In Egitto non si allenta la tensione nonostante il nuovo esecutivo guidato da Hazem al-Beblawi
Radio Vaticana - Nuovi scontri tra le forze di sicurezza e i sostenitori del deposto presidente egiziano, Mohamed Morsi, si sono registrati davanti alla sede del governo al Cairo. In questo scenario la vista dell’Alto rappresentante della politica Estera dell’Unione europea Catherine Ashton, che si è detta rammaricata di non avere incontrato l’ex Capo di Stato di persona. Intanto non si placano le violenze nel Sinai. Giuseppe Acconcia: ascolta
Un poliziotto è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco nella città di Al Arish. Mentre, in un attacco dinamitardo ad un check-point nei pressi del valico di Rafah al confine con la Striscia di Gaza, nove sono i feriti: tre civili e sei agenti di polizia. Sul fronte diplomatico sono proseguite ieri le pressioni internazionali per il rilascio del deposto presidente Mohammed Morsi. Prima di tutto, da parte dell’Alto rappresentante della politica Estera dell’Unione europea. Catherine Ashton in visita al Cairo ha incontrato l’ex premier Hesham Qandil e l’esponente della Fratellanza Amr Darrag. Ashton si è detta rammaricata di non avere incontrato Morsi di persona. Dal canto loro, i Fratelli musulmani hanno espresso delusione: l'Unione Europea dovrebbe condannare il "golpe", si legge in un comunicato della Fratellanza. Mentre, il Segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry, in visita ad Amman in Giordania, ha dichiarato che è "troppo presto" per giudicare l'Egitto del dopo-Morsi. Infine, il nuovo governo è entrato in piene funzioni. Il ministro della Cultura, Mohamed Saber Arab, ha reintegrato Inas Dayem, licenziata dall’ex ministro vicino alla Fratellanza, alla guida dell'Opera del Cairo. La sua destituzione aveva scatenato le proteste di centinaia di intellettuali egiziani. Mentre i sostenitori di Morsi hanno marciato ieri verso la sede del governo in via Qasr Al-Aini, dove si sono registrati scontri con le forze di sicurezza.
Sulle prospettive e le sfide che attendono il nuovo esecutivo Marco Guerra ha intervistato Silvia Colombo, ricercatrice dell'Istituto Affari Internazionali: ascolta
R. - Il fatto che sia stato creato questo governo a distanza di poco tempo dalla caduta di Morsi, è un buon segnale che indica che il Paese comunque deve andare avanti e che appunto c’è la voglia di farlo proseguire lungo il processo di transizione. Chiaramente, le incognite sono molteplici; in primo luogo, il fatto che il Paese è più polarizzato che mai. Continuano gli scontri, continuano i morti nelle strade e il dialogo tra le due parti in campo sembra non essere ancora decollato. Quindi tutto ciò avrà fortissime ripercussioni, soprattutto nel breve periodo, su quella che è la Road Map che dovrà essere implementata dal nuovo governo e sulle prospettive di stabilizzazione, di successo di questo governo. Sarà importante vedere anche quale impostazione verrà data a quella che è la domanda principale che continua a provenire dalla piazza, dagli attivisti, cioè la richiesta di maggiore inclusività, maggiore giustizia e chiaramente anche un miglioramento delle condizioni economiche.
D. - Che posizione avrà il nuovo esecutivo nei delicati equilibri del Medio Oriente? Si inserisce in una linea di continuità o avrà elementi di rottura?
R. - Il nuovo governo è composto principalmente da tecnici ed è molto incentrato su quelle che sono le condizioni e la situazione domestica del Paese. Si inserirà in una linea di continuità rispetto al governo precedente, anche perché la situazione nel Medio Oriente è, sì, molto convulsa, molto complicata, - soprattutto per quanto riguarda la questione siriana - ma l’Egitto aspira a rimanere un pilastro di stabilità nella regione. Gli attori esterni stanno cercando di puntellare il ruolo dell’Egitto in questa direzione: si pensi, per esempio, al ruolo dell’Arabia Saudita e degli altri Paesi del Golfo, ma si pensi anche al ruolo degli Stati Uniti, che comunque hanno confermato il loro sostegno ai militari e che quindi, di fatto, guardano verso la direzione di una continuità.
D. - L’esclusione dei Fratelli musulmani e dei salafiti non rischia di essere un messaggio molto pericoloso per l’anima più islamista del Paese?
R. - Ci si aspettava una maggiore apertura, una mano tesa nei confronti di quella parte della popolazione e della classe politica che si è sentita esclusa ed estromessa dal futuro politico dell’Egitto. Bisogna vedere, appunto, quali ripercussioni potrà avere questo fatto proprio a livello di crescente distanza tra le parti. Bisogna, inoltre, però ricordare che parallelamente alla formazione del nuovo governo, c’è anche questa iniziativa di riconciliazione nazionale, i cui termini che non sono ancora stati chiariti e la cui partecipazione non è ancora stata specificata, ma che potrebbe, in parallelo, cercando di ricostruire un clima di fiducia tra le parti della società e della politica egiziana, per poi favorire una reintromissione delle parti - in particolare la componente islamista - all’interno delle istituzioni di governo.
D. - I militari continueranno ad avere un ruolo preponderante nelle scelte della politica egiziana?
R. - Ci si può aspettare che continuino ad agire nell’ombra. Certamente rimarranno un po’ i portavoce e anche i baluardi di una stabilizzazione del Paese; quindi non è inopportuno aspettarsi ulteriori interventi - naturalmente non di tipo strettamente militare ma anche di interferenze sul governo civile - fino a quando si potrà arrivare ad un nuovo parlamento eletto e ad un nuovo presidente eletto; tutto questo in base alla Road Map che è stata presentata una decina di giorni fa.
