domenica, agosto 04, 2013
La notizia è di quelle che fanno il giro del mondo, aprono dibattito su giornali e siti web e suscitano scandalo ma lo show di successo va avanti: è una regola dello spettacolo! Ci si chiede se questa regola debba essere rispettata quando in un popolare programma della Tv in Pakistan vengono dati in premio, alle coppie di partecipanti ad un quiz sul Corano, bambini abbandonati da adottare ad uso e consumo di audience.
Radio Vaticana - Roberta Gisotti ne ha parlato con Elisa Manna, sociologa, responsabile delle Politiche culturali del Censis.
D. - Elisa Manna, che dire di fronte a quest’ennesima - come definirla – provocazione, invadenza, trasgressione dei media a fine di audience?
R. – E’ un segnale preoccupante di un’invasione ormai di qualunque aspetto e dimensione dell’umano da parte di un sistema che deve produrre ascolti, che deve produrre 'effetto' sul pubblico. Certamente l’adozione di un bambino, l’incontro tra i genitori e un bambino, è un qualcosa che appartiene al vissuto privatissimo delle persone e che dovrebbe restare tale. Fa parte di questa tendenza alla spettacolarizzazione, all’uso strumentale di momenti molto intimi, molto privati, che purtroppo è una tendenza che attraversa i media ormai da molti anni.

D. – Il programma è realizzato in collaborazione con un’organizzazione non governativa che assiste bambini bisognosi. Come dire che il buon fine giustifica i mezzi, spregiudicati e spettacolari per raggiungere lo scopo. Questa è stata un po’ la difesa di questa ong...
R. – Evidentemente ci sono degli aspetti in questa vicenda che sembrano essere positivi: l’incontro appunto di un bambino che non ha genitori con una famiglia che può accoglierlo e la facilitazione di questo evento. Ma a me pare che bisogna mettere dei paletti. Non dimentichiamo che alcune televisioni, in ambito internazionale, trasmettono tranquillamente – ed è successo anche in Italia – dei parti, per esempio. Allora, questo mettere in piazza davanti all’occhio della telecamera i momenti più intimi e privati dell’umano, a me sembra veramente qualcosa di aberrante, da combattere in maniera decisa, senza se e senza ma.

D. – Un’aberrazione – in tanti l’hanno definita così – costruita però a tavolino da squadre di autori, pagati anche 'profumatamente', per sorprendere il pubblico...
R. – Dobbiamo renderci conto, essere consapevoli del fatto che il sistema dei media è un sistema che produce sostanzialmente prodotti per attirare pubblico e per poter vendere spazi pubblicitari. E’ totalmente, quindi, votato e finalizzato al lucro. Noi spesso diamo per scontato che chi fa il programmista, il regista televisivo o qualunque operatore nell’ambito della produzione dei media, sia una persona che ha una coscienza sociale. Non hanno la sensazione che quello che fanno poi contribuisce alla costruzione di una civiltà e, vorrei dire, anche di una democrazia. Oggi viviamo in un mondo in cui i media davvero sono diventati pervasivi. La dimensione, quindi, dell’educazione e della crescita critica del pubblico, degli operatori dell’informazione e di tutti quelli che hanno responsabilità nel campo dei media, diventa veramente insostituibile.

D. – Sviluppare quindi una vera e propria cultura di difesa da questi media che sono contro la persona, sia dentro che fuori lo schermo, e che sappiamo fanno danni che emergono anche nel tempo....
R. – Su questo c’è una letteratura scientifica enorme, vastissima. Il problema è di riuscire a far arrivare quello che si sa dal punto di vista scientifico sull’influenza dei media e farlo diventare materia di consapevolezza di un pubblico largo. Finché, infatti, resterà ad appannaggio solo di pochi esperti, di pochi studiosi, non ci sarà quella pressione sociale da parte del pubblico più ampio sui media, perché migliorino il proprio senso di responsabilità. E’ attraverso la conoscenza che la persona può essere consapevole dei propri diritti di essere rispettato come individuo, ma anche e soprattutto come educatore, come persona che cresce le nuove generazioni: siano i figli, siano gli allievi per un insegnante, siano i ragazzi che frequentano un centro sportivo. Tutti quelli che hanno una funzione educativa devono essere consapevoli che hanno a che fare con un mondo dei contenuti mediatici, che spesso è in contraddizione con quello che è il loro tentativo educante. Devono fare, quindi, pressione sociale, per ottenere un sistema dei media più responsabile.


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