Impressioni di un ventiquattrenne arrivato da poco nella capitale europea più attrattiva per i giovani
di Lorenzo Carpitella
Sì, tutto il mondo è paese... ma per tanti aspetti Londra è tutto un altro mondo! Sono arrivato da Mestre da poco più di un mese e una valanga di sensazioni ed emozioni nuove mi ha come travolto. Al mio arrivo nella capitale inglese da tipico ragazzo italiano legato alla famiglia, agli amici, ai luoghi dove si nasce e si cresce, mi sono sentito paracadutato in un’altra vita. Assolutamente differente. Ciò ha messo in discussione tutte le mie sicurezze. Tutto quello che prima davo per scontato. Da subito. Le news che giungono in Italia da qui - come quelle tristi di questi giorni - sono spesso una versione distorta, esagerata della realtà. È una versione giornalistica, tesa a drammatizzare per fare audience. Le zone centrali di questa metropoli, per esempio, non sono meno sicure di tantissime altre capitali europee. Siamo noi spesso ad essere spaventati dalla diversità di culture, di ritmi o costumi, a cui non siamo abituati. “Nonostante tutto, l’Inghilterra è un paese sicuro” ripeteva ieri il Console Generale di Londra, Massimiliano Mazzanti. Era alla festa italiana dei “Maestri del Lavoro”, onorificenza conferita dal Presidente della Repubblica a lavoratori insigni. C’ero anch’io. Ospite assolutamente casuale, al Centro Scalabrini.
Una fisarmonica, un bel menù tricolore, più di un centinaio di vecchi combattenti nella dura, gloriosa battaglia della nostra emigrazione in Gran Bretagna, oltre al Console... sembrava un pezzo d’Italia nel cuore di Londra. All’inizio, un brindisi rituale alla Regina. Poi, l’inno nazionale inglese ascoltato in piedi con sacro rispetto e un brindisi al Presidente Napolitano con il canto Fratelli d’Italia, che sempre ti commuove. Ti penetra dentro, quando sei in terra straniera. E mi dicevo intanto: questa gente respira con due polmoni, per davvero: italiano e inglese!
Anche per me i primi passi non sono stati per nulla facili. Proveniente dalla piccola, tranquilla terra veneziana mi sono ritrovato in un’immensa città straniera. Lontano fisicamente dai tuoi e dalla sicurezza della quotidianità. In fondo, noi italiani siamo legati ai nostri luoghi, al nostro paese. Quasi fossilizzati. Sia per tradizione e per cultura. Ma anche spesso per una totale mancanza di legame o interesse internazionale... In più si aggiungono un sistema scolastico stagnante e un quadro istituzionale quasi inerte verso il mondo.
La mia prima lotta è stata trovare un alloggio, una semplice camera. Semplice a dire, ma complicato a farsi in una città dove i prezzi sono alle stelle e tutti ne approfittano. La seconda, invece, è stata adattarmi allo stile di vita londinese, fatto di fast food o take away. Qui non c'è la cultura del pranzo o cena in compagnia. Durante il giorno la maggior parte delle persone mangia un pasto veloce già pronto. Non di rado mi capita di cenare mentre parlo via skype con la mia famiglia! Recupero, così, quel legame della conversazione a tavola, che rientra nelle tante piccole cose di cui ho nostalgia.
Quello che invece non mi manca affatto sono l'inaffidabilità del trasporto pubblico italiano e le lungaggini burocratiche. Qui non si perdono tempo ed energie per niente, l'efficenza è un aspetto onnipresente e qualora non dovesse essere garantita non mancano mai le scuse pubbliche, accompagnate dal fare il possibile per rimediare al problema. Ho colto che il motivo principale per cui tantissimi giovani arrivano qui è la fuga dal nostro sistema: cercano un futuro e delle opportunità, che la nostra patria non è in grado o non ha interesse a fornirci. Anche se questa nuova ondata di emigrazione è differente da quella dei nostri "nonni" di decenni fa, i giovani sono già pronti a un’apertura totale verso l'internazionalità, che la città fornisce subito. Non vengono semplicemente in cerca di fortuna, ma per sentirsi cittadini del mondo, per uscire dall'immobilismo di una terra che ancora sa di feudalesimo, di clientelismo o di raccomandazioni. Laura, arrivata da poco da Catania, lavora già da Burberry, grande negozio di abbigliamento di alta moda in centro. La prima domanda che si sente sempre fare è: “Ma chi ti ha raccomandato?”. Nessuno!
