Il calcio italiano sta morendo: ferito dalla crisi economica, dagli stadi obsoleti, da ingaggi mostruosi e da scelte politiche scellerate, il pallone rotola sempre più in basso e verso la semplicità del‘punire per ripulire i cori’ svuotando gli stadi. E a Roma un tifoso laziale perde tre dita per un petardo...
di Danilo Stefani
La chiamano ‘discriminazione territoriale’: colpisce le cosiddette tifoserie che insultano altre tifoserie attraverso cori contro la napoletanità (per esempio) e con i relativi aggettivi poco edificanti annessi. Per la trasgressione dei propri ‘tifosi’ alla norma sopra menzionata durante la partita contro la Juventus, giocata a Torino, il Milan subisce la sanzione di una partita da disputare in casa a porte chiuse (sabato 19 ottobre contro l’Udinese).
Con questa direttiva però si dà la possibilità ad alcune centinaia di ‘tifosi’ di condizionare un intero campionato. Il rischio-ricatto è forte. Gli stadi sono sempre più vuoti, già per altri motivi: perché arcaici, insicuri, scomodi… gioco forza si sceglie la TV. Si arriverebbe ora ad un’altra assurdità: assistere davanti al teleschermo ad una partita a porte chiuse. Un’esibizione mortificante che va contro l’essenza dello sport, ovvero il concetto di partecipazione entusiasta. Vi è un senso nel punire ferendo tutti gli sportivi? Questa è la domanda.
Lo stadio di calcio purtroppo non è mai stato un posto per signorine. Vuoi assistere ad un becero ‘contorno’ di spettacolo calcistico? Vuoi essere parte dello show che insulta migliaia di mamme di tutta Italia, isole comprese? Per questi scopi va bene il campetto di periferia quanto i templi del calcio! Esiste anche l’insulto ‘specializzato’: il top al momento è quello rivolto a Mario Balotelli, insultato anche quando non è presente in campo!
Possiamo anche proporre di dotare gli addetti ai lavori di microfoni: quante “carinerie” sentiremmo! Poi facciamo, magari, una graduatoria dell’offesa, dell’ingiuria, della parolaccia e assegniamo una sanzione per ogni trasgressione: quindi multiamo, squalifichiamo, chiudiamo gli stadi e non dimentichiamoci di buttare le chiavi. La risolviamo così, egregia ‘Federazione Italiana Giuoco Calcio’?
Oppure la giustifichiamo con un “la mamma degli imbecilli è sempre incinta”? Ma in questo caso torneremmo all’insulto alla mamma, e non sta bene, cara federazione.
La verità è che la “cultura sportiva” non si acquista: non esiste un centravanti con quel nome. Esistono invece dirigenti che straparlano, società legate a doppio filo con le frange estreme del tifo, norme demenziali, indonesiani e americani che entrano nella nostra ‘riserva’ di calcio a sprofondo rosso.
A Roma, in concomitanza con la partita di Torino, si giocava Lazio-Fiorentina: un tifoso laziale ha perso tre dita per lo scoppio di un petardo. Questione già dimenticata. Sono più rilevanti e facili da controllare i cori, piuttosto che tutto ciò di pericoloso viene introdotto in uno stadio, non è vero?
“Abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio”, ha detto l’allenatore della Roma, Garcia, dopo il derby vinto dalla sua squadra. Bella frase. Prendiamo spunto: rimettiamo la scuola al centro della vita educativa di questo Paese, oppure il fuori-gioco sarà il nostro status irreversibile (ovvio, non solo nel calcio).
Frattanto quelli che hanno le ‘mani sul calcio’ dovrebbero saper risolvere, prevenire, o almeno ridurre un gap mostruoso che ci divide dai paesi leader in Europa, sotto ogni punto di vista. Troppi cori sono stonati. Passi che non facciamo gol, ma evitiamo almeno gli autogol e le “stecche”.
di Danilo Stefani
La chiamano ‘discriminazione territoriale’: colpisce le cosiddette tifoserie che insultano altre tifoserie attraverso cori contro la napoletanità (per esempio) e con i relativi aggettivi poco edificanti annessi. Per la trasgressione dei propri ‘tifosi’ alla norma sopra menzionata durante la partita contro la Juventus, giocata a Torino, il Milan subisce la sanzione di una partita da disputare in casa a porte chiuse (sabato 19 ottobre contro l’Udinese).
Con questa direttiva però si dà la possibilità ad alcune centinaia di ‘tifosi’ di condizionare un intero campionato. Il rischio-ricatto è forte. Gli stadi sono sempre più vuoti, già per altri motivi: perché arcaici, insicuri, scomodi… gioco forza si sceglie la TV. Si arriverebbe ora ad un’altra assurdità: assistere davanti al teleschermo ad una partita a porte chiuse. Un’esibizione mortificante che va contro l’essenza dello sport, ovvero il concetto di partecipazione entusiasta. Vi è un senso nel punire ferendo tutti gli sportivi? Questa è la domanda.
Lo stadio di calcio purtroppo non è mai stato un posto per signorine. Vuoi assistere ad un becero ‘contorno’ di spettacolo calcistico? Vuoi essere parte dello show che insulta migliaia di mamme di tutta Italia, isole comprese? Per questi scopi va bene il campetto di periferia quanto i templi del calcio! Esiste anche l’insulto ‘specializzato’: il top al momento è quello rivolto a Mario Balotelli, insultato anche quando non è presente in campo!
Possiamo anche proporre di dotare gli addetti ai lavori di microfoni: quante “carinerie” sentiremmo! Poi facciamo, magari, una graduatoria dell’offesa, dell’ingiuria, della parolaccia e assegniamo una sanzione per ogni trasgressione: quindi multiamo, squalifichiamo, chiudiamo gli stadi e non dimentichiamoci di buttare le chiavi. La risolviamo così, egregia ‘Federazione Italiana Giuoco Calcio’?
Oppure la giustifichiamo con un “la mamma degli imbecilli è sempre incinta”? Ma in questo caso torneremmo all’insulto alla mamma, e non sta bene, cara federazione.
La verità è che la “cultura sportiva” non si acquista: non esiste un centravanti con quel nome. Esistono invece dirigenti che straparlano, società legate a doppio filo con le frange estreme del tifo, norme demenziali, indonesiani e americani che entrano nella nostra ‘riserva’ di calcio a sprofondo rosso.
A Roma, in concomitanza con la partita di Torino, si giocava Lazio-Fiorentina: un tifoso laziale ha perso tre dita per lo scoppio di un petardo. Questione già dimenticata. Sono più rilevanti e facili da controllare i cori, piuttosto che tutto ciò di pericoloso viene introdotto in uno stadio, non è vero?
“Abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio”, ha detto l’allenatore della Roma, Garcia, dopo il derby vinto dalla sua squadra. Bella frase. Prendiamo spunto: rimettiamo la scuola al centro della vita educativa di questo Paese, oppure il fuori-gioco sarà il nostro status irreversibile (ovvio, non solo nel calcio).
Frattanto quelli che hanno le ‘mani sul calcio’ dovrebbero saper risolvere, prevenire, o almeno ridurre un gap mostruoso che ci divide dai paesi leader in Europa, sotto ogni punto di vista. Troppi cori sono stonati. Passi che non facciamo gol, ma evitiamo almeno gli autogol e le “stecche”.
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