giovedì, agosto 01, 2013
È iniziata l’attività dell’impianto che collega lo Stato birmano Arakan con la municipalità cinese di Kunming. Gli ambientalisti parlano di rischi per l’ecosistema; attivisti pro diritti umani chiedono risarcimenti adeguati per gli espropri. Dubbi sui beneficiari dell’investimento e di fondi neri nelle tasche di ex membri della giunta militare

Yangon (AsiaNews) - Fra il malcontento dei contadini espropriati e le preoccupazioni degli attivisti per l'impatto ambientale, nei giorni scorsi è entrato in l'attività il controverso gasdotto che collega lo Stato birmano Arakan con la municipalità di Kunming, nel sud della Cina. Dopo anni di lavoro e miliardi di dollari di investimenti, la Shwe pipeline (lunga circa 800 km) varca i confini del Myanmar per rifornire di energia le industrie di Pechino; tuttavia, secondo i critici, non sarà certo la popolazione civile birmana a ricavare i maggiori benefici dall'investimento in termini di ricavi e di uso dell'energia prodotta e veicolata.

A pieno regime, il gasdotto potrà trasportare circa 12 miliardi di metri cubi di gas, pari al 6% del totale del fabbisogno cinese in tema di energia. Per quanto concerne i proventi, almeno 1,8 miliardi di dollari all'anno andranno nelle tasche della compagnia statale birmana Moge, anche se non è chiaro come verranno distribuite le risorse e chi siano i reali beneficiari di questo enorme flusso di denaro.

I vertici del consorzio Seagp (Southeast Asia Gas Pipeline Company Limited), responsabili del progetto, spiegano che gas e petrolio prelevati dall'impianto di Kyaukphyu verranno convogliati in terra cinese passando attraverso un punto di frontiera nello Stato Shan. Il progetto è frutto di una collaborazione fra la China National Petroleum Corporation (Cnpc) e la birmana Myanmar Oil&Gas Enterprise (Moge), legata alla ex giunta militare al potere per decenni in Myanmar.

Al momento è in costruzione una seconda conduttura, che sarà invece adibita al trasporto di petrolio anch'esso utilizzato per rifornire le industrie cinesi oltreconfine. Per l'impresa costruttrice, il gasdotto offre un "vantaggio reciproco" ai governi cinese e birmano e assicura al contempo rapporti "buoni" e improntati alla "collaborazione" con la popolazione civile.

Tuttavia, non si ferma la protesta di critici, attivisti e ambientalisti che denunciano abusi e violazioni ai diritti umani, compensi irrisori a fronte di vasti espropri e danni al patrimonio ambientale i fase di costruzione. Essi lamentano inoltre scarsa trasparenza da parte del governo birmano, come conferma una recente inchiesta, quando si tratta di investimenti nel settore dell'energia. Il Comitato sino-birmano di controllo del gasdotto ha lanciato una campagna di raccolta firme, chiedendo maggiore chiarezza da parte delle autorità e migliori controlli in tema di sicurezza, visto che già nelle scorse settimane - durante il collaudo - si sono verificate perdite.


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