Proposta di legge anti-omofobia all’esame del Parlamento: maggiori garanzie per omosessuali o minori diritti per tutti?
Approda in Parlamento la controversa proposta di legge sul contrasto all’omofobia e alla transfobia con le modifiche apportate in Commissione Giustizia lunedì scorso. Una riforma necessaria a tutelare i diritti delle persone omosessuali e transessuali o una “manovra strategica” per contingentare il dibattito sui temi etici e sui cosiddetti “diritti civili”, a discapito dei diritti e delle libertà fondamentali che la nostra Costituzione riconosce a tutti in egual misura?
di Bartolo Salone
Venerdì 26 luglio inizia la discussione alla Camera della proposta di legge per il contrasto all’omofobia e alla transfobia presentata dai deputati Scalfarotto e altri il 15 marzo 2013 e modificata lunedì in Commissione Giustizia al termine di un acceso dibattito. Il nucleo fondamentale della proposta risiede nell’estensione delle fattispecie penali introdotte dall’art. 3 della c. d. legge Reale (ossia della legge n. 654/1975, che ha reso esecutiva in Italia la Convenzione di New York del 1966 sull’eliminazione delle forme di discriminazione razziale) anche alle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Lo scopo perseguito, per intenderci, è quello di introdurre nel sistema un nuovo reato di omofobia, costruito sulla falsariga dei reati di odio razziale, etnico e religioso già previsti dalla legge Reale. Il presupposto ideologico soggiacente è che vi sia sostanziale assimilabilità tra i fenomeni indicati. Per quanto discutibile sia in via di principio la premessa ideologica di partenza, tuttavia, occorre essere consapevoli del fatto che l’introduzione di un reato di omofobia così congegnato condurrà inevitabilmente - come da più parti evidenziato - ad una sensibile restrizione della libertà di espressione dei cittadini su questioni molto dibattute come quella dei matrimoni o delle adozioni gay. E’ per questo che proposte in tal senso sono sostenute con veemenza, per ragioni non solo ideologiche ma anche “strategiche”, dai gruppi di pressione omosessuali, che possono contare ormai su una forte presenza nelle istituzioni, nazionali e internazionali, e nei Parlamenti. Quanto avvenuto in Commissione Giustizia lo scorso lunedì, con il parziale “dietrofront” degli stessi promotori su aspetti di una proposta di legge dai risvolti così visibilmente liberticidi, costituisce invero una prova lampante del “modus operandi” dei gruppi di pressione gay sulle istituzioni democratiche.
Per rendercene conto è opportuno però dare uno “sguardo” prima alla proposta nel suo testo originario (su cui l’opinione pubblica è stata tenuta, forse non a caso, pressoché all’oscuro dagli organi di stampa almeno fino all’“intoppo” verificatosi pochi giorni fa in Commissione) e metterla a confronto con il testo poi passato in Commissione. Il testo originario del ddl contro l’omofobia, a ben vedere, non si limitava ad estendere la legge Reale alle analoghe condotte animate da un movente omofobico (o transfobico), come fa il testo “attuale” che sarà a breve discusso alla Camera, ma interveniva sulla stessa legge Reale – nonché sul successivo decreto Mancino (decreto-legge n. 122/1993) - modificandola in senso ancor più repressivo. Così, se la l’art. 3 della legge Reale, nella versione vigente, punisce con la pena alternativa della reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6000 euro chi “propaganda” idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico ovvero chi “istiga” a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (lett. a), e con la reclusione fino a quattro anni chi “istiga” a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per i medesimi motivi (lett. b), il ddl sull’omofobia (testo originario), nel riconoscere rilevanza anche a condotte motivate “dall’identità sessuale della vittima”, sostituiva la condotta di “propaganda” con quella (più ampia) di “diffusione”, per di più eliminando la possibilità di irrogare la pena pecuniaria in alternativa alla pena detentiva, e la condotta di “istigazione” con quella più generica di “incitamento”. Pertanto, anche il semplice “incitamento” a discriminare per motivi legati all’orientamento sessuale o all’identità di genere (salvo stabilire in ogni caso cosa debba essere ritenuto “discriminatorio” in questo contesto) avrebbe comportato automaticamente la reclusione fino ad un anno e sei mesi. Come se questo non bastasse, alla pena principale della reclusione si sarebbe dovuta aggiungere necessariamente (e non facoltativamente, come previsto dall’attuale legislazione) la pena accessoria dell’obbligo di prestare (al termine dell’espiazione della reclusione e per un periodo compreso tra sei mesi e un anno) un’attività non retribuita in favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità, in favore delle stesse associazioni a tutela delle persone GLBT (un sistema, quello appena descritto, che taluno non ha esitato a definire come ispirato ai metodi di rieducazione dei detenuti politici nella Russia bolscevica). Ciliegina sulla torta, l’estensione della legge Mancino-Reale alle condotte “omofobe” comporta altresì il divieto di ogni “organizzazione, associazione, movimento o gruppo” avente fra i suoi scopi l’incitamento alla discriminazione per motivi fondati sull’orientamento sessuale o l’identità di genere e la connessa punizione (ancora una volta con la reclusione) di chi promuove, dirige, presta assistenza o semplicemente partecipa a tali organizzazioni o gruppi.
