“Un fatto enorme”: così il presidente americano Obama, in un’intervista alla Cnn, è intervenuto sul presunto attacco con gas nervino nei giorni scorsi in Siria. L’amministrazione americana appare tuttavia ''profondamente divisa'' nella valutazione di eventuali risposte militari al presidente siriano Assad. Intanto il ministro degli Esteri britannico Hague, riferendosi a quanto accaduto, punta il dito contro Assad mentre la Russia accusa l’Europa e parla di “prove preparate” di attacco. Marina Calculli: ascolta
Radio Vaticana - Il segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon ribadisce ancora una volta che il bombardamento al gas nervino che ha colpito due giorni fa sei sobborghi di Damasco è un “crimine contro l’umanità”. Tutti d’accordo sulla necessità di un’inchiesta che confermi quanto è stato annunciato dai ribelli e testimoniato con video e foto, ma le prospettive dei governi mondiali rimangono ancora una volta ben distanti. In testa al fronte della linea dura la Francia e la Gran Bretagna. Londra non ha dubbi che l’attacco sia stato compiuto dalle forze lealiste, mentre Parigi ha già invocato l’intervento militare. Cauti gli Stati Uniti, proprio loro che un anno fa avevano posto l’uso di armi chimiche come la linea rossa che, se oltrepassata, avrebbe reso ineluttabile l’intervento militare. Obama ha detto di aver chiesto, seppur con poche speranze, collaborazione al governo siriano perché si compia un’indagine sui luoghi del bombardamento. Ma la Russia insiste: “Si tratta di una provocazione. Il materiale diffuso era stato già preparato”. Mosca comunque fa pressione sul regime di Assad perché collabori con l’ONU. Intanto, secondo fonti citate dal quotidiano francese Le Figaro,
alcune truppe di ribelli siriane, addestrate dall’America e dalla CIA in Giordania, sono entrate nel Paese: l’operazione anti-Asad – dice ancora le Figaro – è cominciata.
Intanto, Unicef e Alto Commissariato Onu per i rifugiati lanciano l'allarme: sono un milione i bambini siriani profughi e due milioni di minori sfollati. “Si tratta di bimbi veri e non solo numeri – fanno sapere – bimbi che sono stati strappati dalle loro case, obbligati ad affrontare orrori che possiamo solo cominciare a comprendere”. Al microfono di Benedetta Capelli, Laurence Jolles, rappresentante dell'Alto Commissariato per l'Europa sud-orientale: ascolta
R. – I numeri sono, naturalmente, importanti, però è difficile rendersi conto che tutti questi bambini che sono arrivati hanno visto e subito violenze e sono stati parte di una violenza che li ha investiti negli ultimi due anni. Molti di questi hanno perduto tutta la loro stabilità, la sicurezza che avevano, la sicurezza dell’ambiente familiare … E quindi, ci sono senz’altro delle ferite che sono lì e che continueranno ad esserci per lungo tempo in futuro. Hanno bisogno di un aiuto: un aiuto che ridia loro un po’ di speranza per il futuro.
D. – Di fronte a quello che vi raccontano i vostri operatori, c’è un’immagine che vuole proporci per raccontare ancora meglio questo dramma nel dramma che si sta vivendo?
R. – A me viene in mente una delle cose che ho visto spesso in campi di rifugiati: se a questi bambini si dà un pezzo di carta e delle matite per disegnare, si vedono immagini che sono totalmente diverse da quelle a cui siamo abituati noi. Si vede – ed è una cosa incredibile! – il nero del fuoco e il rosso sgargiante del sangue, le bombe, i morti, i proiettili. Io solo vedendo questo mi sono ulteriormente reso conto di quanto abbiano visto e quanto abbiano sperimentato questi bambini che se pure li si vede così, con un sorriso, giocando in un campo di rifugiati, hanno subito dei traumi che a volte sono visibili ma molto spesso sono latenti ed usciranno, e loro se li porteranno dietro per tanti anni!
