Jeffrey Sachs: “Molte delle crisi politiche nel mondo sono crisi di fame e non potranno che peggiorare”
Per la prima volta in Vaticano, l’economista Usa, consigliere per la
povertà del segretario generale Onu, Ban Ki Moon, ospite del convegno
organizzato da AISES e Greenaccord onlus.Dito puntato contro paradisi fiscali, agricoltura intensiva, aziende
inquinanti, mancanza di governance globale. La proposta: riscoprire le
Dottrine sociali della Chiesa per costruire un’etica universale. Dopo
Sachs, è intervenuto al convegno Andrea Masullo, economista ecologico e
presidente del Comitato scientifico di Greenaccord Onlus.
Roma – È un pugno nello stomaco, difficile da incassare eppure estremamente utile, quello che l’economista Jeffrey Sachs ha sferrato nel suo intervento odierno alla Pontificia Accademia delle Scienze. Sia per il contesto (era la prima volta che Sachs varcava le porte del Vaticano, ospite del seminario di Alto Livello “Povertà, beni pubblici e sviluppo sostenibile – Le sfide globali del nuovo millennio” ospitato alla Pontificia Accademia delle Scienze e organizzato dall’Aises (Accademia internazionale per lo Sviluppo economico e sociale) con il patrocinio dell’associazione Greenaccord Onlus. Sia per il calibro del relatore: consigliere per la povertà del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, direttore dell’Earth Institute della Columbia University e una delle 100 persone più influenti secondo il prestigioso settimanale Time.
L’analisi offerta durante la sua (applauditissima) relazione è per certi versi impietosa verso l’attuale sistema economico e di sviluppo. Partendo dalle proteste di piazza che da ormai parecchi mesi stanno accomunando molte città e Stati nel mondo (dall’Egitto al Brasile, dalla Turchia alla Tunisia, dalla Spagna a New York), Sachs ha osservato come esse siano strettamente collegate con il tradimento delle aspettative delle future generazioni, con l’aumento delle disuguaglianze sociali, con un ecosistema sempre più degradato e con una governance mondiale in crisi. “Esse – ha spiegato l’economista – rispecchiano il senso di insicurezza, la crisi giovanile, la disoccupazione generalizzata, l’illegittimità della leadership di molti Paesi”. Proteste di piazza che, in altri contesti, assumono la condizione di vere e proprie guerre civili e militari. Sachs ha in tal senso ricordato la guerra in Mali: “La carenza di risorse idriche e la grave siccità sono cause non sufficientemente considerate per spiegare l’insorgenza del conflitto”. Molte guerre in pratica sarebbero provocate da sottovalutati fattori ambientali: “Quelle che noi in Occidente leggiamo come crisi di estremismo e scontri di civiltà sono in realtà crisi di fame. E non potranno che peggiorare se non interveniamo a fondo sui fattori che le provocano”. Durissima la denuncia che Sachs fa nel suo intervento, presentando i danni agli ecosistemi terrestri causati da un uso scriteriato delle risorse naturali: “L’agricoltura intensiva ha distrutto il ciclo dell’azoto. Stiamo compromettendo il ciclo idrico del pianeta. L’industria estrattiva continua a negare i drammatici effetti della CO2 che invece la scienza ha ormai provato senza ombra di dubbio. E quel che è peggio le nostre economie non hanno ancora iniziato a riconoscere i danni provocati”.
Allontanarsi dal baratro è però ancora possibile (“in egual modo a quanto fu possibile fare nel 1963 scongiurare la crisi nucleare ad opera del presidente Usa John Fitzgerald Kennedy, che non sembrava meno infattibile”). L’obiettivo è ambizioso: eliminare la povertà estrema entro il 2030. Per far questo, l’Onu ha deciso di fissare nuovi “obiettivi di sviluppo sostenibile” (Sustainable Development Goals), dei quali si discuterà il 25 Settembre prossimo durante la 68esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York. E Sachs ha anche ricordato la creazione dell’SDSN, una rete globale di conoscenza sullo sviluppo sostenibile, “per avere un brain storming mondiale utile a fissare soluzioni pratiche. Perché nessun governo, da solo, può affrontare con successo questa crisi, una sfida complessa da aggredire anche a livello tecnico”. Un aiuto decidivo, secondo Sachs, può arrivare dalla riscoperta delle Dottrine sociali della Chiesa, che – ha osservato l’economista – “offrono indirizzi per un’etica universale”. Da qui un elogio a molti dei contenuti lanciati dalla Chiesa e dai pontefici della seconda metà del XX secolo, a partire da Paolo VI. Propositi chiari ed importanti: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace. La proprietà privata va inserita nel contesto di una destinazione universale dei beni. Non si può essere enormemente ricchi e non c’è diritto a un reddito estremo”.
Dai propositi della dottrina sociale della Chiesa devono scaturire politiche che cambino il corso attuale delle scelte in economia e finanza: “Per eliminare la povertà estrema entro il 2030, bisogna costruire società socialmente inclusive, investire nell’uguaglianza di genere, garantire l’accesso ai servizi educativi e sanitari, eseguire una transizione verso economie a basse emissioni di CO2, realizzare un’agricoltura sostenibile”. Tanti punti di un programma che sia coerente con un messaggio di “etica globale”.