Il nuovo testo, passato infine in Commissione e da venerdì in discussione alla Camera, fa marcia indietro sugli aspetti più palesemente liberticidi e repressivi dell’originaria proposta. In caso contrario, il testo si sarebbe infatti arenato in Commissione per l’opposizione dei dissidenti. Il nuovo testo si limita così ad estendere l’art. 3 della legge Reale alle discriminazioni fondate sull’omofobia o la transfobia, senza modificarne il regime sanzionatorio. Così, continuano ad essere punite le condotte di “propaganda” e di “istigazione” alla discriminazione, con le pene attualmente previste per le analoghe condotte di odio razziale, etnico, religioso; viene conservata la pena pecuniaria in alternativa alla detenzione, mentre la pena accessoria dell’obbligo del lavoro di pubblica utilità torna ad essere facoltativa, senza che peraltro fra le associazioni beneficiarie delle prestazioni lavorative del condannato vengano contemplate le organizzazioni gay.
Tuttavia, rimane il divieto di costituire associazioni, movimenti, gruppi incitanti – si badi bene – non solo alla violenza, ma anche in ipotesi alla sola “discriminazione” per motivi fondati sull’omofobia o sulla transfobia. Questa norma desta particolare preoccupazione, essendo ad avviso di chi scrive quella che più delle altre rischia di pregiudicare, insieme alla libertà di associazione, anche la libertà di espressione del cittadino. Cosa significa, infatti, discriminare “per motivi fondati sull’omofobia o sulla transfobia”? Sostenere che le coppie omosessuali non dovrebbero accedere al matrimonio o adottare bambini è incitamento alla discriminazione su base omofoba? Battersi perché alle persone transessuali (propongo qui un caso oramai puramente di scuola) sia precluso di contrarre nozze con un partner dello stesso sesso biologico, anche dopo l’operazione chirurgica di mutamento del sesso, potrà forse essere considerato da un tribunale dello Stato come un incitamento alla discriminazione per motivi transfobici? E le associazioni che conducono tali battaglie dovrebbero per questo solo essere sciolte e i promotori e gli associati mandati in prigione?
Il problema esiste ed è drammaticamente attuale, dal momento che i reati di omofobia nella proposta di legge qui esaminata, pur dopo le modifiche apportate in Commissione, si atteggiano non solo come reati di azione (volti a punire cioè le violenze o l’istigazione alla violenza contro persone o gruppi ben determinati), ma possono atteggiarsi anche, a seconda dei casi, come reati di opinione o, addirittura, come reati associativi. Sono in gioco quindi almeno due fondamentali libertà costituzionali, la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di associazione. Generiche e ambigue rimangono inoltre le nozioni di omofobia e transfobia, al cui cospetto si pretende di sacrificare basilari diritti costituzionali, con il conseguente rischio di applicazioni giurisprudenziali incerte ed equivoche. L’omofobia e la transfobia, ammesso e non concesso che le norme del codice penale attualmente in vigore siano inadeguate a fronteggiare il fenomeno, forse dovrebbero essere affrontate e risolte con strumenti diversi, più rispettose dei diritti di tutti.