D. – Ma come si rimedia ad un dramma simile? Come si curano queste ferite dei bambini?
R. – Non si possono mai curare del tutto, naturalmente. C’è un grande sforzo per dare un sostegno psicosociale in tutti i campi, ma il rimedio – naturalmente – è una soluzione politica: bisogna risolvere questa situazione e mettere fine alle violenze e alla guerra che c’è ancora. Nel frattempo, noi del fronte umanitario tentiamo di aiutare quanto più possiamo nell’immediato.
D. – In Italia stiamo assistendo anche all’arrivo di tanti profughi siriani, in particolar modo bambini. Su questo fronte, com’è la situazione?
R. – Cominciano ad arrivare gruppi di siriani: ancora sono molto pochi, paragonati ai siriani che ci sono nei Paesi limitrofi alla Siria. Però, è logico che più a lungo il conflitto continua, e più persone continueranno ad uscire dalla Siria. E stiamo parlando di seimila persone al giorno che escono dalla Siria: bisogna avere una certa preparazione. Quello che noi chiediamo a tutti i Paesi, inclusi naturalmente quelli europei, è di continuare a tenere le frontiere aperte, rendere possibile l’accesso al territorio, tentare di facilitare la riunificazione familiare di famiglie disperse e di famiglie che non sono più insieme, e di tentare di gestire insieme gli arrivi. Finora, l’Italia – per quanto riguarda gli arrivi in quest’ultimo anno – ha fatto un grande sforzo, con la Guardia Costiera e con la Guardia di Finanza, per tentare di soccorrere quelli che arrivano via mare, e c’è sempre stata una prima accoglienza e un accesso all’asilo, e queste sono cose molto buone.
D. – C’è un ulteriore appello che vuole lanciare?
R. – Bisogna continuare ad avere uno spirito aperto, una certa tolleranza, una comprensione del fatto che molti di quelli che arrivano hanno bisogno di protezione, cercano un rifugio e sono giustificati a farlo, perché sono fuggiti da situazioni di violenza, di guerra, di persecuzioni che hanno fatto sì che siano stati costretti a partire. Non è necessariamente una scelta: spesso è una costrizione. Quello che vorrei è incoraggiare tutti è ad aprire un po’ le braccia e avere un po’ di carità cristiana.
Radio Vaticana - Il segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon ribadisce ancora una volta che il bombardamento al gas nervino che ha colpito due giorni fa sei sobborghi di Damasco è un “crimine contro l’umanità”. Tutti d’accordo sulla necessità di un’inchiesta che confermi quanto è stato annunciato dai ribelli e testimoniato con video e foto, ma le prospettive dei governi mondiali rimangono ancora una volta ben distanti. In testa al fronte della linea dura la Francia e la Gran Bretagna. Londra non ha dubbi che l’attacco sia stato compiuto dalle forze lealiste, mentre Parigi ha già invocato l’intervento militare. Cauti gli Stati Uniti, proprio loro che un anno fa avevano posto l’uso di armi chimiche come la linea rossa che, se oltrepassata, avrebbe reso ineluttabile l’intervento militare. Obama ha detto di aver chiesto, seppur con poche speranze, collaborazione al governo siriano perché si compia un’indagine sui luoghi del bombardamento. Ma la Russia insiste: “Si tratta di una provocazione. Il materiale diffuso era stato già preparato”. Mosca comunque fa pressione sul regime di Assad perché collabori con l’ONU. Intanto, secondo fonti citate dal quotidiano francese Le Figaro,
alcune truppe di ribelli siriane, addestrate dall’America e dalla CIA in Giordania, sono entrate nel Paese: l’operazione anti-Asad – dice ancora le Figaro – è cominciata.