Radio Vaticana - Nuovi scontri tra le forze di sicurezza e i sostenitori del deposto presidente egiziano, Mohamed Morsi, si sono registrati davanti alla sede del governo al Cairo. In questo scenario la vista dell’Alto rappresentante della politica Estera dell’Unione europea Catherine Ashton, che si è detta rammaricata di non avere incontrato l’ex Capo di Stato di persona. Intanto non si placano le violenze nel Sinai. Giuseppe Acconcia: ascolta
Un poliziotto è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco nella città di Al Arish. Mentre, in un attacco dinamitardo ad un check-point nei pressi del valico di Rafah al confine con la Striscia di Gaza, nove sono i feriti: tre civili e sei agenti di polizia. Sul fronte diplomatico sono proseguite ieri le pressioni internazionali per il rilascio del deposto presidente Mohammed Morsi. Prima di tutto, da parte dell’Alto rappresentante della politica Estera dell’Unione europea. Catherine Ashton in visita al Cairo ha incontrato l’ex premier Hesham Qandil e l’esponente della Fratellanza Amr Darrag. Ashton si è detta rammaricata di non avere incontrato Morsi di persona. Dal canto loro, i Fratelli musulmani hanno espresso delusione: l'Unione Europea dovrebbe condannare il "golpe", si legge in un comunicato della Fratellanza. Mentre, il Segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry, in visita ad Amman in Giordania, ha dichiarato che è "troppo presto" per giudicare l'Egitto del dopo-Morsi. Infine, il nuovo governo è entrato in piene funzioni. Il ministro della Cultura, Mohamed Saber Arab, ha reintegrato Inas Dayem, licenziata dall’ex ministro vicino alla Fratellanza, alla guida dell'Opera del Cairo. La sua destituzione aveva scatenato le proteste di centinaia di intellettuali egiziani. Mentre i sostenitori di Morsi hanno marciato ieri verso la sede del governo in via Qasr Al-Aini, dove si sono registrati scontri con le forze di sicurezza.
Sulle prospettive e le sfide che attendono il nuovo esecutivo Marco Guerra ha intervistato Silvia Colombo, ricercatrice dell'Istituto Affari Internazionali: ascolta
R. - Il fatto che sia stato creato questo governo a distanza di poco tempo dalla caduta di Morsi, è un buon segnale che indica che il Paese comunque deve andare avanti e che appunto c’è la voglia di farlo proseguire lungo il processo di transizione. Chiaramente, le incognite sono molteplici; in primo luogo, il fatto che il Paese è più polarizzato che mai. Continuano gli scontri, continuano i morti nelle strade e il dialogo tra le due parti in campo sembra non essere ancora decollato. Quindi tutto ciò avrà fortissime ripercussioni, soprattutto nel breve periodo, su quella che è la Road Map che dovrà essere implementata dal nuovo governo e sulle prospettive di stabilizzazione, di successo di questo governo. Sarà importante vedere anche quale impostazione verrà data a quella che è la domanda principale che continua a provenire dalla piazza, dagli attivisti, cioè la richiesta di maggiore inclusività, maggiore giustizia e chiaramente anche un miglioramento delle condizioni economiche.
D. - Che posizione avrà il nuovo esecutivo nei delicati equilibri del Medio Oriente? Si inserisce in una linea di continuità o avrà elementi di rottura?
R. - Il nuovo governo è composto principalmente da tecnici ed è molto incentrato su quelle che sono le condizioni e la situazione domestica del Paese. Si inserirà in una linea di continuità rispetto al governo precedente, anche perché la situazione nel Medio Oriente è, sì, molto convulsa, molto complicata, - soprattutto per quanto riguarda la questione siriana - ma l’Egitto aspira a rimanere un pilastro di stabilità nella regione. Gli attori esterni stanno cercando di puntellare il ruolo dell’Egitto in questa direzione: si pensi, per esempio, al ruolo dell’Arabia Saudita e degli altri Paesi del Golfo, ma si pensi anche al ruolo degli Stati Uniti, che comunque hanno confermato il loro sostegno ai militari e che quindi, di fatto, guardano verso la direzione di una continuità.
D. - L’esclusione dei Fratelli musulmani e dei salafiti non rischia di essere un messaggio molto pericoloso per l’anima più islamista del Paese?
R. - Ci si aspettava una maggiore apertura, una mano tesa nei confronti di quella parte della popolazione e della classe politica che si è sentita esclusa ed estromessa dal futuro politico dell’Egitto. Bisogna vedere, appunto, quali ripercussioni potrà avere questo fatto proprio a livello di crescente distanza tra le parti. Bisogna, inoltre, però ricordare che parallelamente alla formazione del nuovo governo, c’è anche questa iniziativa di riconciliazione nazionale, i cui termini che non sono ancora stati chiariti e la cui partecipazione non è ancora stata specificata, ma che potrebbe, in parallelo, cercando di ricostruire un clima di fiducia tra le parti della società e della politica egiziana, per poi favorire una reintromissione delle parti - in particolare la componente islamista - all’interno delle istituzioni di governo.
D. - I militari continueranno ad avere un ruolo preponderante nelle scelte della politica egiziana?
R. - Ci si può aspettare che continuino ad agire nell’ombra. Certamente rimarranno un po’ i portavoce e anche i baluardi di una stabilizzazione del Paese; quindi non è inopportuno aspettarsi ulteriori interventi - naturalmente non di tipo strettamente militare ma anche di interferenze sul governo civile - fino a quando si potrà arrivare ad un nuovo parlamento eletto e ad un nuovo presidente eletto; tutto questo in base alla Road Map che è stata presentata una decina di giorni fa.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.