Negli Stati Uniti, a migliaia sono scesi in piazza a New York, Los Angeles e Oakland per protestare contro la sentenza di assoluzione per l’ispanico George Zimmerman.
Radio Vaticana - La guardia volontaria aveva ucciso nel 2012 il giovane di colore Trayvon Martin, secondo i giudici della Florida per legittima difesa. Il presidente Obama ha invitato alla calma, ricordando che gli Stati Uniti sono uno Stato di diritto e che “una giuria si è espressa”. Il tema ha riaperto il dibattito sulla questione razziale nel Paese. Michele Raviart ha chiesto perchè a Dennis Redmont, ex direttore dell’Associated Press Italia: ascolta
R. - Questa questione è estremamente complessa, perché si tratta di uno studente nero, afroamericano, di 17 anni ucciso da un ispanico, Zimmerman. Questo tema è diventato nazionale perché Barack Obama, il presidente, ha detto: “avrebbe potuto essere mio figlio”. In più c’è un altro fattore di genere e di etnia. I sei giurati, che per tre settimane sono stati impegnati nel dibattito, sono donne; la decisione, inoltre, è stata presa in Florida, Stato chiave per i risultati elettorali. Perciò per quanto riguarda la relazioni razziali, questo tema è divenuto un’ossessione!
D. - Poi questa faccenda è sentita in maniera trasversale, perché a scendere in piazza non sono solo gli afroamericani, ma anche gli ispanici, gli indiani …
R. - La reazione naturalmente suggerisce che, a cinque anni dall’elezione del primo presidente nero negli Stati Uniti, le relazioni razziali rimangano molto polarizzate. Come sappiamo, gli Stati uniti non sono più - come noi pensiamo - un'amalgama di afroamericani e di bianchi, ma piuttosto una specie di macedonia. L’America non è certamente una società post-razziale, ma è sicuramente una società che ha ancora molti passi da fare.
D. - A livello mediatico, in che modo i mezzi di informazione americani hanno commentato questa sentenza?
R. - A livello mediatico naturalmente l’attenzione si spostata su questo caso, mettendo in secondo piano ciò che accade nel mondo. In ogni discussione ci si chiede: ma se fosse stato bianco? Ma se il poliziotto fosse stato nero? C’è una sorta di autoanalisi dei media americani, dove si tenta di parlare del problema che rode la coscienza americana, dal 1861, quando la schiavitù è stata abolita in America.
D. - Zimmerman era una guardia volontaria, che per statuto non è incentivata a portare armi. Questo caso rientra anche nel dibattito riguardo la facilità con la quale è possibile girare armati negli Stati Uniti?
R. - È possibile che questo metta sul piatto un dibattito rinnovato. Quello che ha sorpreso tutti è che dopo tanti mesi, il Congresso non sia riuscito a portare un significativo cambiamento sul porto d’armi, e perciò è possibile che questo riapra la questione.
D. - A livello di diritto, ci sono possibilità che questa sentenza venga rivista a livello federale?
R. - Sì, le possibilità ci sono. Ora dipende se questo viene trattato come un delitto a sfondo razziale. Al momento è giudicato come un delitto federale, che quindi non riguarda la Florida come Stato. In quel caso sì, potrebbe essere sottoposto a revisione.
Radio Vaticana - La guardia volontaria aveva ucciso nel 2012 il giovane di colore Trayvon Martin, secondo i giudici della Florida per legittima difesa. Il presidente Obama ha invitato alla calma, ricordando che gli Stati Uniti sono uno Stato di diritto e che “una giuria si è espressa”. Il tema ha riaperto il dibattito sulla questione razziale nel Paese. Michele Raviart ha chiesto perchè a Dennis Redmont, ex direttore dell’Associated Press Italia: ascolta
R. - Questa questione è estremamente complessa, perché si tratta di uno studente nero, afroamericano, di 17 anni ucciso da un ispanico, Zimmerman. Questo tema è diventato nazionale perché Barack Obama, il presidente, ha detto: “avrebbe potuto essere mio figlio”. In più c’è un altro fattore di genere e di etnia. I sei giurati, che per tre settimane sono stati impegnati nel dibattito, sono donne; la decisione, inoltre, è stata presa in Florida, Stato chiave per i risultati elettorali. Perciò per quanto riguarda la relazioni razziali, questo tema è divenuto un’ossessione!
D. - Poi questa faccenda è sentita in maniera trasversale, perché a scendere in piazza non sono solo gli afroamericani, ma anche gli ispanici, gli indiani …
R. - La reazione naturalmente suggerisce che, a cinque anni dall’elezione del primo presidente nero negli Stati Uniti, le relazioni razziali rimangano molto polarizzate. Come sappiamo, gli Stati uniti non sono più - come noi pensiamo - un'amalgama di afroamericani e di bianchi, ma piuttosto una specie di macedonia. L’America non è certamente una società post-razziale, ma è sicuramente una società che ha ancora molti passi da fare.
D. - A livello mediatico, in che modo i mezzi di informazione americani hanno commentato questa sentenza?
R. - A livello mediatico naturalmente l’attenzione si spostata su questo caso, mettendo in secondo piano ciò che accade nel mondo. In ogni discussione ci si chiede: ma se fosse stato bianco? Ma se il poliziotto fosse stato nero? C’è una sorta di autoanalisi dei media americani, dove si tenta di parlare del problema che rode la coscienza americana, dal 1861, quando la schiavitù è stata abolita in America.
D. - Zimmerman era una guardia volontaria, che per statuto non è incentivata a portare armi. Questo caso rientra anche nel dibattito riguardo la facilità con la quale è possibile girare armati negli Stati Uniti?
R. - È possibile che questo metta sul piatto un dibattito rinnovato. Quello che ha sorpreso tutti è che dopo tanti mesi, il Congresso non sia riuscito a portare un significativo cambiamento sul porto d’armi, e perciò è possibile che questo riapra la questione.
D. - A livello di diritto, ci sono possibilità che questa sentenza venga rivista a livello federale?
R. - Sì, le possibilità ci sono. Ora dipende se questo viene trattato come un delitto a sfondo razziale. Al momento è giudicato come un delitto federale, che quindi non riguarda la Florida come Stato. In quel caso sì, potrebbe essere sottoposto a revisione.
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