mercoledì, ottobre 30, 2013
Una ricerca svela i processi cerebrali che si nascondono dietro i collassi dei mercati.

GreenReport - Il recente “Nobel” per l’economia ha premiato l’analisi della finanza con una scelta eterogenea quanto criticata. Robert Shiller, uno dei vincitori, è un campione della finanza comportamentale: pensa rappresenti una branca ormai compresa e assorbita dal pensiero mainstream? «Nella mia opinione l’economia comportamentale è ancora un settore di nicchia rispetto all’economia mainstream, anche a livello internazionale, ma ultimamente ha avuto una grande crescita. Si è sviluppata a partire dagli anni ’70, ma ha trovato spesso resistenze da parte degli stessi economisti: si basa sull’assunto che è necessario fare gli esperimenti per verificare le ipotesi, e fonde l’economia con la psicologia, considerata una scienza troppo soft, non quantitativa. Adesso, anche grazie all’apporto di questa “nuova” disciplina di cui mi occupo – la neuroeconomia – le neuroscienze garantiscono quel maggiore rigore analitico che agli economisti piace di più. Credo dunque che per l’economia comportamentale si prospetti un periodo di grande espansione. Credo che il futuro sarà quello di riformulare una teoria utile anche a fare predizioni, provando a quantificare il ruolo delle emozioni. Pianificare, altrimenti, per l’economista diventa più difficile».

Lei nel suo ultimo studio – In the mind of the market – dà il suo apporto a questa espansione approfondendo proprio i meccanismi cerebrali che stanno dietro le decisioni finanziarie. Quali sono le principali conclusioni emerse dall’analisi?

«Lo studio si interessa dei meccanismi neuronali all’origine della formazione di bolle finanziarie, andando a vedere cosa succede nel cervello degli agenti in questi contesti. Per farlo abbiamo creato bolle sperimentali in laboratorio. Nei mercati reali non si sa mai se è in corso una bolla o meno, normalmente vengono classificate come tali sono quando sono già scoppiate, ma nel nostro caso è stato disegnato dallo sperimentatore un mercato pulito, dove le informazioni erano note da tutti i partecipanti, compreso il valore fondamentale dell’asset che stavano scambiando. La cosa razionale da fare sarebbe stato fare trading attorno a questo valore, ma in realtà – per motivi ancora non molto chiari – qualcuno comincia a comprare l’asset ad un prezzo maggiore, e questa è la scintilla da cui parte la bolla finanziaria. Anche in un mercato apparentemente pulito come quello da noi progettato, e alla fine la bolla scoppia anche nell’ambito dell’esperimento».

Non sembra molto razionale. Perché, dunque, accade?

«Dal punto di vista neuroscientifico abbiamo scoperto che durante le bolle il valore che viene attribuito a un asset – o meglio la sua rappresentazione neuronale – si espande. Lo abbiamo visto analizzando la corteccia ventromediale, una regione del cervello la cui attivazione è collegata alla misura del valore soggettivo (e non solo il piacere edonistico, ma anche quello che provi facendo beneficienza). È un’attivazione che varia da soggetto a soggetto, secondo i singoli sistemi di valori. Per fare un esempio: poniamo che il tuo gelato preferito sia quello al cioccolato, che tu non disdegni quello alla vaniglia ma tu odi quello al pistacchio. In questo caso la corteccia ventromediale si attiva di più col primo tipo di gelato, meno col secondo e per niente col terzo.

Nel contesto delle bolle finanziarie c’è una sorta di inflazione del valore: proprio questa corteccia ventromediale mostra una iperattività. È dall’intensità più o meno elevata dall’attività di quest’area che possiamo prevedere quali saranno le persone che salteranno sulla bolla, e individuare quelle che non ne saranno catturate».

Siete riusciti anche a risalire alle cause di quest’inflazione del valore soggettivo?

«È un fenomeno legato all’attività di un’altra area del cervello, la corteccia prefrontale dorso mediale, che ha un ruolo importante nel codificare i messaggi sociali. Tale area è collegata a un’abilità strettamente umana, riassunta nel concetto di theory of mind (teoria della mente, ndr): l’abilità che hanno gli umani di mettersi nei panni di un’altra persona, di capirne le intenzioni; potremmo dire che rappresenta la “versione cognitiva” dell’empatia. Ebbene, siamo riusciti a osservare che esiste una connessione tra questa regione del cervello e quella collegata alla misura del valore soggettivo, e cosa accade durante lo svolgersi di bolle finanziarie: i trader, per agire, non valutano soltanto il movimento dei prezzi, ma vedono anche delle intenzioni nel comportamento di altri che comprano asset a livelli crescenti. Le transazioni si muovono così sulle intenzioni, ma nei mercati finanziari analizzati questo rappresenta una fallacia: non ci sono intenzioni, ma un concatenarsi di effetti che si creano spontaneamente. È su questa valutazione distorta che si crea ed espande la bolla».

