"La lista di Bergoglio": le storie di quanti furono salvati
durante la dittatura militare in Argentina
durante la dittatura militare in Argentina
Arriverà in libreria ad ottobre “La lista di Bergoglio", edito da Emi e scritto dal giornalista di Avvenire, Nello Scavo. Si tratta di un’inchiesta che tramite documenti inediti e testimonianze rivela quanto Papa Francesco, allora provinciale dei gesuiti in Argentina, fece per salvare molte persone dalle persecuzioni della dittatura militare, che iniziò nel 1976 e nella quale, negli anni, sparirono almeno 30 mila persone. Debora Donnini ha intervistato l’autore del libro, Nello Scavo.
Radio Vaticana - R. – L’immagine che esce di Bergoglio è quella di un uomo abile, che si è mosso con la prudenza e anche le astuzie di uno 007, che si era dato il compito di mettere al riparo la vita di decine di persone perseguitate dalla giunta militare. E’ un uomo che ha agito a rischio della propria vita e della propria reputazione. D. – Quante persone ha salvato l’allora padre Bergoglio dal rischio di finire come desaparecidos?
R. – E’ difficile fare delle stime precise, soprattutto perché padre Bergoglio di questo non ha mai voluto parlare. Noi abbiamo raccolto una ventina di testimonianze tutte in periodi diversi fra loro, di persone che non si conoscono e che hanno conosciuto Bergoglio in epoche differenti. Ognuna di queste persone, a sua volta, si dice testimone di almeno una ventina di salvataggi. Diciamo che per prudenza possiamo affermare che sono più di cento le persone sicuramente salvate da padre Jorge Mario Bergoglio a quel tempo. Poi ci sono i salvati "indirettamente", perché riuscendo ad evitare l’arresto e le torture rivolte a questi giovani, si è evitato che questi potessero fare nomi di altri giovani durante gli interrogatori molto violenti cui venivano sottoposti quanti finivano nel mirino della dittatura.
D. – Dalla ricostruzione che lei ha fatto, emerge che padre Bergoglio mise su una rete clandestina, praticamente, il cui perno era il Collegio Maximo a San Miguel, nell’area metropolitana di Buenos Aires, dove appunto Bergoglio risiedeva. Lui qui nascondeva delle persone?
R. – Lui aveva organizzato una rete clandestina per il salvataggio delle persone. Nessuno sarà probabilmente mai disposto ad ammetterlo in questa chiave, soprattutto Bergoglio, il quale si serviva della sua sfera d’influenza, di amicizie, di conoscenze, per poter ottenere piccoli, singoli favori da ciascuna di queste persone: chi si occupava magari di far ottenere i documenti per l’espatrio, chi forniva notizie su arresti e sequestri di persona. Di certo lui nascondeva gli studenti, uomini o donne, nel Collegio Maximo di San Miguel e lo faceva all’oscuro dei suoi stessi confratelli gesuiti, dicendo loro che si trattava di ragazzi in fase di discernimento spirituale o di seminaristi in ritiro spirituale. In realtà, durante il periodo di “soggiorno” a San Miguel, Bergoglio studiava un piano per permettere la fuga di queste persone e molti, infatti, ci hanno raccontato come hanno potuto raggiungere clandestinamente, per esempio, il Brasile, dove poi una rete, costituita ancora una volta dai gesuiti, consentiva l’infiltrazione verso l’Europa.
D. – Tra l’altro, emerge che Bergoglio s’impegnò per la liberazione dei due gesuiti rapiti: Yorio e Jalics… R. – Emerge con assoluta chiarezza dall’inchiesta che abbiamo svolto, basandoci sulle testimonianze dirette ed anche sugli atti giudiziari. Bergoglio s’interessò in prima persona, a rischio personale. Noi per esempio ricostruiamo un incontro, un faccia a faccia molto duro tra padre Bergoglio e l’ammiraglio Massera, il capo della Marina, un uomo terribile. A quel tempo, Bergoglio lo affronta per ottenere la restituzione di questi due sacerdoti. Peraltro, uno di essi, padre Jalics, ha svolto indagini in proprio, perché lui per primo ha sospettato all’inizio che Bergoglio fosse coinvolto ed è arrivato alla conclusione che Bergoglio non fu assolutamente coinvolto e che, anzi, si interessò a rischio della sua vita e della sua reputazione, per poter ottenere la salvezza. Tant’è vero che i gesuiti sono l’unico Ordine che non ha registrato morti durante la dittatura argentina.
D. – Qual è la storia che l’ha colpita di più? R. – Sono tutte toccanti. Certamente colpisce il fatto che a finire nell’orbita salvifica di Bergoglio erano credenti e non credenti, giovani e meno giovani. Andiamo da Gonzalo Mosca, che oggi è un noto sindacalista uruguayano alla storia di Sergio e Ana Gobelin, che furono sposati da Bergoglio. Successivamente, Sergio finì nel mirino della dittatura, fu arrestato e torturato per tre settimane e Bergoglio riuscì ad ottenerne la liberazione e lo fece ricoverare clandestinamente in un ospedale di Buenos Aires. Poi riuscì a farli arrivare in Italia, dove vivono da allora. La loro storia è molto particolare, perché racconta il vento nuovo del Concilio Vaticano II, che aveva spinto questi giovani di buona famiglia a vivere tra i poveri di Buenos Aires e, tra l’altro, ci hanno rivelato che Bergoglio, ancora una volta all’insaputa dei confratelli, abitualmente, svolgeva dei ritiri spirituali tra i poveri in una baracca di lamiera e terra battuta.