Tutti i giovani che incontro non hanno più la necessità di ritrovarsi con i loro compaesani per istituire una piccola comunità come era in passato. Subito si integrano in una realtà multietnica e multiculturale. Proprio come pesci nell’acqua. Qui c'è una grande integrazione culturale a tutti i livelli. Così è cosa normale trovare nella stessa carrozza della metro una donna araba con il burqa, un metallaro tatuato, una famiglia indiana, un impiegato della City in giacca e cravatta. Nel mio stesso laboratorio all'Università c'è un grande mix culturale fatto di inglesi, spagnoli, cinesi, portoghesi, indiani e italiani. Tutto il mondo riunito in un unico posto. Dove l'intolleranza per la diversità assume le dimensioni di una vergognosa ignoranza primitiva e controproducente!
Invece per i nostri primi emigrati, ormai anziani, era arrivare in una terra straniera, quando non esistevano i mezzi di comunicazioni moderni che abbattono le distanze. Non conoscevano la lingua locale. Era fondamentale incontrarsi, informarsi, trovare agganci e aiuti... Io non posso che ritenermi estremamente fortunato. I primi giorni li ho trascorsi al Centro Scalabrini, una piccola oasi di pace e di familiarità nel sud di Londra, che mi ha fatto sentire subito a casa. Un posto dove è sempre bello tornare per un saluto o una chiaccherata davanti un buon caffè. E così sono capitato qui l’altra domenica in piena festa dei Maestri del lavoro. Ho avuto il biglietto da visita del Console italiano per contattarlo quando necessario. Semplicità e cordialità, grandi doti inglesi, le noti qui anche nelle nostre autorità. In mezzo alla festa pensavo come il termine “lavoro” stia nelle prime parole della nostra Costituzione. Ma il nostro Stato sembra essersene dimenticato.
Ad un mio collega inglese all'Università spiegavo proprio l’altro giorno come il nostro Stato abbia perso di vista l'importanza del lavoro. E preferisca finanziare con sistemi di cassa integrazione o di assegni di disoccupazione, piuttosto che creare nuovi posti di lavoro. Come un cane che si morde la coda. Quando poi raccontavo che da noi proprio lo Stato talvolta non paga le industrie a cui commissiona i lavori, il mio intercultore rimaneva interdetto. Upset. Pareva che gli parlassi di Marte... ed è invece la mia terra! Quando poi accennavo ai personaggi “famosi” del nostro panorama politico il tono della domanda si faceva stranamente duro: "Why don't you vote for different people?!" (Ma perchè non votate altra gente?!). Sono rimasto senza parole.
di Lorenzo Carpitella
Sì, tutto il mondo è paese... ma per tanti aspetti Londra è tutto un altro mondo! Sono arrivato da Mestre da poco più di un mese e una valanga di sensazioni ed emozioni nuove mi ha come travolto. Al mio arrivo nella capitale inglese da tipico ragazzo italiano legato alla famiglia, agli amici, ai luoghi dove si nasce e si cresce, mi sono sentito paracadutato in un’altra vita. Assolutamente differente. Ciò ha messo in discussione tutte le mie sicurezze. Tutto quello che prima davo per scontato. Da subito. Le news che giungono in Italia da qui - come quelle tristi di questi giorni - sono spesso una versione distorta, esagerata della realtà. È una versione giornalistica, tesa a drammatizzare per fare audience. Le zone centrali di questa metropoli, per esempio, non sono meno sicure di tantissime altre capitali europee. Siamo noi spesso ad essere spaventati dalla diversità di culture, di ritmi o costumi, a cui non siamo abituati. “Nonostante tutto, l’Inghilterra è un paese sicuro” ripeteva ieri il Console Generale di Londra, Massimiliano Mazzanti. Era alla festa italiana dei “Maestri del Lavoro”, onorificenza conferita dal Presidente della Repubblica a lavoratori insigni. C’ero anch’io. Ospite assolutamente casuale, al Centro Scalabrini.
Una fisarmonica, un bel menù tricolore, più di un centinaio di vecchi combattenti nella dura, gloriosa battaglia della nostra emigrazione in Gran Bretagna, oltre al Console... sembrava un pezzo d’Italia nel cuore di Londra. All’inizio, un brindisi rituale alla Regina. Poi, l’inno nazionale inglese ascoltato in piedi con sacro rispetto e un brindisi al Presidente Napolitano con il canto Fratelli d’Italia, che sempre ti commuove. Ti penetra dentro, quando sei in terra straniera. E mi dicevo intanto: questa gente respira con due polmoni, per davvero: italiano e inglese!
Anche per me i primi passi non sono stati per nulla facili. Proveniente dalla piccola, tranquilla terra veneziana mi sono ritrovato in un’immensa città straniera. Lontano fisicamente dai tuoi e dalla sicurezza della quotidianità. In fondo, noi italiani siamo legati ai nostri luoghi, al nostro paese. Quasi fossilizzati. Sia per tradizione e per cultura. Ma anche spesso per una totale mancanza di legame o interesse internazionale... In più si aggiungono un sistema scolastico stagnante e un quadro istituzionale quasi inerte verso il mondo.
