in difesa di quella normalità laica che abbiamo scoperto in questo Paese che si è rivelato così sorprendentemente moderno, con le sue fiere e belle donne e ragazze con le gonne corte della primavera ed i jeans attillati che sfidano i cannoni ad acqua della polizia, con gli studenti che leggono i libri seduti per terra in mezzo alla tempesta, appoggiati con la schiena agli scudi dei poliziotti, con i manifestanti che hanno acceso la miccia al parco Gezi che tornano in piazza Taksim per ripulirla dai rifiuti e dagli sfregi delle manifestazione e dai bossoli di candelotti lacrimogeni sparati a centinaia dalla polizia.
Come scrive Zaman, «Nel cuore di uno dei più grandi movimenti di protesta della Turchia degli ultimi dieci anni, hanno organizzato una prima mattina per ripulire, coordinando un piccolo miracolo comunale con squadre cittadine che hanno contribuito a riordinare il parco ed i quartieri circostanti mandati all’aria da giorni di scontri».
Ma nella protesta c’è di tutto, dalla rabbia dei giovani appena toccati dal miracolo economico turco guidati dai capi ultras dei tifosi di calcio, ai movimenti della sinistra che rialzano la testa dopo anni di populismo conservatore islamico all’eterna questione curda, ma c’è soprattutto una Turchia laica che sembra finalmente emancipata dalla tutela dell’esercito nazionalista e laicista, che era l’avversario degli islamici di Erdogan e che ora ne è diventato uno dei pilastri nel nome della repressione delle istanze progressiste. La brutale e sproporzionata repressione poliziesca, prima ad Istanbul e poi in tutto il Paese, segnala la sorpresa di un potere incredulo e che risponde con i lacrimogeni, i manganelli, gli autoblindo che investono i manifestanti come ai bei tempi delle dittature militari laiche. Purtroppo il bilancio di Erri De Luca va aggiornato: oggi il giornale turco Zaman parla di almeno due persone uccise (altre fonti dicono che i morti sarebbero 5) ed oltre 1.700 arresti.
La speculazione edilizia che si vuole fare nel parco Gezi, l’ennesimo centro commerciale al posto di una delle poche aree verdi non ancora divorate dal sacco di Istanbul, è stato il detonatore che ha fatto esplodere la rabbia repressa in 50 province turche, tracimando nelle tranquille isole dell’Egeo ed arrivando fino alla fedelissima Repubblica fantoccio turca di Cipro Nord, occupata dai soldati di Ankara. Le autorità di Istanbul hanno deciso di ritirare la polizia da vie centrali di Sabato in una mossa intelligente Come scrive Zaman, «L’ultima espressione della rabbia pubblica è di un carattere senza precedenti. A differenza dei precedenti manifestazioni e dimostrazioni anti-governative, la gente protesta, ovunque si trovi, compreso con e pentole che percuotono nelle loro case, indipendentemente dal tempo».
La manifestazione pacifica contro l’abbattimento degli alberi del parco Gezi si è subito trasformata in qualcosa di più grande e di molto più pericoloso per il potere islamico, si è trasformata in rabbia di persone di tutti i ceti sociali e diretta contro le autorità che chiudono gli occhi davanti alla speculazione e appoggiano devastanti politiche urbanistiche. Dietro il moralismo islamico e misogino del premier conservatore amico di Silvio Berlusconi c’è un’amorale corruzione del suo partito che si è fatto Stato e che vuole controllare la lunghezza delle gonne delle donne e quel che dicono un libro o un film, un moralismo pruriginoso che però tutto lascia fare all’imprenditoria ingorda che si è ingrassata con un boom economico che ha acuito le differenze tra poveri e ricchi. A pensarci bene, si tratta di una contaminazione che è esattamente l’opposto di quella che vorrebbero farci credere i leghisti nostrani ed i tanti xenofobi che invocano la difesa dell’Europa cristiana dal turco islamico, nelle mille sfaccettature delle proteste turche si legge la contaminazione occidentale portata dall’immigrazione turca, l’adesione a valori nuovi, come la difesa dell’ambiente, che faticano ad affermarsi nei paesi musulmani, l’esposizione del corpo delle donne come arma inerme contro la violenza del potere, le bande di ragazzi arrabbiati che sembrano quelli delle periferie romane, parigine o di Stoccolma.
