mercoledì, ottobre 23, 2013
"Dio è un carcerato dei nostri sistemi", ha detto il Pontefice ai cappellani delle carceri italiane

di Paolo Fucili

Il gergo tecnico del giornalismo ha preferito rifarsi almeno una volta al latino nostro progenitore, anziché al sempre più invadente inglese. “Vox populi” “la voce della gente”, si chiamano appunto così quei pezzi o servizi che assemblano vari pareri di perfetti sconosciuti a proposito dei più disparati temi. E “tot capita tot sententiae”, si dice sempre nella lingua di Cicerone, per dire che le opinioni possono essere tante quante le teste che le concepiscono. Ma non forse nel caso di sua santità papa Francesco.

Bastava chiedere ad un casuale “campione” statistico della marea umana che stamattina ha inondato piazza san Pietro, per l’udienza generale del mercoledì. Le presenze conteggiate dalla Prefettura della Casa Pontificia erano ufficialmente 85.000, quelle reali molte di più, han calcolato occhi esperti di “eventi” papali e della relativa dislocazione. E siccome la tendenza al rialzo non dà segni di stanchezza la domanda sorge spontanea, per dirla come un noto conduttore TV: “cosa ti colpisce in particolare di papa Francesco?”.

Che poi “umiltà” sia la risposta più facile da ascoltare da anziane pie donne come da scanzonati ragazzotti, tutto sommato non è poi così strano. Ma il fatto che svetti letteralmente per frequenza ed enfasi su tutte le altre è un dato che forse merita una qualche considerazione, prima di essere frettolosamente rubricato come “folklore papista”.

E dire che i pellegrini di stamane probabilmente ignoravano che mentre si affrettavano ad entrare in piazza, nella speranza (vana, senza alzarsi come minimo all’alba) di conquistare un posto utile a vedere il Papa da vicino, lui si produceva in un esemplare esercizio di quella “umiltà” appunto che tanto, evidentemente (e non senza motivo, c’è da ragionare), impressiona le folle.

Nell’opinione di tanta gente se non sono “discariche” sociali poco ci manca. Anche se magari non la sottoscriverebbero come affermazione nuda e cruda. Magari chissà, pure loro si professano ammiratori dell’“umile” Bergoglio Pontefice. Il quale stamane, prima di salire sulla papamobile diretta a piazza san Pietro, era atteso alle 9.30 da un incontro coi cappellani italiani di quelle “discariche”, appunto, le carceri. E nell’occasione, divagando come al solito dal più compassato discorso che aveva in mano stampato da pronunciare tale e quale, ha rivelato che non è inusuale per lui, specie la domenica, alzare il telefono e chiamare in Argentina persone conosciute dietro le sbarre, è parso di capire, nel corso delle numerose visite compiute alle carceri di Buenos Aires da vescovo della città. Per non dire che già al quindicesimo giorno di pontificato, con un gesto pressoché rivoluzionario per le cronache vaticane, Francesco decise di celebrare al carcere minorile romano di Casal del Marmo il rito della “lavanda dei piedi” del giovedì santo.

Quando poi posa la cornetta, ha proseguito “penso: perché lui è lì e non io che ho tanti e più motivi per stare lì? Pensare a questo mi fa bene: poiché le debolezze che abbiamo sono le stesse, perché lui è caduto e non sono caduto io? Per me questo è un mistero che mi fa pregare e mi fa avvicinare ai carcerati”.

E dall’umiltà viene da sé quella misericordia che pure procura tanto favore al Papa, quando sovente ne parla per assicurare che lassù in cielo non scarseggia mai. Siamo noi semmai, vien da commentare, che non ne abbiamo mai abbastanza con gli altri. Tanto più dovremmo perciò meditare le parole sgorgate stamane dal cuore del Papa, quando si è raccomandato coi cappellani di riferire a tutti i carcerati che “il Signore è dentro con loro; anche lui è un carcerato, ancora oggi, carcerato dei nostri egoismi, dei nostri sistemi, di tante ingiustizie, perché è facile punire i più deboli, ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque”. Perché “nessuna cella è così isolata da escludere il Signore, nessuna; Lui è lì, piange con loro, lavora con loro, spera con loro; il suo amore paterno e materno arriva dappertutto”.

mons. Crociata
E se è davvero così, anche Lui soffre dei mali ormai incancreniti del nostro sistema carcerario, il sovraffollamento anzitutto. Negli istituti di pena si vive “ai limiti della sopportazione umana”, è arrivato ieri a dire il segretario generale della CEI mons. Crociata, intervenendo al convegno che ha riunito a Sacrofano, alle porte di Roma, i cappellani. Ma “sembra che si tratti di problemi marginali che non toccano la società nel suo insieme”, come se i detenuti non ne facessero più parte; “non è ammissibile”, sono le severe parole ancora di Crociata, “che migliaia di persone vivano quasi dimenticate per lunghi periodi, abbandonate a una sofferenza che potrebbe essere in parte alleviata e che non è certo il fine della detenzione”. Una denuncia non certo nuova, ma che evidentemente non è bastato fino ad oggi ripetere per scalfire il muro dell’indifferenza crudele attorno al pianeta carcere. Come fossero discariche, proprio.

I carcerati, peraltro, sarebbero pure i destinatari di una, addirittura, delle sette opere di misericordia corporale. Sarà per questo, forse, che Francesco stamane ha avuto parole così ispirate. Non potendo più visitarli lui di persona, almeno con la frequenza che desidererebbe, è come se avesse incaricato i cappellani di far sentire ai detenuti italiani il suo personale affetto, tutto intriso di quelle virtù cristiane, umiltà su tutte, che ad elogiarle non costa niente, quando son praticate da altri. A praticarle noi, invece, molto di più.


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