Intanto, Unicef e Alto Commissariato Onu per i rifugiati lanciano l'allarme: sono un milione i bambini siriani profughi e due milioni di minori sfollati. “Si tratta di bimbi veri e non solo numeri – fanno sapere – bimbi che sono stati strappati dalle loro case, obbligati ad affrontare orrori che possiamo solo cominciare a comprendere”. Al microfono di Benedetta Capelli, Laurence Jolles, rappresentante dell'Alto Commissariato per l'Europa sud-orientale: ascolta
R. – I numeri sono, naturalmente, importanti, però è difficile rendersi conto che tutti questi bambini che sono arrivati hanno visto e subito violenze e sono stati parte di una violenza che li ha investiti negli ultimi due anni. Molti di questi hanno perduto tutta la loro stabilità, la sicurezza che avevano, la sicurezza dell’ambiente familiare … E quindi, ci sono senz’altro delle ferite che sono lì e che continueranno ad esserci per lungo tempo in futuro. Hanno bisogno di un aiuto: un aiuto che ridia loro un po’ di speranza per il futuro.
D. – Di fronte a quello che vi raccontano i vostri operatori, c’è un’immagine che vuole proporci per raccontare ancora meglio questo dramma nel dramma che si sta vivendo?
R. – A me viene in mente una delle cose che ho visto spesso in campi di rifugiati: se a questi bambini si dà un pezzo di carta e delle matite per disegnare, si vedono immagini che sono totalmente diverse da quelle a cui siamo abituati noi. Si vede – ed è una cosa incredibile! – il nero del fuoco e il rosso sgargiante del sangue, le bombe, i morti, i proiettili. Io solo vedendo questo mi sono ulteriormente reso conto di quanto abbiano visto e quanto abbiano sperimentato questi bambini che se pure li si vede così, con un sorriso, giocando in un campo di rifugiati, hanno subito dei traumi che a volte sono visibili ma molto spesso sono latenti ed usciranno, e loro se li porteranno dietro per tanti anni!
D. – Ma come si rimedia ad un dramma simile? Come si curano queste ferite dei bambini?
R. – Non si possono mai curare del tutto, naturalmente. C’è un grande sforzo per dare un sostegno psicosociale in tutti i campi, ma il rimedio – naturalmente – è una soluzione politica: bisogna risolvere questa situazione e mettere fine alle violenze e alla guerra che c’è ancora. Nel frattempo, noi del fronte umanitario tentiamo di aiutare quanto più possiamo nell’immediato.
D. – In Italia stiamo assistendo anche all’arrivo di tanti profughi siriani, in particolar modo bambini. Su questo fronte, com’è la situazione?
R. – Cominciano ad arrivare gruppi di siriani: ancora sono molto pochi, paragonati ai siriani che ci sono nei Paesi limitrofi alla Siria. Però, è logico che più a lungo il conflitto continua, e più persone continueranno ad uscire dalla Siria. E stiamo parlando di seimila persone al giorno che escono dalla Siria: bisogna avere una certa preparazione. Quello che noi chiediamo a tutti i Paesi, inclusi naturalmente quelli europei, è di continuare a tenere le frontiere aperte, rendere possibile l’accesso al territorio, tentare di facilitare la riunificazione familiare di famiglie disperse e di famiglie che non sono più insieme, e di tentare di gestire insieme gli arrivi. Finora, l’Italia – per quanto riguarda gli arrivi in quest’ultimo anno – ha fatto un grande sforzo, con la Guardia Costiera e con la Guardia di Finanza, per tentare di soccorrere quelli che arrivano via mare, e c’è sempre stata una prima accoglienza e un accesso all’asilo, e queste sono cose molto buone.
D. – C’è un ulteriore appello che vuole lanciare?
R. – Bisogna continuare ad avere uno spirito aperto, una certa tolleranza, una comprensione del fatto che molti di quelli che arrivano hanno bisogno di protezione, cercano un rifugio e sono giustificati a farlo, perché sono fuggiti da situazioni di violenza, di guerra, di persecuzioni che hanno fatto sì che siano stati costretti a partire. Non è necessariamente una scelta: spesso è una costrizione. Quello che vorrei è incoraggiare tutti è ad aprire un po’ le braccia e avere un po’ di carità cristiana.
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