Mentre proseguono le ricerche dei dispersi nel naufragio del 3 ottobre davanti alle coste di Lampedusa e il bilancio delle vittime – ancora provvisorio – sale a 289 vittime, in Etiopia in due campi profughi affollati soprattutto da rifugiati eritrei violenze esplose durante una veglia funebre per le vittime del mare hanno causato un morto e tre feriti.
Misna - Lo riferisce Kisut Gebreegziabher, portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati raggiunto dalla MISNA nei campi Mai Ani e Adi Arush, nel nord dell’Etiopia. “Molte delle persone annegate nelle acque italiane provenivano da qui – racconta – e la notizia della loro morte ha suscitato commozione e rabbia tra la gente, che ha voluto organizzare una veglia di preghiera”. “Alle decine di persone che si erano inizialmente riunite, se ne sono aggiunte molte altre e ad un centro punto qualcuno ha cominciato a urlare e a invocare un’azione delle organizzazioni umanitarie e del governo etiopico” riferisce il responsabile, aggiungendo che “la situazione è degenerata quando alcuni rifugiati hanno iniziato ad appiccare il fuoco a tende e materassi e la polizia è intervenuta duramente per disperdere la folla”.
Ad avviare la contestazione sarebbero stati alcuni giovani eritrei cacciati dall’Egitto durante il loro viaggio ‘della speranza’ verso Israele e costretti a tornare in Etiopia. Il bilancio è di un morto e sei feriti tra i rifugiati e due feriti tra le forze dell’ordine. Sull’accaduto le autorità hanno aperto un’inchiesta.
Più che contro le pur difficili condizioni di vita nei campi, “le proteste erano indirizzate contro il governo di Addis Abeba, i rappresentanti della comunità e le associazioni umanitarie, accusati di non fare abbastanza per accelerare i processi di reinserimento previsti dal diritto internazionale per i rifugiati” spiega ancora l’interlocutore.
I due campi di Mai Ani e Adi Arush ospitano circa 40.000 eritrei, per lo più giovani uomini e donne in fuga da un paese considerato una delle peggiori dittature al mondo dove i cittadini sono sottoposti a un servizio di leva obbligatorio a tempo indeterminato.
Misna - Lo riferisce Kisut Gebreegziabher, portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati raggiunto dalla MISNA nei campi Mai Ani e Adi Arush, nel nord dell’Etiopia. “Molte delle persone annegate nelle acque italiane provenivano da qui – racconta – e la notizia della loro morte ha suscitato commozione e rabbia tra la gente, che ha voluto organizzare una veglia di preghiera”. “Alle decine di persone che si erano inizialmente riunite, se ne sono aggiunte molte altre e ad un centro punto qualcuno ha cominciato a urlare e a invocare un’azione delle organizzazioni umanitarie e del governo etiopico” riferisce il responsabile, aggiungendo che “la situazione è degenerata quando alcuni rifugiati hanno iniziato ad appiccare il fuoco a tende e materassi e la polizia è intervenuta duramente per disperdere la folla”.
Ad avviare la contestazione sarebbero stati alcuni giovani eritrei cacciati dall’Egitto durante il loro viaggio ‘della speranza’ verso Israele e costretti a tornare in Etiopia. Il bilancio è di un morto e sei feriti tra i rifugiati e due feriti tra le forze dell’ordine. Sull’accaduto le autorità hanno aperto un’inchiesta.
Più che contro le pur difficili condizioni di vita nei campi, “le proteste erano indirizzate contro il governo di Addis Abeba, i rappresentanti della comunità e le associazioni umanitarie, accusati di non fare abbastanza per accelerare i processi di reinserimento previsti dal diritto internazionale per i rifugiati” spiega ancora l’interlocutore.
I due campi di Mai Ani e Adi Arush ospitano circa 40.000 eritrei, per lo più giovani uomini e donne in fuga da un paese considerato una delle peggiori dittature al mondo dove i cittadini sono sottoposti a un servizio di leva obbligatorio a tempo indeterminato.
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