La mia prima lotta è stata trovare un alloggio, una semplice camera. Semplice a dire, ma complicato a farsi in una città dove i prezzi sono alle stelle e tutti ne approfittano. La seconda, invece, è stata adattarmi allo stile di vita londinese, fatto di fast food o take away. Qui non c'è la cultura del pranzo o cena in compagnia. Durante il giorno la maggior parte delle persone mangia un pasto veloce già pronto. Non di rado mi capita di cenare mentre parlo via skype con la mia famiglia! Recupero, così, quel legame della conversazione a tavola, che rientra nelle tante piccole cose di cui ho nostalgia.
Quello che invece non mi manca affatto sono l'inaffidabilità del trasporto pubblico italiano e le lungaggini burocratiche. Qui non si perdono tempo ed energie per niente, l'efficenza è un aspetto onnipresente e qualora non dovesse essere garantita non mancano mai le scuse pubbliche, accompagnate dal fare il possibile per rimediare al problema. Ho colto che il motivo principale per cui tantissimi giovani arrivano qui è la fuga dal nostro sistema: cercano un futuro e delle opportunità, che la nostra patria non è in grado o non ha interesse a fornirci. Anche se questa nuova ondata di emigrazione è differente da quella dei nostri "nonni" di decenni fa, i giovani sono già pronti a un’apertura totale verso l'internazionalità, che la città fornisce subito. Non vengono semplicemente in cerca di fortuna, ma per sentirsi cittadini del mondo, per uscire dall'immobilismo di una terra che ancora sa di feudalesimo, di clientelismo o di raccomandazioni. Laura, arrivata da poco da Catania, lavora già da Burberry, grande negozio di abbigliamento di alta moda in centro. La prima domanda che si sente sempre fare è: “Ma chi ti ha raccomandato?”. Nessuno!
Tutti i giovani che incontro non hanno più la necessità di ritrovarsi con i loro compaesani per istituire una piccola comunità come era in passato. Subito si integrano in una realtà multietnica e multiculturale. Proprio come pesci nell’acqua. Qui c'è una grande integrazione culturale a tutti i livelli. Così è cosa normale trovare nella stessa carrozza della metro una donna araba con il burqa, un metallaro tatuato, una famiglia indiana, un impiegato della City in giacca e cravatta. Nel mio stesso laboratorio all'Università c'è un grande mix culturale fatto di inglesi, spagnoli, cinesi, portoghesi, indiani e italiani. Tutto il mondo riunito in un unico posto. Dove l'intolleranza per la diversità assume le dimensioni di una vergognosa ignoranza primitiva e controproducente!
Invece per i nostri primi emigrati, ormai anziani, era arrivare in una terra straniera, quando non esistevano i mezzi di comunicazioni moderni che abbattono le distanze. Non conoscevano la lingua locale. Era fondamentale incontrarsi, informarsi, trovare agganci e aiuti... Io non posso che ritenermi estremamente fortunato. I primi giorni li ho trascorsi al Centro Scalabrini, una piccola oasi di pace e di familiarità nel sud di Londra, che mi ha fatto sentire subito a casa. Un posto dove è sempre bello tornare per un saluto o una chiaccherata davanti un buon caffè. E così sono capitato qui l’altra domenica in piena festa dei Maestri del lavoro. Ho avuto il biglietto da visita del Console italiano per contattarlo quando necessario. Semplicità e cordialità, grandi doti inglesi, le noti qui anche nelle nostre autorità. In mezzo alla festa pensavo come il termine “lavoro” stia nelle prime parole della nostra Costituzione. Ma il nostro Stato sembra essersene dimenticato.
Ad un mio collega inglese all'Università spiegavo proprio l’altro giorno come il nostro Stato abbia perso di vista l'importanza del lavoro. E preferisca finanziare con sistemi di cassa integrazione o di assegni di disoccupazione, piuttosto che creare nuovi posti di lavoro. Come un cane che si morde la coda. Quando poi raccontavo che da noi proprio lo Stato talvolta non paga le industrie a cui commissiona i lavori, il mio intercultore rimaneva interdetto. Upset. Pareva che gli parlassi di Marte... ed è invece la mia terra! Quando poi accennavo ai personaggi “famosi” del nostro panorama politico il tono della domanda si faceva stranamente duro: "Why don't you vote for different people?!" (Ma perchè non votate altra gente?!). Sono rimasto senza parole.
Tweet |
Sono presenti 0 commenti
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.