A giugno l'annuncio che il programma Desertec verrà abbandonato o ampiamente ridiscusso. I mega progetti di fonti rinnovabili, imperniati sulla ricerca del 'consenso energetico', sono spesso funzionali allo status quo energetico, soprattutto se gestiti con mentalità colonialista e centralizzata. Sviluppare le rinnovabili significa tenere in conto anche aspetti sociali e migliorare l’economia regionale.
Qualenergia - L’annuncio dei primi di giugno che il mega progetto Desertec da 400 (e forse molti di più) miliardi euro è destinato a scomparire o, quanto meno, a essere ripensato in chiave meno colonialista, ha lasciato di stucco molti osservatori che erano fin dall’inizio entusiasti di questo faraonico programma. Ma siamo sicuri che questa sia una brutta notizia per la diffusione delle rinnovabili e la transizione energetica? Anche Paul van Son, amministratore delegato di Desertec Industrial Initiative, ha ammesso che soddisfare il 15-20% dei consumi elettrici europei entro il 2050 con centrali solari ed eoliche nel deserto e con l’ausilio di una super grid che si colleghi al Vecchio Continente era in effetti un’idea troppo centrata sull’export. Quasi un nuovo modello di colonialismo energetico stava dietro uno dei programmi di investimento più importanti della storia dell’economia mondiale. Un progetto di questa portata è il simbolo della ricerca del consenso energetico. Si sono trovati dalla stessa parte i grandi operatori del settore elettrico e, in buona fede, molti ambientalisti così come coloro che ritengono, erroneamente, evitabile il conflitto tra generazione centralizzata e distribuita. Ma un approccio simile è carico di conflitti e minacce che rischiano di ritardare una vera transizione energetica e la natura stessa delle rinnovabili che per le loro caratteristiche sono locali, decentralizzate e vicine ai bisogni del consumatore. Usare la stessa logica dell’economia energetica convenzionale, il mega progetto, può diventare un’arma per i grandi gruppi energetici contro il potenziamento degli impianti a fonti rinnovabili su scala locale e regionale. Desertec sarebbe stato un sistema di una complessità incredibile, problemi geopolitici, accordi tra decine di Paesi coinvolti e altrettanti soggetti tecnici, industriali e utility alla ricerca di un ‘posto al Sole’, nel vero senso della parola. Solo fotovoltaico ed eolico dal 2000 al 2012 in Europa hanno installato 166.000 MW di potenza, oltre 28.000 MW nel solo 2012. Il progetto Desertec è stato lanciato nel 2009. Questo risultato sarebbe stato ottenuto se la gran parte della comunità del settore e la politica si fosse concentrata solo sul ‘grande programma’? Si sarebbe mai cominciato a pensare di rafforzare le reti locali e a lavorare per le smart grid o lo stoccaggio? Ne dubitiamo. Siamo dentro la strategia del procrastinare il vero cambiamento, tipica di chi detiene il potere, in questo caso energetico, che tende ad assumere un controllo tecnocratico della produzione di energia, ignorando peraltro che l’Europa non ha bisogno di questa offerta aggiuntiva. Questo modello di sviluppo non tiene nemmeno nel conto altri valori insiti nello sviluppo e nello spirito delle rinnovabili: gli aspetti sociali e il miglioramento dell’economia regionale. Le rinnovabili sono caratterizzate da un numero enorme di attori e investimenti su scala locale, che rapidamente ed efficacemente rispondono alla domanda dei consumatori finali. La transizione energetica passa attraverso questo processo più diretto, meglio se irrobustito da investimenti in reti efficienti su scala locale e regionale. L’appeal mediatico di Desertec indubbiamente era potente, ma quanto più fattibile ed utile, ad esempio, è il progetto tedesco “Regioni al 100% rinnovabili” presentato nello stesso anno, praticamente trascurato dalla stampa e dall’opinione pubblica? Oltre 100 tra comuni, contee e regioni in collaborazione con l’Università di Kassel, hanno ideato una rete e un percorso a medio e a lungo termine per soddisfare la domanda solo con energie rinnovabili, attivando un vero e proprio trasferimento delle conoscenze e delle buone pratiche tra aree regionali e comuni, il tutto finanziato dalle istituzioni federali. Non basta la sola tecnologia per una rivoluzione energetica e non funziona un cambiamento che viene calato dall’alto. Serve un movimento sociale e culturale che crei una massa critica. Più saranno ridotti gli attori in campo è più il cambiamento sarà improbabile o lento.