di Bartolo Salone
Venerdì 26 luglio inizia la discussione alla Camera della proposta di legge per il contrasto all’omofobia e alla transfobia presentata dai deputati Scalfarotto e altri il 15 marzo 2013 e modificata lunedì in Commissione Giustizia al termine di un acceso dibattito. Il nucleo fondamentale della proposta risiede nell’estensione delle fattispecie penali introdotte dall’art. 3 della c. d. legge Reale (ossia della legge n. 654/1975, che ha reso esecutiva in Italia la Convenzione di New York del 1966 sull’eliminazione delle forme di discriminazione razziale) anche alle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere. Lo scopo perseguito, per intenderci, è quello di introdurre nel sistema un nuovo reato di omofobia, costruito sulla falsariga dei reati di odio razziale, etnico e religioso già previsti dalla legge Reale. Il presupposto ideologico soggiacente è che vi sia sostanziale assimilabilità tra i fenomeni indicati. Per quanto discutibile sia in via di principio la premessa ideologica di partenza, tuttavia, occorre essere consapevoli del fatto che l’introduzione di un reato di omofobia così congegnato condurrà inevitabilmente - come da più parti evidenziato - ad una sensibile restrizione della libertà di espressione dei cittadini su questioni molto dibattute come quella dei matrimoni o delle adozioni gay. E’ per questo che proposte in tal senso sono sostenute con veemenza, per ragioni non solo ideologiche ma anche “strategiche”, dai gruppi di pressione omosessuali, che possono contare ormai su una forte presenza nelle istituzioni, nazionali e internazionali, e nei Parlamenti. Quanto avvenuto in Commissione Giustizia lo scorso lunedì, con il parziale “dietrofront” degli stessi promotori su aspetti di una proposta di legge dai risvolti così visibilmente liberticidi, costituisce invero una prova lampante del “modus operandi” dei gruppi di pressione gay sulle istituzioni democratiche.
Per rendercene conto è opportuno però dare uno “sguardo” prima alla proposta nel suo testo originario (su cui l’opinione pubblica è stata tenuta, forse non a caso, pressoché all’oscuro dagli organi di stampa almeno fino all’“intoppo” verificatosi pochi giorni fa in Commissione) e metterla a confronto con il testo poi passato in Commissione. Il testo originario del ddl contro l’omofobia, a ben vedere, non si limitava ad estendere la legge Reale alle analoghe condotte animate da un movente omofobico (o transfobico), come fa il testo “attuale” che sarà a breve discusso alla Camera, ma interveniva sulla stessa legge Reale – nonché sul successivo decreto Mancino (decreto-legge n. 122/1993) - modificandola in senso ancor più repressivo. Così, se la l’art. 3 della legge Reale, nella versione vigente, punisce con la pena alternativa della reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6000 euro chi “propaganda” idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico ovvero chi “istiga” a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (lett. a), e con la reclusione fino a quattro anni chi “istiga” a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per i medesimi motivi (lett. b), il ddl sull’omofobia (testo originario), nel riconoscere rilevanza anche a condotte motivate “dall’identità sessuale della vittima”, sostituiva la condotta di “propaganda” con quella (più ampia) di “diffusione”, per di più eliminando la possibilità di irrogare la pena pecuniaria in alternativa alla pena detentiva, e la condotta di “istigazione” con quella più generica di “incitamento”. Pertanto, anche il semplice “incitamento” a discriminare per motivi legati all’orientamento sessuale o all’identità di genere (salvo stabilire in ogni caso cosa debba essere ritenuto “discriminatorio” in questo contesto) avrebbe comportato automaticamente la reclusione fino ad un anno e sei mesi. Come se questo non bastasse, alla pena principale della reclusione si sarebbe dovuta aggiungere necessariamente (e non facoltativamente, come previsto dall’attuale legislazione) la pena accessoria dell’obbligo di prestare (al termine dell’espiazione della reclusione e per un periodo compreso tra sei mesi e un anno) un’attività non retribuita in favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità, in favore delle stesse associazioni a tutela delle persone GLBT (un sistema, quello appena descritto, che taluno non ha esitato a definire come ispirato ai metodi di rieducazione dei detenuti politici nella Russia bolscevica). Ciliegina sulla torta, l’estensione della legge Mancino-Reale alle condotte “omofobe” comporta altresì il divieto di ogni “organizzazione, associazione, movimento o gruppo” avente fra i suoi scopi l’incitamento alla discriminazione per motivi fondati sull’orientamento sessuale o l’identità di genere e la connessa punizione (ancora una volta con la reclusione) di chi promuove, dirige, presta assistenza o semplicemente partecipa a tali organizzazioni o gruppi.