Un messaggio – quello del consigliere di Ban Ki Moon – condiviso e approfondito da Andrea Masullo, economista e presidente del Comitato scientifico di Greenaccord Onlus, intervenuto dopo Sachs proponendo alla platea una domanda cruciale: “Che cosa è il benessere?”. Interrogativo solo apparentemente superfluo, perché da esso dipende la possibilità di costruire un modello economico e culturale nuovo e sostenibile. “Finora siamo abituati a considerare il benessere in termini esclusivamente materiali, e lo misuriamo infatti in termini di reddito. Il benessere non dipende solo dalla disponibilità di capitale economico ma assai più dalla disponibilità di capitale naturale”.
Convinzione tuttoggi minoritaria, soprattutto tra i decisori politici: “Oggi siamo molto più preoccupati dello stato del capitale economico che dallo stato del capitale naturale e umano. Le decisioni politiche sono dettate dall’andamento delle Borse e dei parametri finanziari. La politica risponde prioritariamente alle esigenze del mondo della finanza che a sua volta domina sui processi economici orientandoli all’accumulo di capitali piuttosto che alla valorizzazione del capitale umano”.
Conseguenza inevitabile di un simile scenario, la condizione di una “umanità smarrita e disumanizzata dagli imperativi del consumo. Desideri non spontanei ma indotti da promesse di felicità riposte nel possesso di sempre nuove cose”. E dalla povertà materiale si passa così alla povertà umana: “La povertà non è solo scarsità di capitale economico e naturale ma anche di capitale umano”.
Quale la soluzione a tutto questo? Un nuovo strumento di calcolo del benessere, secondo Masullo. “Se la felicità deve essere il valore a cui deve tendere il capitale umano e quindi l’orientamento del processo economico in cui si muove il capitale finanziario, dobbiamo trovare una misura che metta in collegamento le tre forme di capitale (economico, naturale e umano)”. In pratica, un cambio di indicatore, dal PiL a nuovi indici, come l’Happy Planet Index realizzato anni fa dalla fondamento NEF (New Economics Foundation). “Il primo decennio del XXI secolo – conclude Masullo – ci ha fatto entrare in una più realistica prospettiva di dover fare i conti con un mondo finito e limitato. L’ultimo rapporto dal club di Roma prodotto da Jorgen Randers, sottolinea l’incapacità della politica di dare risposte operative. Agire solo per riparare i danni dopo che si sono verificati. Ma allora perché aspettare questo esito infausto, compromettendo il futuro di alcune generazioni e rendendo irreversibili alcuni dei più allarmanti danni ambientali e non agire da subito alla rifondazione del modello economico?”.
Roma – È un pugno nello stomaco, difficile da incassare eppure estremamente utile, quello che l’economista Jeffrey Sachs ha sferrato nel suo intervento odierno alla Pontificia Accademia delle Scienze. Sia per il contesto (era la prima volta che Sachs varcava le porte del Vaticano, ospite del seminario di Alto Livello “Povertà, beni pubblici e sviluppo sostenibile – Le sfide globali del nuovo millennio” ospitato alla Pontificia Accademia delle Scienze e organizzato dall’Aises (Accademia internazionale per lo Sviluppo economico e sociale) con il patrocinio dell’associazione Greenaccord Onlus. Sia per il calibro del relatore: consigliere per la povertà del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, direttore dell’Earth Institute della Columbia University e una delle 100 persone più influenti secondo il prestigioso settimanale Time.
L’analisi offerta durante la sua (applauditissima) relazione è per certi versi impietosa verso l’attuale sistema economico e di sviluppo. Partendo dalle proteste di piazza che da ormai parecchi mesi stanno accomunando molte città e Stati nel mondo (dall’Egitto al Brasile, dalla Turchia alla Tunisia, dalla Spagna a New York), Sachs ha osservato come esse siano strettamente collegate con il tradimento delle aspettative delle future generazioni, con l’aumento delle disuguaglianze sociali, con un ecosistema sempre più degradato e con una governance mondiale in crisi. “Esse – ha spiegato l’economista – rispecchiano il senso di insicurezza, la crisi giovanile, la disoccupazione generalizzata, l’illegittimità della leadership di molti Paesi”. Proteste di piazza che, in altri contesti, assumono la condizione di vere e proprie guerre civili e militari. Sachs ha in tal senso ricordato la guerra in Mali: “La carenza di risorse idriche e la grave siccità sono cause non sufficientemente considerate per spiegare l’insorgenza del conflitto”. Molte guerre in pratica sarebbero provocate da sottovalutati fattori ambientali: “Quelle che noi in Occidente leggiamo come crisi di estremismo e scontri di civiltà sono in realtà crisi di fame. E non potranno che peggiorare se non interveniamo a fondo sui fattori che le provocano”. Durissima la denuncia che Sachs fa nel suo intervento, presentando i danni agli ecosistemi terrestri causati da un uso scriteriato delle risorse naturali: “L’agricoltura intensiva ha distrutto il ciclo dell’azoto. Stiamo compromettendo il ciclo idrico del pianeta. L’industria estrattiva continua a negare i drammatici effetti della CO2 che invece la scienza ha ormai provato senza ombra di dubbio. E quel che è peggio le nostre economie non hanno ancora iniziato a riconoscere i danni provocati”.
