giovedì, agosto 08, 2013
La denuncia di Medici Senza Frontiere  

Radio Vaticana - Un’indagine di Medici senza Frontiere conferma che decine di migliaia di persone, tra rifugiati del Darfur e ciadiani rimpatriati, sono fuggite dai violenti scontri nel Darfur nel periodo compreso fra gennaio e maggio 2013 e hanno cercato rifugio nella zona di Tissi, nel sud-est del Ciad. Il 93% delle morti tra gli sfollati è avvenuto in Darfur, prima di raggiungere il Ciad, ed è stato causato principalmente dalla violenza. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Stella Egidi, coordinatore medico di Msf Italia: ascolta

R. – Stiamo intervenendo nella zona di Tissi nel sud-est del Ciad dall’aprile scorso; zona dove si è riscontrata un'imponente ondata di afflussi provenienti dal vicino Darfur. Si tratta di rifugiati provenienti dal Darfur e, addirittura, cittadini ciadiani precedentemente spostatisi in Darfur che ora rientrano nel loro Paese. Le condizioni che abbiamo riscontrato sono ovviamente gravissime; la maggioranza delle morti riportate da questa popolazione è appunto legata a fenomeni di violenza.

D. – Nelle testimonianze che voi avete raccolto, i rifugiati parlano di molte persone che sono state colpite da armi da fuoco, di villaggi dati alle fiamme, rasi al suolo e saccheggiati. Insomma, una situazione davvero drammatica…

R. – Esattamente. Le testimonianze sono molto toccanti. Abbiamo in prima persona assistito, nelle ultime settimane, circa 80 persone – 30 soltanto nella scorsa settimana – 13 delle quali tra l’altro hanno necessitato il trasferimento in una struttura di più alto livello, a causa delle conseguenze riportate a seguito delle ferite.


D. – A peggiorare la situazione ci sono anche i fattori climatici: le piogge che interessano quell’area, da giugno a settembre, e questo ovviamente complica la vostra azione…

R. – Ovviamente. Come sempre ad una catastrofe se ne aggiunge un’altra: questo è il periodo delle piogge che non solo complicano i trasporti e i trasferimenti rendendo estremamente difficoltoso portare farmaci e attrezzature, l’occorrente per assistere adeguatamente queste persone; ma portano con sé anche un aggravarsi delle condizioni sanitarie. Quindi, rischio di epidemie: epatite E, colera e la malaria soprattutto su cui già stiamo avviando interventi di prevenzione nella popolazione che stiamo assistendo.

D. – Qual è la situazione per quanto riguarda i bambini?

R. – I bambini ovviamente, come sempre, sono le prime vittime di queste situazioni. Sono tra le categorie più vulnerabili, sono le categorie che per prime soffrono stati di malnutrizione e soffrono le più gravi conseguenze delle patologie che ho menzionato. Sono le principali vittime della malaria in particolare, per cui sicuramente necessitano in queste situazioni un’attenzione specifica e molto alta.

D. – Di cosa hanno bisogno maggiormente queste persone. Vuole lanciare un appello?

R. – Hanno bisogno veramente di tutto: hanno bisogno dell’assistenza internazionale, dell’assistenza delle organizzazioni governative e non. Noi interveniamo anche nel centro di Ab Gadam - nei pressi di Tissi - dove sono state trasferite 17 mila persone dal primo campo, per alleviare le condizioni di vita. Anche qui in realtà la situazione è catastrofica: l’approvvigionamento di acqua - per le condizioni climatiche attuali - è estremamente difficoltoso e si calcola che le persone in questo momento possano disporre soltanto di un litro di acqua al giorno per persona; lo standard internazionale è quantomeno di 20 litri di acqua al giorno per persona.

D. – Il suo, insomma, è un appello soprattutto alla Comunità internazionale per far sì che questa crisi non vada a finire nel solito "dimenticatoio"…

R. – Assolutamente. Mantenere alta l’attenzione è sempre il primo passo per poter poi aiutare adeguatamente chi ne ha bisogno.


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