Radio Vaticana - R. – L’immagine che esce di Bergoglio è quella di un uomo abile, che si è mosso con la prudenza e anche le astuzie di uno 007, che si era dato il compito di mettere al riparo la vita di decine di persone perseguitate dalla giunta militare. E’ un uomo che ha agito a rischio della propria vita e della propria reputazione. D. – Quante persone ha salvato l’allora padre Bergoglio dal rischio di finire come desaparecidos?
R. – E’ difficile fare delle stime precise, soprattutto perché padre Bergoglio di questo non ha mai voluto parlare. Noi abbiamo raccolto una ventina di testimonianze tutte in periodi diversi fra loro, di persone che non si conoscono e che hanno conosciuto Bergoglio in epoche differenti. Ognuna di queste persone, a sua volta, si dice testimone di almeno una ventina di salvataggi. Diciamo che per prudenza possiamo affermare che sono più di cento le persone sicuramente salvate da padre Jorge Mario Bergoglio a quel tempo. Poi ci sono i salvati "indirettamente", perché riuscendo ad evitare l’arresto e le torture rivolte a questi giovani, si è evitato che questi potessero fare nomi di altri giovani durante gli interrogatori molto violenti cui venivano sottoposti quanti finivano nel mirino della dittatura.
D. – Dalla ricostruzione che lei ha fatto, emerge che padre Bergoglio mise su una rete clandestina, praticamente, il cui perno era il Collegio Maximo a San Miguel, nell’area metropolitana di Buenos Aires, dove appunto Bergoglio risiedeva. Lui qui nascondeva delle persone?
R. – Lui aveva organizzato una rete clandestina per il salvataggio delle persone. Nessuno sarà probabilmente mai disposto ad ammetterlo in questa chiave, soprattutto Bergoglio, il quale si serviva della sua sfera d’influenza, di amicizie, di conoscenze, per poter ottenere piccoli, singoli favori da ciascuna di queste persone: chi si occupava magari di far ottenere i documenti per l’espatrio, chi forniva notizie su arresti e sequestri di persona. Di certo lui nascondeva gli studenti, uomini o donne, nel Collegio Maximo di San Miguel e lo faceva all’oscuro dei suoi stessi confratelli gesuiti, dicendo loro che si trattava di ragazzi in fase di discernimento spirituale o di seminaristi in ritiro spirituale. In realtà, durante il periodo di “soggiorno” a San Miguel, Bergoglio studiava un piano per permettere la fuga di queste persone e molti, infatti, ci hanno raccontato come hanno potuto raggiungere clandestinamente, per esempio, il Brasile, dove poi una rete, costituita ancora una volta dai gesuiti, consentiva l’infiltrazione verso l’Europa.
D. – Tra l’altro, emerge che Bergoglio s’impegnò per la liberazione dei due gesuiti rapiti: Yorio e Jalics… R. – Emerge con assoluta chiarezza dall’inchiesta che abbiamo svolto, basandoci sulle testimonianze dirette ed anche sugli atti giudiziari. Bergoglio s’interessò in prima persona, a rischio personale. Noi per esempio ricostruiamo un incontro, un faccia a faccia molto duro tra padre Bergoglio e l’ammiraglio Massera, il capo della Marina, un uomo terribile. A quel tempo, Bergoglio lo affronta per ottenere la restituzione di questi due sacerdoti. Peraltro, uno di essi, padre Jalics, ha svolto indagini in proprio, perché lui per primo ha sospettato all’inizio che Bergoglio fosse coinvolto ed è arrivato alla conclusione che Bergoglio non fu assolutamente coinvolto e che, anzi, si interessò a rischio della sua vita e della sua reputazione, per poter ottenere la salvezza. Tant’è vero che i gesuiti sono l’unico Ordine che non ha registrato morti durante la dittatura argentina.
D. – Qual è la storia che l’ha colpita di più? R. – Sono tutte toccanti. Certamente colpisce il fatto che a finire nell’orbita salvifica di Bergoglio erano credenti e non credenti, giovani e meno giovani. Andiamo da Gonzalo Mosca, che oggi è un noto sindacalista uruguayano alla storia di Sergio e Ana Gobelin, che furono sposati da Bergoglio. Successivamente, Sergio finì nel mirino della dittatura, fu arrestato e torturato per tre settimane e Bergoglio riuscì ad ottenerne la liberazione e lo fece ricoverare clandestinamente in un ospedale di Buenos Aires. Poi riuscì a farli arrivare in Italia, dove vivono da allora. La loro storia è molto particolare, perché racconta il vento nuovo del Concilio Vaticano II, che aveva spinto questi giovani di buona famiglia a vivere tra i poveri di Buenos Aires e, tra l’altro, ci hanno rivelato che Bergoglio, ancora una volta all’insaputa dei confratelli, abitualmente, svolgeva dei ritiri spirituali tra i poveri in una baracca di lamiera e terra battuta.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.