Allontanarsi dal baratro è però ancora possibile (“in egual modo a quanto fu possibile fare nel 1963 scongiurare la crisi nucleare ad opera del presidente Usa John Fitzgerald Kennedy, che non sembrava meno infattibile”). L’obiettivo è ambizioso: eliminare la povertà estrema entro il 2030. Per far questo, l’Onu ha deciso di fissare nuovi “obiettivi di sviluppo sostenibile” (Sustainable Development Goals), dei quali si discuterà il 25 Settembre prossimo durante la 68esima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York. E Sachs ha anche ricordato la creazione dell’SDSN, una rete globale di conoscenza sullo sviluppo sostenibile, “per avere un brain storming mondiale utile a fissare soluzioni pratiche. Perché nessun governo, da solo, può affrontare con successo questa crisi, una sfida complessa da aggredire anche a livello tecnico”. Un aiuto decidivo, secondo Sachs, può arrivare dalla riscoperta delle Dottrine sociali della Chiesa, che – ha osservato l’economista – “offrono indirizzi per un’etica universale”. Da qui un elogio a molti dei contenuti lanciati dalla Chiesa e dai pontefici della seconda metà del XX secolo, a partire da Paolo VI. Propositi chiari ed importanti: “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace. La proprietà privata va inserita nel contesto di una destinazione universale dei beni. Non si può essere enormemente ricchi e non c’è diritto a un reddito estremo”.
Dai propositi della dottrina sociale della Chiesa devono scaturire politiche che cambino il corso attuale delle scelte in economia e finanza: “Per eliminare la povertà estrema entro il 2030, bisogna costruire società socialmente inclusive, investire nell’uguaglianza di genere, garantire l’accesso ai servizi educativi e sanitari, eseguire una transizione verso economie a basse emissioni di CO2, realizzare un’agricoltura sostenibile”. Tanti punti di un programma che sia coerente con un messaggio di “etica globale”.
Un messaggio – quello del consigliere di Ban Ki Moon – condiviso e approfondito da Andrea Masullo, economista e presidente del Comitato scientifico di Greenaccord Onlus, intervenuto dopo Sachs proponendo alla platea una domanda cruciale: “Che cosa è il benessere?”. Interrogativo solo apparentemente superfluo, perché da esso dipende la possibilità di costruire un modello economico e culturale nuovo e sostenibile. “Finora siamo abituati a considerare il benessere in termini esclusivamente materiali, e lo misuriamo infatti in termini di reddito. Il benessere non dipende solo dalla disponibilità di capitale economico ma assai più dalla disponibilità di capitale naturale”.
Convinzione tuttoggi minoritaria, soprattutto tra i decisori politici: “Oggi siamo molto più preoccupati dello stato del capitale economico che dallo stato del capitale naturale e umano. Le decisioni politiche sono dettate dall’andamento delle Borse e dei parametri finanziari. La politica risponde prioritariamente alle esigenze del mondo della finanza che a sua volta domina sui processi economici orientandoli all’accumulo di capitali piuttosto che alla valorizzazione del capitale umano”.
Conseguenza inevitabile di un simile scenario, la condizione di una “umanità smarrita e disumanizzata dagli imperativi del consumo. Desideri non spontanei ma indotti da promesse di felicità riposte nel possesso di sempre nuove cose”. E dalla povertà materiale si passa così alla povertà umana: “La povertà non è solo scarsità di capitale economico e naturale ma anche di capitale umano”.
Quale la soluzione a tutto questo? Un nuovo strumento di calcolo del benessere, secondo Masullo. “Se la felicità deve essere il valore a cui deve tendere il capitale umano e quindi l’orientamento del processo economico in cui si muove il capitale finanziario, dobbiamo trovare una misura che metta in collegamento le tre forme di capitale (economico, naturale e umano)”. In pratica, un cambio di indicatore, dal PiL a nuovi indici, come l’Happy Planet Index realizzato anni fa dalla fondamento NEF (New Economics Foundation). “Il primo decennio del XXI secolo – conclude Masullo – ci ha fatto entrare in una più realistica prospettiva di dover fare i conti con un mondo finito e limitato. L’ultimo rapporto dal club di Roma prodotto da Jorgen Randers, sottolinea l’incapacità della politica di dare risposte operative. Agire solo per riparare i danni dopo che si sono verificati. Ma allora perché aspettare questo esito infausto, compromettendo il futuro di alcune generazioni e rendendo irreversibili alcuni dei più allarmanti danni ambientali e non agire da subito alla rifondazione del modello economico?”.
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