Qualenergia - L’annuncio dei primi di giugno che il mega progetto Desertec da 400 (e forse molti di più) miliardi euro è destinato a scomparire o, quanto meno, a essere ripensato in chiave meno colonialista, ha lasciato di stucco molti osservatori che erano fin dall’inizio entusiasti di questo faraonico programma. Ma siamo sicuri che questa sia una brutta notizia per la diffusione delle rinnovabili e la transizione energetica? Anche Paul van Son, amministratore delegato di Desertec Industrial Initiative, ha ammesso che soddisfare il 15-20% dei consumi elettrici europei entro il 2050 con centrali solari ed eoliche nel deserto e con l’ausilio di una super grid che si colleghi al Vecchio Continente era in effetti un’idea troppo centrata sull’export. Quasi un nuovo modello di colonialismo energetico stava dietro uno dei programmi di investimento più importanti della storia dell’economia mondiale. Un progetto di questa portata è il simbolo della ricerca del consenso energetico. Si sono trovati dalla stessa parte i grandi operatori del settore elettrico e, in buona fede, molti ambientalisti così come coloro che ritengono, erroneamente, evitabile il conflitto tra generazione centralizzata e distribuita. Ma un approccio simile è carico di conflitti e minacce che rischiano di ritardare una vera transizione energetica e la natura stessa delle rinnovabili che per le loro caratteristiche sono locali, decentralizzate e vicine ai bisogni del consumatore. Usare la stessa logica dell’economia energetica convenzionale, il mega progetto, può diventare un’arma per i grandi gruppi energetici contro il potenziamento degli impianti a fonti rinnovabili su scala locale e regionale. Desertec sarebbe stato un sistema di una complessità incredibile, problemi geopolitici, accordi tra decine di Paesi coinvolti e altrettanti soggetti tecnici, industriali e utility alla ricerca di un ‘posto al Sole’, nel vero senso della parola. Solo fotovoltaico ed eolico dal 2000 al 2012 in Europa hanno installato 166.000 MW di potenza, oltre 28.000 MW nel solo 2012. Il progetto Desertec è stato lanciato nel 2009. Questo risultato sarebbe stato ottenuto se la gran parte della comunità del settore e la politica si fosse concentrata solo sul ‘grande programma’? Si sarebbe mai cominciato a pensare di rafforzare le reti locali e a lavorare per le smart grid o lo stoccaggio? Ne dubitiamo. Siamo dentro la strategia del procrastinare il vero cambiamento, tipica di chi detiene il potere, in questo caso energetico, che tende ad assumere un controllo tecnocratico della produzione di energia, ignorando peraltro che l’Europa non ha bisogno di questa offerta aggiuntiva. Questo modello di sviluppo non tiene nemmeno nel conto altri valori insiti nello sviluppo e nello spirito delle rinnovabili: gli aspetti sociali e il miglioramento dell’economia regionale. Le rinnovabili sono caratterizzate da un numero enorme di attori e investimenti su scala locale, che rapidamente ed efficacemente rispondono alla domanda dei consumatori finali. La transizione energetica passa attraverso questo processo più diretto, meglio se irrobustito da investimenti in reti efficienti su scala locale e regionale. L’appeal mediatico di Desertec indubbiamente era potente, ma quanto più fattibile ed utile, ad esempio, è il progetto tedesco “Regioni al 100% rinnovabili” presentato nello stesso anno, praticamente trascurato dalla stampa e dall’opinione pubblica? Oltre 100 tra comuni, contee e regioni in collaborazione con l’Università di Kassel, hanno ideato una rete e un percorso a medio e a lungo termine per soddisfare la domanda solo con energie rinnovabili, attivando un vero e proprio trasferimento delle conoscenze e delle buone pratiche tra aree regionali e comuni, il tutto finanziato dalle istituzioni federali. Non basta la sola tecnologia per una rivoluzione energetica e non funziona un cambiamento che viene calato dall’alto. Serve un movimento sociale e culturale che crei una massa critica. Più saranno ridotti gli attori in campo è più il cambiamento sarà improbabile o lento.
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