La Turchia in questi giorni è sembrata più europea e l’Europa più turca, lo dicono anche le manifestazioni degli emigrati turchi di solidarietà con i manifestanti che si stanno r tenendo un po’’ in tutto il mondo, Italia compresa. Lo sa bene chi comanda ad Ankara se ha usato mezzi brutali per disperdere la folla che protestava pacificamente, se ha mandato la polizia a sparare lacrimogeni fin dentro la sede di Greenpeace Turkey, e poi ha tentato di dimostrare che tutti i manifestanti erano teppisti, ma il tentativo di rompere il fronte delle proteste saldatosi spontaneamente è fallito le proteste in gran parte fallito. Quello che era iniziato come una piccola manifestazione pacifica si è trasformata in una delle più grandi manifestazioni anti-governative durante il governo di Erdogan che forse ora si sta pentendo amaramente di aver risposto arrogantemente al modesto sit-in di protesta nel Gezi Parkı di Taksim: «Faremo ciò che abbiamo deciso».
Ora i conservatori islamici stanno postando sui social network foto di contestatori con bottiglie di birra in mano e scrivono: «Non lasceremo İstanbul a queste persone ubriache» e molti altri sostenitori del governo, che pure hanno espresso il loro malcontento per le politiche urbanistiche, contro la marea di grandi progetti infrastrutturali che minacciano di cambiare radicalmente il volto di Istanbul e di altre grandi città spianando gli spazi verdi, si dicono disgustati per gli atteggiamenti “libertini” dei giovani manifestanti e dicono che è tutto orchestrato dai partiti (spesso dichiarati illegali) di estrema sinistra e curdi. Ma le strade di Istanbul e delle grandi città turche sono piene di scritte che inneggiano a “ribellione”, “resistenza”, “insurrezione” e “rivoluzione” e crepe cominciano a prodursi anche sul fronte islamico, un gruppo di musulmani anti-capitalisti, uomini barbuti e donne velate, è stato applaudito dai manifestanti quando si è unito alle proteste di piazza Taksim e sui social media la rabbia del popolo conservatore contro il governo è visibile, un noto intellettuale iperconservatore, İhsan Eliacik, ha twittato: «Coloro che oggi non hanno rabbia, non hanno la fede».
Erdogan sembra in confusione e non ne sta azzeccando una: prima aveva minacciato: «Se loro ne portano in piazza 100mila noi ne porteremo un milione » e poi nel suo intervento in televisione ha accusato perfino l’opposizione “socialdemocratica” dello screditato Partito repubblicano del popolo (Chp) di essere il mandante dei “teppisti” ed ha detto che per costruire teatri, moschee e speculazioni edilizie nelle aree a verde pubblico «Non abbiamo bisogno di permesso del Chp. Abbiamo già il permesso di chi ha votato per noi».
Ma Erdogan, nonostante la sua sempre più evidente arroganza, non è un dittatore come quelli detronizzati dalle rivoluzioni arabe, è un leader eletto ed ancora molto popolare e la Turchia è una democrazia elettorale, è la punta avanzata della Nato e la retroguardia armata della guerra civile siriana. Il premier turco è amico dell’omofobo Putin (che in Siria conta molto) e del libertino Berlusconi il cui comportamento pubblico e privato farebbe inorridire anche il più laico ed ubriacone dei manifestanti turchi, è un uomo che fino ad ora aveva incarnato il volto tollerante di un islam moderato. Per questo, come scrive Zaman «Ogni sorta di “primavera turca” è impossibile in Turchia. Il risultato più importante di queste proteste potrebbe essere un campanello d’allarme per Erdogan sul fatto che è sotto costante controllo e che non può fare quello che vuole se non è in sintonia con le esigenze dell’opinione pubblica».
La situazione la riassume molto bene Ege Söner, uno studente dell’università di Mimar Sinan: «Questa protesta è molto più che per il parco, è su come il governo sta usando il suo potere in modo intollerabile. Così è incredibile che Erdogan non si impegni nemmeno per il parco. L’obiettivo principale dei manifestanti è ora quello di mantenersi il più pacifici e concentrati possibile. E’ l’unico modo in cui possiamo vincere». Sono questi giovani che sfidano manganelli e cannoni ad acqua, sono le magnifiche ragazze turche svelate ed immobili davanti alla polizia che avanza, i ragazzi che sotto la pioggia domenica mattina hanno condannato ogni vandalismo, che deve temere più di tutto il potere islamico di Erdogan perché è dai loro cervelli e dai loro cuori che potrà nascere la Turchia del futuro libera dal passato delle feroci dittature militari fasciste/laiche e da un presente che scambia l’islam con un velo sulla testa o il divieto di baciarsi in un parco, dove al posto degli alberi si vuole costruire un centro commerciale.
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