Il nuovo testo, passato infine in Commissione e da venerdì in discussione alla Camera, fa marcia indietro sugli aspetti più palesemente liberticidi e repressivi dell’originaria proposta. In caso contrario, il testo si sarebbe infatti arenato in Commissione per l’opposizione dei dissidenti. Il nuovo testo si limita così ad estendere l’art. 3 della legge Reale alle discriminazioni fondate sull’omofobia o la transfobia, senza modificarne il regime sanzionatorio. Così, continuano ad essere punite le condotte di “propaganda” e di “istigazione” alla discriminazione, con le pene attualmente previste per le analoghe condotte di odio razziale, etnico, religioso; viene conservata la pena pecuniaria in alternativa alla detenzione, mentre la pena accessoria dell’obbligo del lavoro di pubblica utilità torna ad essere facoltativa, senza che peraltro fra le associazioni beneficiarie delle prestazioni lavorative del condannato vengano contemplate le organizzazioni gay.
Tuttavia, rimane il divieto di costituire associazioni, movimenti, gruppi incitanti – si badi bene – non solo alla violenza, ma anche in ipotesi alla sola “discriminazione” per motivi fondati sull’omofobia o sulla transfobia. Questa norma desta particolare preoccupazione, essendo ad avviso di chi scrive quella che più delle altre rischia di pregiudicare, insieme alla libertà di associazione, anche la libertà di espressione del cittadino. Cosa significa, infatti, discriminare “per motivi fondati sull’omofobia o sulla transfobia”? Sostenere che le coppie omosessuali non dovrebbero accedere al matrimonio o adottare bambini è incitamento alla discriminazione su base omofoba? Battersi perché alle persone transessuali (propongo qui un caso oramai puramente di scuola) sia precluso di contrarre nozze con un partner dello stesso sesso biologico, anche dopo l’operazione chirurgica di mutamento del sesso, potrà forse essere considerato da un tribunale dello Stato come un incitamento alla discriminazione per motivi transfobici? E le associazioni che conducono tali battaglie dovrebbero per questo solo essere sciolte e i promotori e gli associati mandati in prigione?
Il problema esiste ed è drammaticamente attuale, dal momento che i reati di omofobia nella proposta di legge qui esaminata, pur dopo le modifiche apportate in Commissione, si atteggiano non solo come reati di azione (volti a punire cioè le violenze o l’istigazione alla violenza contro persone o gruppi ben determinati), ma possono atteggiarsi anche, a seconda dei casi, come reati di opinione o, addirittura, come reati associativi. Sono in gioco quindi almeno due fondamentali libertà costituzionali, la libertà di manifestazione del pensiero e la libertà di associazione. Generiche e ambigue rimangono inoltre le nozioni di omofobia e transfobia, al cui cospetto si pretende di sacrificare basilari diritti costituzionali, con il conseguente rischio di applicazioni giurisprudenziali incerte ed equivoche. L’omofobia e la transfobia, ammesso e non concesso che le norme del codice penale attualmente in vigore siano inadeguate a fronteggiare il fenomeno, forse dovrebbero essere affrontate e risolte con strumenti diversi, più rispettose dei diritti di tutti.
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Sono presenti 3 commenti
Con queste leggi si sta passando dalla discriminazione degli omosessuali all'integrazione forzata, se fino a ieri potevo di dire che l'omosessualità era un disturbo dell'orientamento sessuale, oggi sono costretto a dire che l'omosessualità è una forma moderna di vivere il sesso e devo accettare anche che le nuove famiglie gay potranno adottare i bambini.
Giusto, bisogna essere moderni e buoni e tutelare i gay, però se io fossi un bambino vorrei che qualcuno chiedesse anche a me cosa ne penso, visto che la mia educazione sopratutto sessuale, verrà sicuramente condizionata dall'esempio dei miei genitori, che fanno sesso omosessuale.
Ma del futuro della mia educazione sessuale, ai relatori della legge non gliene frega niente?
No dato che molti in parlamento sono omosessuali. nn lo sapevi? Criticano Berluskaz perché é donnaiolo!
Antonio.
Primo questa è una legge che riguarda l' omofobia e non l' adozione da parte di coppie omosessuali, secondo i gay sono nati da coppie eterosessuali e da chi sono stati condizionati allora ?! -_-' Terzo e non meno importante già nel 1974 l’omosessualità venne cancellata dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) pubblicato dall’American Psychiatric Association (APA) e poi nel 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha depennato l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali definendola “una variante naturale del comportamento sessuale umano”.
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