Ma le bolle finanziarie si creano anche in mercati dove operano sempre più delle macchine. Si pensi all’high frequency trading, che apparentemente dovrebbe eliminare il fattore d’irrazionalità umana. L’instabilità dei mercati, però, certo non svanisce: perché?

«Non è molto chiaro come intervenire per contrastare le bolle. La theory of mind, ad esempio, rappresenta una qualità mostruosamente utile nella nostra quotidianità. Il fatto è che non ci siamo evoluti per fare trading nei mercati finanziari, ma per sopravvivere. Dunque, questa particolare abilità nel caso del trading può indurti ad un comportamento irrazionale, ma non rappresenta un errore. Le bolle finanziarie non sono un effetto collaterale di errori compiuti da uomini stupidi, ma prendono vita a partire da comportamenti che derivano piuttosto da abilità altamente sofisticate degli esseri umani. Partendo da questo punto di vista, che nei mercati agiscano computer o umani non cambia molto: le macchine debbono essere programmate, le decisioni vengono prese da umani. Senza contare che l’instabilità dei mercati dovuta a eventi macroscopici (si pensi alla tragedia dell’11 settembre negli Usa) non può essere comunque controllata dalle macchine, in nessun modo».

Nel Manifesto lanciato dalla piattaforma europea sull’efficienza nell’impiego delle risorse si citano le «più recenti intuizioni dell’economia comportamentale» per raggiungere l’obiettivo di un’Europa più sostenibile. Lei crede in questo ruolo dell’economia comportamentale, come potrebbe essere interpretato?

«L’economia rimane una scienza sociale, non può continuare a ignorare la natura degli esseri umani. Noi non agiamo solo se possiamo ricavarne un guadagno immediato e diretto, se abbiamo un incentivo economico a muoverci. In realtà prendiamo decisioni anche per mantenere la propria reputazione sociale, per moralità, per sentirci bene. L’economia classica ci rappresenta invece come macchine che massimizzano una sola variabile, i propri guadagni, disinteressandosi dell’individuo e del contesto sociale in cui è immerso. Si pensi ad esempio al voto politico: per l’economia classica andare a votare è un paradosso, e infatti molti miei amici economisti non vanno a votare. Un singolo voto non cambia mai il risultato finale, mentre recarsi alle urne per il singolo ha un costo. Dunque, economicamente, andare a votare non è razionale. Le persone, però, votano lo stesso.

Per le questioni ambientali queste tematiche sono particolarmente rilevante, perché si parla di problemi in cui non si è alla ricerca della massimizzazione di un’utilità monetaria, e che inoltre riguardano il presente quanto il futuro. Penso che l’economia comportamentale sia particolarmente importante per capire quali sono gli elementi che spingono le persone a compiere determinate azioni, in modo da scegliere i migliori incentivi per guidarle».

Un ultima domanda. Secondo i dati dell’ufficio studi Mediobanca la Borsa di Milano in media – e in termini reali – ha perso il 2,4% ogni anno dal 1928 al 2012. Cosa ne pensa della “razionalità” degli investimenti in titoli quotati su Piazza Affari?

«Premetto che sono un neuroscienziato, e non un economista, ma mi chiederei piuttosto perché ancora l’Italia non sia collassata. Di fronte alla sua situazione, che rimane disastrosa, potrebbe essere proprio l’irrazionalità a salvarla nei mercati. I parametri della borsa non tengono conto della complessità della natura umana, ed è anche su queste basi che si fondano quegli improvvisi crolli o miracoli economici di un determinato paese. Perché la gente ci crede, le cose cambiano. La razionalità economica non è tutto: ricordo solo come all’inizio della Guerra fredda il grande matematico John von Neumann, padre della teoria dei giochi, avesse consigliato al presidente Usa la mossa più razionale da compiere. Il suggerimento fu di lanciare preventivamente una bomba atomica su Mosca, ancora sprovvista di ordigni atomici. Ma per gli statunitensi l’importante non era massimizzare l’utilità della guerra vincendola, ha contato di più il desiderio di non contribuire a cancellare la razza umana dal pianeta. L’irrazionalità ci ha dato una mano allora, e può farlo ancora oggi».


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