domenica, agosto 11, 2013
Uno dei discorsi più significativi che Papa Francesco ha pronunciato durante la Gmg di Rio de Janeiro è stato sicuramente quello rivolto ai vescovi del Celam.

Radio Vaticana - Ai pastori latinoamericani il Papa ha rivolto degli interrogativi che sono in realtà attuali per ogni pastore della Chiesa. Alessandro Gisotti ha chiesto al vescovo ausiliare di Roma, mons. Guerino Di Tora, di ritornare a quel discorso, soffermandosi su alcune delle domande poste dal Papa sulla missione del vescovo nel mondo di oggi: ascolta
R. - Anzitutto, mi pare molto bello il fatto che il Papa non parli soltanto agli altri vescovi, ma parli anzitutto a se stesso. Quindi dire "Io sono pastore come voi e con voi" significa che vuole sentirsi in una profonda vicinanza e sintonia con gli altri pastori. Eil primo problema che affronta è proprio quello di una situazione che secondo me è ordinaria, cioè come conciliare il discorso dell’aspetto amministrativo con quello pastorale. Io sono stato parroco tanti anni in una grande parrocchia di Roma e quindi ricordo questa mia preoccupazione ... di far quadrare i conti, di vedere che non ci fossero cose che andassero male ... Dobbiamo avere sempre chiaro che tutto questo discorso di struttura della parrocchia, della diocesi, è in funzione della pastorale. Il primo punto deve rimanere sempre questo anelito, questa ansia di pastoralità! Quindi, dobbiamo saper vedere anche queste preoccupazioni amministrative, con un aspetto maggiore di fede, di certezza che quello che stiamo portando avanti è opera di Dio e che quindi il Signore non ci abbandona, che la Provvidenza che predichiamo agli altri è - da questo punto di vista - anche per noi.

D. - Il Papa chiede: “Chi è il principale beneficiario del lavoro ecclesiale, la Chiesa come organizzazione o il popolo di Dio nella sua totalità?”

R. - Giustamente, dobbiamo sempre ricordarcelo, perché il rischio di comandare e di possedere è sempre dietro l’angolo. Dobbiamo sempre vedere che a prevalere non è il discorso della struttura, ma il Popolo di Dio, la comunità, e quindi l’impegno a favorire queste situazioni. Tante volte si pensa all’abbellimento delle Chiese. Tante volte anche noi - purtroppo - vediamo che i nuovi parroci quando arrivano la prima cosa che dicono è: “Rifaccio l’altare!”, senza immaginare, invece, come prima preoccupazione quella di un piano pastorale, di come arrivare alla gente, di conoscere quali situazioni di disagio o economico-sociali o strutturali esistono in quel quartiere, in quella porzione di Chiesa che è quella determinata parrocchia.

D. - Il Papa rivolge poi una doppia domanda: superiamo la tentazione di prestare attenzione in maniera reattiva ai complessi problemi che sorgono, e dunque, creiamo una consuetudine proattiva?

R. - Purtroppo, io immagino che ognuno di noi con il passare del tempo si affossa un po’. Ci siamo creati una determinata realtà e immaginiamo che è sempre quella che va avanti. Tante volte non siamo in grado di renderci conto che oggi il mondo cambia con una velocità impressionante, non solo da un punto di vista economico, di globalizzazione, ma anche culturale, che quindi ha un suo riverbero forte anche nel contesto religioso. Su questo dobbiamo essere sempre attenti, proprio come sentinelle che stanno a guardare, e proprio come dice il Papa di essere in mezzo alla gente, in mezzo al gregge, per poter capire dove sta andando, cosa sta facendo e quindi come meglio guidarlo. Probabilmente, l’idea di grandi parrocchie, ci dà anche il senso della massa... invece il Papa insiste proprio in questa attenzione verso ogni singola persona. Oggi dobbiamo dire: “Noi dobbiamo andare verso la gente!”; dobbiamo avere questo movimento centrifugo, non più centripeto.


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