Sono ripresi questa mattina, dopo un iniziale momento di calma, gli scontri tra manifestanti e polizia a Istanbul, in Turchia. Teatro dei disordini la centralissima piazza Taksim, in cui gli ecologisti manifestano contro la trasformazione di Gezi Park in un centro commerciale.
Radio Vaticana - Una ventina di feriti e circa 60 arresti è il bilancio degli scontri di ieri a Istanbul tra la polizia e coloro che si oppongono all’abbattimento dei 600 alberi di Gezi Park – l’ultimo polmone verde rimasto in città – che il governo di Erdogan vuole sostituire con un tempio dello shopping e una nuova moschea. Non è più solo una protesta ecologista quella che sta incendiando la Turchia e che si è allargata da Istanbul alla capitale Ankara, e poi a Bodrum, a Smirne e Konya, al grido di “piazza Taksim è dappertutto”, ma una reazione alla “strisciante omogenizzazione neo-ottomana dal sapore islamico”, che secondo gli oppositori il governo sta attuando con arroganza, grazie anche ai successi economici ottenuti.
I manifestanti, che si ispirano alle proteste degli indignados europei e americani, nella notte hanno attraversato il ponte sul Bosforo raggiungendo la parte europea della città sventolando bandiere ed esibendo lattine di birra in sfida alle restrizioni notturne sul consumo di alcolici. In mattinata, poi, nuovo lancio di lacrimogeni da parte della polizia nel tentativo di disperderli. L’uso eccessivo della forza è stato denunciato da Amnesty International, mentre sulla questione è intervenuta anche l’Unione Europea attraverso il commissario per l’allargamento, Stefan Fule, che ha ricordato come la Turchia, in quanto Paese candidato all’ingresso, sia tenuto a rispettare il diritto di espressione e manifestazione dei propri cittadini. Inflessibile, però, il premier Erdogan è apparso in tv ribadendo che il suo governo “farà quanto necessario per garantire la sicurezza delle persone e delle loro proprietà”.
Radio Vaticana - Una ventina di feriti e circa 60 arresti è il bilancio degli scontri di ieri a Istanbul tra la polizia e coloro che si oppongono all’abbattimento dei 600 alberi di Gezi Park – l’ultimo polmone verde rimasto in città – che il governo di Erdogan vuole sostituire con un tempio dello shopping e una nuova moschea. Non è più solo una protesta ecologista quella che sta incendiando la Turchia e che si è allargata da Istanbul alla capitale Ankara, e poi a Bodrum, a Smirne e Konya, al grido di “piazza Taksim è dappertutto”, ma una reazione alla “strisciante omogenizzazione neo-ottomana dal sapore islamico”, che secondo gli oppositori il governo sta attuando con arroganza, grazie anche ai successi economici ottenuti.
I manifestanti, che si ispirano alle proteste degli indignados europei e americani, nella notte hanno attraversato il ponte sul Bosforo raggiungendo la parte europea della città sventolando bandiere ed esibendo lattine di birra in sfida alle restrizioni notturne sul consumo di alcolici. In mattinata, poi, nuovo lancio di lacrimogeni da parte della polizia nel tentativo di disperderli. L’uso eccessivo della forza è stato denunciato da Amnesty International, mentre sulla questione è intervenuta anche l’Unione Europea attraverso il commissario per l’allargamento, Stefan Fule, che ha ricordato come la Turchia, in quanto Paese candidato all’ingresso, sia tenuto a rispettare il diritto di espressione e manifestazione dei propri cittadini. Inflessibile, però, il premier Erdogan è apparso in tv ribadendo che il suo governo “farà quanto necessario per garantire la sicurezza delle persone e delle loro proprietà”.
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