Anche la colpa può essere feconda. Persino scontando un ergastolo si può coltivare la speranza.
di Nadia Velardo
Melo Freni, in un libro fresco di stampa per Paoline, ci racconta una storia di discesa agli inferi e di risalita. È la storia di Genni, un giovane siciliano che, dopo l’efferato omicidio della moglie, nel clima di violenza che lo circonda si lascia coinvolgere istintivamente dalla sete di vendetta. Si sporca le mani sparando contro i mafiosi che gli hanno portato via l’amore, si costituisce e viene condannato a scontare la pena dell’ergastolo. Nella prima parte del libro, in una sorta di primo tempo cinematografico, Genni conosce la calata negli abissi, attraverso le negative esperienze vissute in un ambiente di violenza e mafia. Ma durante la sua trentennale permanenza in carcere cresce in lui il desiderio di dare un senso alla propria vita apparentemente perduta. Nel suo cammino di risalita è guidato dall’amicizia di vari personaggi che lo aiuteranno nella sua riabilitazione morale, aiutandolo ad andare oltre le sbarre che gli precludono la libertà.
Gli ultimi anni di detenzione – prima di ottenere la grazia dal Presidente della Repubblica – li trascorre in un carcere situato su un’isola che diventa metafora della condizione dello spirito: l’isola diventa una prigione del corpo, ma non dell’anima, diventa l’isola della sua condanna, ma anche della sua resurrezione.
La storia raccontata è una vittoria del principio che vuole possibile ogni trasformazione, qualsiasi risalita da qualsiasi fondo, rendendo un omaggio emozionante all’umanità come valore assoluto e come strumento di riscatto. E la vita di Genni infatti fiorirà, diventerà dono fino al sacrificio, nell’ottica del chicco di frumento evangelico, in un finale che non sveliamo per non togliere il piacere della lettura.
In ogni caso la risalita di Genni fa bene non solo al protagonista, ma diventa anche testimonianza di come il male possa essere sconfitto. E di come l’ultima parola spetti sempre al bene. Come scrive Ferdinando Castelli nella prefazione: “Al di là del delitto, il romanzo è denso di prospettive e di umanità. Dimostra che l’uomo fatto da Dio e per Dio ha bisogno di lui. L’uomo – come dire? – è condannato a Dio”.
Melo Freni, scrittore e giornalista, nel suo undicesimo romanzo attinge a quelli che sono da sempre gli elementi portanti della sua narrativa: la memoria, il dolore, l’attesa e la Sicilia, raccontata con sguardi diversi ma sempre convergenti sul tema di una terra intensamente vissuta con amore e con rabbia. Il romanzo ha un taglio narrativo scorrevole e un linguaggio imbevuto di suggestivi recuperi linguistici. Dal punto di vista della trama, con estrema semplicità, Freni riesce ad attualizzare la lezione dei grandi maestri della letteratura russa dell’Ottocento (in particolare del Tolstoj di Resurrezione), con uno sguardo a Dante.
di Nadia Velardo
Melo Freni, in un libro fresco di stampa per Paoline, ci racconta una storia di discesa agli inferi e di risalita. È la storia di Genni, un giovane siciliano che, dopo l’efferato omicidio della moglie, nel clima di violenza che lo circonda si lascia coinvolgere istintivamente dalla sete di vendetta. Si sporca le mani sparando contro i mafiosi che gli hanno portato via l’amore, si costituisce e viene condannato a scontare la pena dell’ergastolo. Nella prima parte del libro, in una sorta di primo tempo cinematografico, Genni conosce la calata negli abissi, attraverso le negative esperienze vissute in un ambiente di violenza e mafia. Ma durante la sua trentennale permanenza in carcere cresce in lui il desiderio di dare un senso alla propria vita apparentemente perduta. Nel suo cammino di risalita è guidato dall’amicizia di vari personaggi che lo aiuteranno nella sua riabilitazione morale, aiutandolo ad andare oltre le sbarre che gli precludono la libertà.
Gli ultimi anni di detenzione – prima di ottenere la grazia dal Presidente della Repubblica – li trascorre in un carcere situato su un’isola che diventa metafora della condizione dello spirito: l’isola diventa una prigione del corpo, ma non dell’anima, diventa l’isola della sua condanna, ma anche della sua resurrezione.
La storia raccontata è una vittoria del principio che vuole possibile ogni trasformazione, qualsiasi risalita da qualsiasi fondo, rendendo un omaggio emozionante all’umanità come valore assoluto e come strumento di riscatto. E la vita di Genni infatti fiorirà, diventerà dono fino al sacrificio, nell’ottica del chicco di frumento evangelico, in un finale che non sveliamo per non togliere il piacere della lettura.
In ogni caso la risalita di Genni fa bene non solo al protagonista, ma diventa anche testimonianza di come il male possa essere sconfitto. E di come l’ultima parola spetti sempre al bene. Come scrive Ferdinando Castelli nella prefazione: “Al di là del delitto, il romanzo è denso di prospettive e di umanità. Dimostra che l’uomo fatto da Dio e per Dio ha bisogno di lui. L’uomo – come dire? – è condannato a Dio”.
Melo Freni, scrittore e giornalista, nel suo undicesimo romanzo attinge a quelli che sono da sempre gli elementi portanti della sua narrativa: la memoria, il dolore, l’attesa e la Sicilia, raccontata con sguardi diversi ma sempre convergenti sul tema di una terra intensamente vissuta con amore e con rabbia. Il romanzo ha un taglio narrativo scorrevole e un linguaggio imbevuto di suggestivi recuperi linguistici. Dal punto di vista della trama, con estrema semplicità, Freni riesce ad attualizzare la lezione dei grandi maestri della letteratura russa dell’Ottocento (in particolare del Tolstoj di Resurrezione), con uno sguardo a Dante.
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